La Fragilità degli anziani è la vera sfida per Paese, di Grazia Labate

Il vivere a lungo ed in buona salute rende tutti meno fragili, aiuta la società a crescere senza perdere la memoria di se, costruisce un futuro degno di essere vissuto per tutti. Questa è la sfida del terzo millennio ad essa bisogna lavorare con tenacia e lungimiranza.


Siamo quasi 14 milioni di over-65 di cui 5 milioni e mezzo affetti da almeno tre malattie croniche e 4 milioni con disabilità gravi, che hanno rivelato la crisi, ed in certi casi l’assenza dell'assistenza sanitaria territoriale, nell'emergenza Covid.

La multimorbilità e la fragilità sono la vera sfida per il Paese, che impone 'un cambio di passo' nelle politiche sociosanitarie fin qui perseguite.

Il Covid è stato un naturale stress-test del nostro sistema sanitario, che ha mostrato le fragilità sul territorio e una certa resilienza all'interno dell'ospedale.

Di medicina territoriale si parla già da tempo, ora è arrivato il momento di dotare l'assistenza primaria di strumenti concreti e chiare direttive organizzative, e le risorse in arrivo dall'Europa sono un'occasione da non sprecare.

Due, sono le direttrici lungo le quali procedere: da un lato la riorganizzazione e il potenziamento dell'offerta dei servizi territoriali, a partire dalle cure domiciliari, dall'altro l'utilizzo di strumenti di valutazione standardizzati per riconoscere, misurare e trattare la fragilità e i bisogni del nostro tempo. Due importanti novità in tal senso sono rappresentate “dall'Indice della fragilità in Medicina Generale” e “dall'Indicatore sintetico di aderenza” (strettamente correlato al fenomeno della politerapia, il 14% degli anziani assume 10 o più farmaci al giorno).

Accanto a queste due novità si sviluppa un contesto economico-sociale sempre più caratterizzato dalla povertà e dalla solitudine, quando anche, dall’abbandono degli anziani fragili e non autosufficienti.
La grande urgenza e priorità di investimento, è dunque mettere il sistema sanitario e sociale nelle condizioni di curare, assistere, sostenere il maggior numero di anziani a casa.

Ma l'assistenza domiciliare non è una cosa che si improvvisa, bisogna saperla fare, avere competenze articolate, capacità di valutazione dei bisogni e di intervento sul paziente. E richiede tecnologie, strumenti di valutazione del bisogno precisi e standardizzati", evitando però sovraccarichi di burocratizzazione nelle procedure.

Le politiche per la non autosufficienza e la disabilità coprono gli interventi sanitari e di assistenza socio-sanitaria dedicati alle categorie fragili e ai malati cronici. Con l'intento di razionalizzare, semplificare e creare un quadro coerente delle politiche di settore, la legge di bilancio 2020 aveva istituito un fondo a carattere strutturale denominato "Fondo per la disabilità e la non autosufficienza", con una dotazione di 200 milioni di euro per il 2021 e di 300 milioni di euro annui a decorrere dal 2022. La legge di bilancio 2022 ha attribuito al Fondo la nuova denominazione di "Fondo per le politiche in favore delle persone affette da disabilità" e ne ha incrementato la dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2023 al 2026, disponendone il trasferimento presso lo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di dare attuazione a interventi legislativi in materia di disabilità finalizzati al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno alla disabilità di competenza dell'Autorità politica delegata in materia di disabilità (Ministro per le disabilità).

Sul punto vorrei ricordare che il 31 dicembre 2021 è entrata in vigore la legge n. 227 del 2021 di Delega al Governo in materia di disabilità. La legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021) ha fornito, ai commi 159-171, la prima definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS), e qualificato gli ambiti territoriali sociali (ATS) quale sede necessaria in cui programmare, coordinare, realizzare e gestire gli interventi, i servizi e le attività utili al raggiungimento dei LEPS nonché a garantire la programmazione, il coordinamento e la realizzazione dell'offerta integrata dei LEPS sul territorio.

L'attuazione degli interventi, e l'adozione dei necessari atti di programmazione integrata, non sono definiti nel dettaglio, ma sono demandati a linee guida da definire in sede di Conferenza Unificata, con intesa. Inoltre, i LEPS rivolti agli ambiti del sociale diversi dalla non autosufficienza saranno definiti, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge di bilancio, con uno o più decreti Lavoro/MEF e in sede di prima applicazione saranno definiti i LEPS individuati come prioritari nell'ambito del Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023 (pronto intervento sociale; supervisione del personale dei servizi sociali; servizi sociali per le dimissioni protette; prevenzione dell'allontanamento familiare; servizi per la residenza fittizia; progetti per il dopo di noi e per la vita indipendente), al cui finanziamento concorreranno le risorse nazionali già destinate per le stesse finalità dal Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023 unitamente alle risorse dei fondi comunitari e del PNRR destinate a tali scopi.

