Le donne e il governo del Paese
La “felicità partecipante”. La tavola rotonda di Eva Antoniotti

Il momento conclusivo del Convegno dedicato a “Le donne e il governo del paese” è stata una tavola rotonda coordinata da Claudia Mancina, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Nilde Iotti, che aveva al centro i rapporti tra movimenti e politica.

Trasparentemente, fin dal titolo in programma che indicava “una nuova stagione”, il riferimento era a “Se non ora quando”, l’appello di protesta contro “il modello degradante e lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni” rappresentato da Berlusconi lanciato da un Comitato di donne, trasversale e plurale, che ha portato ad una grande manifestazione a Roma il 13 febbraio 2011 e si è poi sviluppato in moltissime iniziative in tutto il Paese.
Come si intreccia, dunque, questo nuovo movimento con la politica? E, in particolare, cosa possono fare movimento e donne in politica perché l’Italia diventi “un paese per donne”? 
Tre le proposte di Mariella Gramaglia. Una, “affidata” in particolare a Livia Turco, per elaborare una sorta di legge quadro che costruisca forme di garanzia per le ragazze nel passaggio tra scuola, lavoro e maternità, consentendo loro di compiere scelte libere e responsabili. L’altra, già pubblicata in un intervento su “La Stampa”, quella di costituire un comitato di sagge che promuova e sostenga le candidature delle donne, a cominciare dalle prossime elezioni. Infine, la richiesta forte che le liste siano composte di donne per il 50%. Una proposta che non convince del tutto Francesca Izzo, tra le promotrici di “Se non ora quando”, che preferisce invece pensare alla stesura di un programma minimo, fatto di pochi punti, ma che sia il più possibile trasversale a tutti i partiti. “La sordità dell’intera classe dirigente del Paese - partiti, giornali, mondo economico e culturale - di fronte alla questione delle donne ha impedito la modernizzazione del Paese” ha detto Izzo, sottolineando come anche Mario Monti, che pure al momento dell’insediamento aveva mostrato di essere consapevole di questo affermando che “la questione della crescita del Paese è legata alla posizione delle donne”, oggi sembra aver accantonato il problema. Più forti ancora le preoccupazioni espresse da Nadia Urbinati, secondo la quale il depotenziamento della democrazia parlamentare, prodotto dalle norme elettorali da un lato e dalla crisi dei partiti dall’altra, produce uno spostamento dei pesi politici verso gli Esecutivi: saltando i corpi intermedi, i partiti appunto, si va verso un rapporto diretto tra cittadini e Governo, che si muove pericolosamente verso derive plebiscitarie e populiste. Se tutto il convegno, e anche tutta l’attività della Fondazione dedicata a Nilde Iotti, era rivolto alle “ragazze che oggi sentono nascere nel proprio animo il senso della politica e la voglia di fare politica”, come ha scritto il Presidente Giorgio Napolitano in una lettera di sostegno alla Fondazione, l’intervento di Sofia Sabatino, della Rete degli studenti, ha dato l’opportunità di ascoltare direttamente le loro ragioni.. Le ultime generazioni, ha sottolineato Sabatino, sono nate immerse in una cultura che mercifica il corpo delle donne e lega in una visione aberrante sesso, potere e denaro: “in una realtà in cui si parla tanto di sesso, mancano i luoghi per informarsi sulla sessualità e si chiudono i consultori”. Per uscire da questa situazione, Sabatino ha lanciato un vero appello alle donne più grandi, quelle che hanno vissuto gli anni del femminismo, perché insieme alle ragazze “riprendano le fila di un ragionamento che sono state tranciate negli anni del berlusconismo”, lavorando ad un rinnovamento del linguaggio e dei metodi della politica che dia vita ad un movimento intergenerazionale e realmente collettivo. In piena sintonia con questo invito, l’intervento conclusivo di Livia Turco che ha ripercorso “la sofferenza del degrado della politica vissuta dalle donne politiche” il cui silenzio è stata una forma “dell’estraneità e questo degrado”. Un silenzio che si è interrotto proprio a partire dal 13 febbraio, quando “ho provato una felicità partecipante, che mi ha fatto scattare la volontà di trasmettere alle giovani generazioni” tutto il patrimonio di leggi e di esercizio della libertà femminile che si erano espressi negli anni, per dare vita a quello che Emma Fattorini ha definito “umanesimo femminile”. Facendo anche riferimento ad una ricerca guidata da Donata Francescato, docente di Psicologia di comunità dell'Università “La Sapienza” di Roma,  e presentata al Convegno da Minù Mibane, Turco ha sottolineato il valore in più che le donne possono portare nella politica, rappresentato dalla capacità di costruire relazioni significative e dalla condivisione. “Parlo di efficacia, non di buoni sentimenti” ha sottolineato Livia Turco, indicando come queste doti si esprimano già nell’iniziativa comune e trasversale delle donne, fondamentale “perché i partiti hanno necessità di una spinta esterna”. Con l’obiettivo di arrivare ad un riequilibrio della rappresentanza che, secondo Turco, non può ridursi alla definizione di quote nelle liste. Ma che può partire da una riforma elettorale che ricostruisca il legame tra cittadine/i ed elette/i, reintroducendo i collegi elettorali, e da una riforma dell'articolo 49 della Costituzione che introduca nei partiti elementi di controllo pubblico e trasparenza.
Eva Antoniotti