La lettera: La Chiesa non deve difendere chi fa violenza alle donne
di Farian Sabahi da Io Donna del 12 aprile 2013

Dopo l’udienza generale del 3 aprile, in cui Francesco I ha sottolineato il “ruolo primario e fondamentale” delle donne, riceviamo e condividiamo questo appello rivolto al Papa da Farian Sabahi, docente di Storia dei Paesi islamici all’università di Torino. La storica chiede al Papa di far sì che la sacralità della famiglia non abbia un prezzo troppo alto: ovvero proteggere chi fa violenza su mogli e mamme.

Santo Padre, vorrei raccontarle una storia, nella tradizione orientale di Sheherazade ma ambientata in Occidente: c’era una volta Ginevra, viveva con il marito - rampollo di una famiglia di industriali radicata da generazioni in un paesino del Veneto - e i loro tre figli. La bella storia finisce qui: il marito di Ginevra non ha le virtù morali di re Artù, è un mostro che da una dozzina d’anni la picchia e usa violenza sui figli. Nei paraggi non si aggira nessun Lancillotto in grado di salvarli. Potrebbe essere un racconto di L’amore rubato di Dacia Maraini ma non è frutto di fantasia, come d’altronde non lo sono le vicende di quel libro. È una storia vera ambientata nell’Italia di oggi, in una famiglia abbiente: la violenza non ha solo a che fare con il degrado di certe periferie. Come tante altre donne che ancora non riescono a reagire, Ginevra (il nome è di fantasia) subisce e si sente colpevole. Non vuole lasciare il marito né denunciarlo. «Sarebbe come tradirlo» sospira. La settimana scorsa una delle bimbe si è alzata di notte per le urla della madre, l’ha trovata a terra, il padre la prendeva a calci. Il giorno dopo, a scuola, è scoppiata a piangere. La maestra l’ha abbracciata e si è fatta raccontare. Conosce da sempre il genitore: la famiglia è la più nota di quella borgata e versa parecchi denari alla Chiesa, la domenica lui si fa sempre vedere a messa. Mai si sarebbe aspettata che fosse un violento. È disposta a parlargli, ma Ginevra non vuole: «Ci ammazza di botte, me e la bambina!».
Secondo l’Istat la quota di violenti con la partner è pari al 34,8% fra coloro che a loro volta hanno subito violenza dal padre e al 42,4% fra chi l’ha subita dalla madre, e anche il marito di Ginevra ha alle spalle un genitore violento. Lei non si rende conto che potrebbe essere una di quelle 3.500 donne ammazzate ogni anno in Europa (stima del progetto Daphne). Intanto, la violenza colpisce i suoi figli, ma non la spinge a ribellarsi. Il marito si professa cattolico e non vuole la separazione, della stessa opinione sono i genitori di lei. Dal prete Ginevra si è sentita dire che deve sopportare: ora teme che il marito venga a sapere che s’è lamentata. Troppo spesso le donne che subiscono violenza non hanno il coraggio di chiedere la separazione perché il marito e le famiglie di origine si dicono cattolici e si oppongono. In questo senso, dice Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di Telefono Rosa, «il cattolicesimo è un ostacolo ai diritti delle donne: non vuole che si maltratti un componente del nucleo familiare ma, se avviene, la famiglia è sacra e non si smembra». Con la storia del perdono la religione cattolica finisce col perdonare tutto, anche chi insiste a peccare. E allora pare connivenza. Per questo, dopo aver strappato il velo all’orrore della pedofilia, seppur con mille difficoltà e una buona dose di omertà, è tempo che la Chiesa intervenga per fermare la violenza contro le donne.
Lo Stato ha il dovere di proteggere le donne e ben venga l’appello della presidente della Camera Laura Boldrini, ma la Chiesa può avere un ruolo decisivo, insistendo sul fatto che «ogni uomo deve essere custode di sé e degli altri», come lei, Santità, ha ricordato nella messa di inizio pontificato. «I femminicidi stanno raggiungendo proporzioni allarmanti, non si tratta di una nuova forma di violenza, non sono incidenti isolati e inattesi» scrive Rashida Manjoo in un rapporto Onu. Il problema è che «la violenza contro le donne continua a essere tollerata o giustificata, l’impunità è la norma ma non fa che intensificare la subordinazione delle vittime, mandando un messaggio: è accettabile e inevitabile, quindi il comportamento violento diventa normalità». Il suo intervento, Santità, può essere di grande aiuto, anche per i tanti minori coinvolti perché, osserva l’avvocato Anna Pelloso, «è tempo di riconoscere la violenza “assistita”, ovvero quella che si verifica quando il minore assiste alla violenza su persone cui è legato». Dobbiamo diffondere la consapevolezza del danno che la violenza, in ogni forma, provoca. Sempre. Per questo è ora che laici e religiosi uniscano le forze.
Farian Sabahi