I servizi socioassistenziali rivolti alle persone anziane non autosufficienti, comprese le nuove forme di coabitazione solidale, sono definiti al comma 162 che specifica che gli stessi sono erogati dagli ATS nelle seguenti aree: assistenza domiciliare sociale e assistenza sociale integrata con i servizi sanitari; servizi sociali di sollievo per le persone anziane non autosufficienti e le loro famiglie; servizi sociali di supporto per le persone anziane non autosufficienti e le loro famiglie.

Il SSN e gli ATS garantiscono alle persone in condizioni di non autosufficienza l'accesso ai servizi sociali e ai servizi sociosanitari attraverso punti unici di accesso (PUA) la cui sede operativa è situata presso le articolazioni del servizio sanitario denominate Case della comunità. Presso i PUA operano equipe integrate composte da personale appartenente al SSN e agli ATS che assicurano la funzionalità delle unità di valutazione multidimensionale (UVM).

Sulla base della valutazione dell'UVM, con il coinvolgimento della persona non autosufficiente e della sua famiglia o dell'amministratore di sostegno, l'equipe integrata procede alla definizione del progetto di assistenza individuale integrata (PAI), contenente l'indicazione degli interventi modulati secondo l'intensità del bisogno. L'offerta degli ATS può essere integrata da contributi - diversi dall'indennità di accompagnamento - utilizzabili esclusivamente per remunerare il lavoro di cura svolto da operatori titolari di rapporto di lavoro conforme ai contratti collettivi nazionali di settore, o per l'acquisto di servizi forniti da imprese qualificate nel settore della assistenza sociale non residenziale. .

I commi 165 e 166 recano rispettivamente disposizioni relative alla qualificazione del lavoro di cura e alla collaborazione Ministero del lavoro e delle politiche sociali /ANPAL; collaborazione che, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, dovrà definire strumenti e modelli, utilizzabili su tutto il territorio nazionale, da impiegare: - nell'area dei servizi sociali di supporto per le persone anziane non autosufficienti e le loro famiglie; - nelle attività e nei programmi di formazione professionale; - nei progetti formativi a favore dei familiari delle persone anziane non autosufficienti.

Le modalità attuative, le azioni di monitoraggio e la verifica del raggiungimento dei LEPS per le persone anziane non autosufficienti dovranno essere determinate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa intesa in sede di Conferenza Unificata. La graduale introduzione dei LEPS per le persone anziane non autosufficienti è inquadrata nell'ambito degli stanziamenti vigenti, incluse le integrazioni previste dal comma 168, che incrementa il Fondo per le non autosufficienze per un ammontare pari a 100 milioni di euro per il 2022, a 200 milioni per il 2023, a 250 milioni per il 2024 e a 300 milioni di euro a decorrere dal 2025.

L’urgenza dunque di un nuovo modello culturale di gestione, dell’assistenza territoriale è particolarmente urgente dopo la dolorosa esperienza dell’epidemia da COVID-19. La sinergia tra sociale e sanitario si propone come un asse portante della necessaria rivisitazione della politica sanitaria e sociale del ns. paese.

A patto che esso sia sviluppato a partire dall’esperienza sul campo, prima che da complessi accordi normativi spesso privi di aderenza alla realtà.
I numeri contano.
I numeri che danno conto degli elevatissimi fabbisogni assistenziali, dicono che essi sono stati coperti in questi anni fondamentalmente dalle famiglie che:
garantiscono care diretto, in particolare mogli e figlie in 7 casi su 10;
trasferiscono una parte del care a circa 1 milione di badanti con una spesa annua per retribuzione, stimata in circa 9 miliardi di euro.

Questo è il modello italiano di welfare familiare e privato che è stato sinora usato nel tempo, supplendo alle carenze vistose del sistema pubblico.
Le spese sono finanziate con le pensioni e i risparmi degli anziani, ma sono 918 mila le reti familiari i cui membri si sono tassati per pagare badante ed altre spese, 336 mila quelle che hanno dovuto dar fondo a tutti i risparmi e 154 mila quelle che si sono indebitate come riferisce un recente rapporto Censis.

Troppi ancora gli esclusi. Circa 1 milione di anziani con gravi limitazioni funzionali non beneficiano di assistenza sanitaria domiciliare, 382 mila non autosufficienti non hanno né assistenza sanitaria né aiuti di alcun genere, 1,6 milioni di longevi con limitazioni funzionali lievi e gravi hanno solo aiuti non sanitari; precisa l’Istat che Il modello italiano scricchiola. Anche le abitazioni Unfriendly rivelano che: Oltre 2,7 milioni di anziani vivono in abitazioni non adeguate alla condizione di ridotta mobilità e che avrebbero bisogno di lavori infrastrutturali per adeguarle, 1,2 milioni quelli che vivono in abitazioni inadeguate e non adeguabili.

Aspetti troppo spesso sottovalutati che rinviano ad abitazioni la cui conformazione peggiora la qualità della vita per una persona a ridotta autonomia e complica la già difficile convivenza quotidiana con chi garantisce il care.
In tale quadro il Servizio sanitario e il welfare in generale si sono rivelati spesso, né pronti né adatti a coprire i fabbisogni assistenziali complessi dei non autosufficienti.
Non a caso il 56% degli italiani è insoddisfatto dei servizi sociosanitari per non autosufficienti sul territorio. E’ sempre il Censis a rivelarlo.

Non bastano i 12,4 miliardi di spesa pubblica per long term care di cui 2,4 miliardi per cure domiciliari, che è pari al 10,8% della spesa sanitaria complessiva ed è comunque inferiore al dato UE del 15,4%. In realtà, l’unico strumento pubblico di integrazione dei redditi familiari è l’indennità di accompagnamento pari ad una spesa complessiva di 11,3 miliardi che conferisce alla persona beneficiaria un importo dal valore di 517,89 euro mensili. Non sorprende quindi, che il 75,6% degli italiani, che arriva al 77,3% tra gli anziani over 70, chieda più servizi ed agevolazioni fiscali per chi assume badanti. Lo dice la Ragioneria Generale dello Stato, dati ‘2020. Infine le vicende legate alle RSA durante la Pandemia hanno rivelato che muoiono i soggetti più fragili, quello che viene chiamato “effetto harvesting” cioè di mietitura e morte degli over 70 con patologie pregresse o croniche.

Per quanto riguarda le modalità di isolamento adottate nei confronti dei contagiati, solo il 47% delle strutture dichiara di avere utilizzato camere singole, il 31% camere con raggruppamento di pazienti solo Covid-19, nel 5,9% si è optato per trasferimenti in ospedali e l’8,4% ha dichiarato di non avere potuto procedere ad un isolamento. Su quanto è successo nelle Rsa, le omissioni, gli errori, i comportamenti gravi, si sono aperte inchieste giudiziarie che ci auguriamo facciano rapidamente chiarezza. Colpisce il rimpallo di responsabilità tra enti gestori, rapidamente diventati “capro espiatorio”, Asl e Regioni tendono a scaricare le responsabilità.
Dunque una nuova reputazione delle RSA attraverso una nuova cultura e una nuova organizzazione diventa obbligatoria oltre che necessaria.
Occorre prendere atto oltre che della demografia, del calo lento ma inesorabile dei caregiver familiari e della marginalità condizionata delle RSA nella loro diversa distribuzione: si va da 4,1 posti letto ogni 100 anziani residenti in Piemonte fino ai 0,7 posti della
Campania. Rimane la sottodotazione complessiva rispetto ad altri Paesi: i posti disponibili in Italia degli aiuti domiciliari pubblici tengono alta la domanda di residenze, 290.000, contro i 370.000 della Spagna, i 720.000 della Francia, gli 870.000 della Germania. La reputazione delle Rsa dopo questo disastro appare inesorabilmente segnata, spingendo sempre più le famiglie a rivolgersi ad esse solo come una opzione limite, di ultima istanza, accelerandone la trasformazione verso grandi hospice, soprattutto per le cronicità gravi e le malattie neurodegenerative, tendenza peraltro già in atto. Per non finire così, le Rsa dovranno ripensarsi, per riguadagnare credibilità e adattarsi a bisogni che sono cambiati.

La difficoltà negli spostamenti che l’epidemia ci ha imposto e ci impone porterà a rivalutare la vita di quartiere, le relazioni di prossimità.

La Rsa del futuro ha l’occasione allora di diventare un luogo davvero aperto, amico del territorio, capace di innescare una osmosi con i suoi abitanti, attraverso un insieme di proposte da progettare insieme alle comunità locali: aiuti domiciliari, di varia tipologia ed intensità, centri diurni, sostegni ai familiari, supporti al lavoro privato di cura, quello svolto dalle badanti, proposte per l’invecchiamento attivo. Ma anche semplici azioni di informazione, orientamento e counseling, oggi ancora molto sporadiche.

Occorre allora superare la frammentazione, ridefinire il sistema di finanziamento dei principali interventi e degli attori coinvolti nella cura degli anziani non autosufficienti: INPS prestazioni cash, Indennità di accompagnamento (IDA); Comuni Regioni ASL: Assegni di cura: Prestazioni cash per servizi di assistenza; ASL e Comuni e Regioni: Servizi reali, Servizi domiciliari (ADI e SAD) Servizi residenziali, Servizi semiresidenziali, Provider privati: Rsa e case di riposo Badanti e famigliari.

La governance del sistema dei servizi per la LTC presenta elementi di forte frammentazione e nel contempo di forte complessità. Finora tutti questi interventi sono stati considerati con simpatia dagli enti gestori, dai cosiddetti provider, ma non sono mai diventati oggetto di reale ricomposizione rispetto ai bisogni della popolazione anziana. Qui sta il nodo: occorre cambiare radicalmente un sistema di finanziamento, ingessato e vecchio di oltre vent’anni, che per remunerare pazienti sempre più gravi ha reso sempre più precaria la qualità delle cure e ha incentivato poco l’apertura delle residenze verso il contesto che le circonda.

Occorrono strutture più piccole, più aperte al territorio. Mediamente, tra il 10 e il 20 per cento degli anziani ospiti delle Rsa sono “ricoveri impropri”, perché riguardano persone con necessità di un’assistenza meno intensa di quella offerta da queste strutture, con problemi moderati di autonomia. Non tutti questi soggetti potrebbero essere adatti a soluzioni alternative alle RSA, ma la maggioranza sì. Le comunità residenziali, le abitazioni protette, le forme di “abitare leggero” non superano solitamente i 25-30 posti. Offrono un sostegno prevalentemente, ma non esclusivamente, di tipo sociale, sulle 24 ore, orientato a favorire l’autonomia, con l’obiettivo di “restituire la persona alla comunità.

A fianco di queste ci sono anche le esperienze di housing sociale e mini alloggi, ossia piccoli appartamenti per una o due persone, contigui, dove l’anziano gestisce in autonomia la sua quotidianità condividendo però una serie di servizi (come le pulizie, la lavanderia, talvolta i pasti, interventi di assistenza alla persona e così via). L’ampliamento di queste soluzioni genera benefici?

Sì, perché rappresentano una soluzione win-win: positiva per anziani meno reclusi in grandi strutture poco flessibili, e meno costose e complesse da gestire rispetto alle Rsa. Le forme abitative leggere disegnano uno spazio nuovo, uno spazio rilevante per l’economia e il terzo settore, che possono giocarsi qui immaginazione e innovazione organizzativa, coniugando (e rivalutando) le dimensioni della solidarietà con quelle della mutualità.

In termini di governance, la diversificazione nella tipologia di offerta residenziale impone un serio governo della domanda, cioè una regia (super partes, pubblica) capace di valutare attentamente i singoli casi e di indirizzarli verso la soluzione più coerente. Ciò richiede la messa in campo di una infrastruttura professionale e organizzativa presente solo in alcuni contesti regionali, ma necessaria per configurare una rete meno monoliticamente centrata sul “modello Rsa”. Le professioni che operano nelle Rsa sono da molto tempo aggrappate a profili rimasti sempre uguali. La residenzialità, leggera o pesante che sia, avrà bisogno di nuove competenze.

Penso a due ambiti in modo particolare. Il primo è quello legato alla crescita esponenziale delle patologie di tipo cognitivo, Alzheimer, demenze.

È ancora limitata la capacità di trattare in modo adeguato questo tipo di patologie, al plurale perché si tratta di molte e variabili condizioni. Non c’è solo bisogno di medici super specialisti o di nuovi nuclei Alzheimer dentro le residenze: le residenze di domani dovranno investire molto sulla formazione degli Oss, figura nevralgica, e rendersi versatile – per esempio – come supporto ai familiari nella gestione dei segnali precoci, l’intercettazione della malattia nei suoi esordi, quando le famiglie si trovano molto disorientate e molto sole. In secondo luogo gli operatori di domani dovranno avere dimestichezza nell’uso delle nuove tecnologie e della tecnoassistenza.

Penso alla teleassistenza, di seconda e terza generazione (sensori di localizzazione, App dedicate, supporti web), tecnologie assistive in “residenze intelligenti”, trasporti smart, teleriabilitazione. Le residenze del futuro dovranno dotarsi di queste attrezzature, e di personale in grado di gestirle. Ben sapendo che non sostituiranno mai una relazione in presenza, ma la potranno efficacemente coadiuvare. Molte sono le proposte in campo. La proposta elaborata dal Network Non Autosufficienza di cui fanno parte (Alzheimer Uniti, Aima, Caritas, Cittadinanzattiva, Confederazione Parkinson Italia, Federazione Alzheimer Italia, i Forum Disuguaglianze Diversità, Forum Nazionale Terzo Settore, La Bottega del Possibile) e le numerose organizzazioni e sigle che hanno deciso di sostenerla, che hanno chiesto al Presidente del Consiglio Draghi ed ai Ministri Orlando e Speranza l’inserimento delle loro proposte come progetto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Esso prevede: I) la semplificazione dei percorsi per accedere agli interventi pubblici, affinché si ricomponga l’attuale caotica molteplicità di enti, sedi e procedure differenti; II) un’ampia riforma dei servizi domiciliari, perché rispondano alle varie problematicità legate alla non autosufficienza e diventino un effettivo punto di riferimento per le famiglie e, in particolare, per i caregiver; un investimento straordinario per migliorare quelle strutture residenziali che necessitano di essere ammodernate e riqualificate, come hanno dimostrato le vicende della pandemia.

Per realizzare la proposta si prevede uno stanziamento di circa 7,5 miliardi per il periodo 2022-2026, 5 dei quali dedicati ai servizi domiciliari, la cui titolarità dovrebbe essere condivisa tra il Ministero della Salute e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza PNRR, il totale degli investimenti previsti è di 222,1 miliardi di euro ai quali si aggiungono 13 miliardi di fondi dal React-EU da spendere negli anni 2021-2023, per un totale di 235,14 miliardi. Missione 5: Inclusione e coesione, stanzia complessivamente 22,4 miliardi – di cui 19,8 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 2,6 miliardi dal Fondo.

Il suo obiettivo è facilitare la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la formazione, rafforzare le politiche attive del lavoro e favorire l’inclusione sociale. Il Governo investe nello sviluppo dei centri per l’impiego e nell’imprenditorialità femminile, con la creazione di un nuovo Fondo Impresa Donna. Ma si devono anche rafforzare i servizi sociali e gli interventi per le vulnerabilità, ad esempio con interventi dei Comuni per favorire una vita autonoma alle persone con disabilità.

La linea di attività più corposa del progetto (oltre 300 milioni) è finalizzata a finanziare la riconversione delle RSA e delle case di riposo per gli anziani in gruppi di appartamenti autonomi, dotati delle attrezzature necessarie e dei servizi attualmente presenti nel contesto istituzionalizzato. Sono previsti investimenti infrastrutturali per le Zone Economiche Speciali e interventi di rigenerazione urbana per le periferie delle città metropolitane.

Missione 6 Salute, stanzia complessivamente 18,5 miliardi, di cui 15,6 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 2,9 miliardi dal Fondo. A queste cifre, come riportato nella tabella, si aggiungono 1,7 miliardi di fondi React-EU che portano il totale degli investimenti per la sanità a 20,22 miliardi. Il suo obiettivo è rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, modernizzare e digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure. Il Piano investe nell’assistenza di prossimità diffusa sul territorio e attiva 1.288 Case di comunità e 381 Ospedali di comunità.

Si potenzia l’assistenza domiciliare per raggiungere il 10 per cento della popolazione con più di 65 anni, la telemedicina e l’assistenza remota, con l’attivazione di 602 Centrali Operative Territoriali. Il Governo investe nell’aggiornamento del parco tecnologico e delle attrezzatture per diagnosi e cura, con l’acquisto di 3.133 nuove grandi attrezzature, e nelle infrastrutture ospedaliere, ad esempio con interventi di adeguamento antisismico. Il Piano rafforza l’infrastruttura tecnologica per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati, inclusa la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico.

Se questo è il quadro di riferimento ci attende un periodo di grande lavoro attuativo, di progettazione ed esecuzione, attivando tutte le energie presenti nella società e soprattutto nell’articolato mondo del Welfare che oggi più che mai è al centro dell’attenzione istituzionale, che non può più evadere le risposte alla longevità della sua popolazione. Il vivere a lungo ed in buona salute rende tutti meno fragili, aiuta la società a crescere senza perdere la memoria di se, costruisce un futuro degno di essere vissuto per tutti. Questa è la sfida del terzo millennio ad essa bisogna lavorare con tenacia e lungimiranza.

Grazia Labate

Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità