La Carta delle Donne: una storia di confine di Livia Turco

Cosa fu concretamente la Carta delle donne, quale fu il suo vissuto, quali passioni animò’, quali eventi provocò, quali politiche attivò, quanto fu “itinerante” nella società italiana e quale segno lasciò  in chi la visse e in chi la incontrò ? Quanto incise nella società italiana e nella politica?


Abbiamo sintetizzato queste domande  nella definizione “una storia di confine”. Evocare il confine   ci porta ad affrontare  temi  dolorosi :chi avrebbe mai immaginato l’ergersi dei confini nella nostra civilissima Europa per impedire l’arrivo dei rifugiati e richiedenti asilo, figure previste e tutelate dai Trattati internazionali e dalle Costituzioni  nazionali? Temi cruciali per il governo della società e per il futuro dell’Europa. Oggi come allora e molto più di allora dobbiamo superare i confini, anzitutto nella nostra vita quotidiana, abbattendo le distanze tra noi e loro, tra italiani ed immigrati  per creare convivenza, non accontentandosi di parlare e praticare una integrazione subalterna ed unilaterale ma costruendo una cittadinanza plurale, interrogarci sul senso della nazionalità e della cittadinanza nel mondo globale, su  come costruire una cittadinanza plurale per realizzare  concretamente il motto dell’Unione Europea dell’unità nella diversità.

La Carta delle donne è stata una storia di confine proprio perché   rompemmo i confini e   sentimmo il gusto,  la passione, la curiosità  di immergerci nella società femminile in tutta la sua complessità, rompendo gli steccati delle appartenenze ideologiche, culturali e  politiche. Immergerci nella società femminile e guardare il mondo a tutto campo animate da un progetto : dalle donne la forza delle donne, per realizzare una profonda trasformazione sociale, costruire la società umana, la società a misura di donne e uomini .Io che mi ero formata a Torino, roccaforte della classe operaia, sono stata attratta dal femminismo della differenza sessuale, che ho conosciuto tramite Franca Chiaromonte, perché rispondeva a ciò che per me era il dato politico e culturale più significativo. Tutto Il mondo femminile attorno a me, in particolare le lavoratrici, le operaie della Fiat, che per la prima volta vi  entravano in massa e che poi furono cacciate a casa con l’inizio della crisi e che animavano con particolare ardore e creatività i cortei e le manifestazioni, mi stupivano per la loro forza. Non amavo il femminismo che indugiava sulle donne vittime, soggetto debole da tutelare.. Cercavo un percorso politico e culturale capace di raccogliere la FORZA femminile.

Eravamo nei primi mesi del 1986.Sostituivo come Responsabile Nazionale delle donne  Lalla Trupia che aveva fatto un eccellente lavoro di innovazione e di apertura alla società ed al femminismo insieme ad una eccellente squadra. Come era naturale scelsi una nuova  squadra, un gruppo di donne che si chiamava Sezione femminile Nazionale del PCI. Perla Lusa, triestina era arrivata da poco e rimase; Anna Maria Carloni da Bologna con la quale  avevo condiviso anche l’esperienza della FGCI; Gloria Buffo di Milano, allora responsabile nazionale delle ragazze della FGCI; Tiziana Arista segretario del Pci a Chieti e che piazzai nel ruolo cruciale di responsabile dell’organizzazione; Giulia Rodano, anche lei proveniente dai giovani comunisti di cui era stata responsabile nazionale delle ragazze; Elena Cordoni di Massa Carrara che veniva dal Sindacato; Roberta Lisi, la più giovane ; Alberta De Simone da Avellino, una insegnante tenace che conosceva bene il Sud; Marisa Nicchi da  Firenze anche lei proveniente dalla FGCI.. Successivamente arrivarono Anna Maria Riviello da Potenza, Donatella Massarelli da Terni, Silvana Giuffrè  da Palermo, Mariangela Grainer da Vicenza.. Insieme a questo gruppo decisi fin dall’inizio di stringere una forte alleanza con “le intellettuali”, diverse tra loro ma che mi affascinavano tanto :Franca Chiaromonte, con cui condivisi l’esperienza della FGCI e che dalla importante rivista” Rinascita” mi era sta vicina nelle mie innovazioni torinesi, Letizia  Paolozzi,  Luisa Boccia, Francesca Izzo, Claudia Mancina, Laura Pennacchi.

Poi c’erano le responsabili regionali e provinciali, quelle in prima linea :Anna Annunziata, Arianna Bocchini, Franca Cipriani, Vittoria Tola,  Antonella Rizza, Susanna Cenni, Anna Serafini, Delia Murer, Adriana Ricca, Josè Calabro,Maria Maniscalco,Pina Orpello,..ed altre 120 che presidiavano l’Italia. C’erano le nostre autorevoli  Madri da me molto amate: Marisa Rodano, Giglia Tedesco, Nilde Iotti, Lina Fibbi.. Coronova il tutto il plotone delle parlamentari capeggiate da Romana Bianchi e da Ersilia Salvato..

Con una squadra così potevamo “scatenare “ la forza delle donne italiane per cambiare la loro vita e contare nella politica.

Per farlo dovevamo avere un progetto ambizioso. Non si fa politica senza l’ambizione di un grande progetto che contenga un ‘idea di società” e la concretezza degli  obiettivi per cambiare quotidianamente le cose.” Idealità e concretezza” eravamo solite dire.. Da questa consapevolezza e da questa ambizione è nata” Dalle Donne la Forza delle donne”. Carta Itinerante. Idee, proposte, interrogativi..

Il titolo contiene il progetto e la proposta politica: costruire una relazione tra donne, fare squadra, tessere alleanze.

 

La Carta era “itinerante” perché doveva viaggiare in tutta la società italiana, incontrare le donne semplici della nostra vita quotidiana, ascoltare la loro voce, raccogliere i loro pensieri per farli pesare nella politica. Per questo avevamo previsto delle schede in bianco su cui prendere appunti e curammo  molto le parole, il linguaggio.

Volevamo che fosse semplice, che andasse dritto al cuore ma che avesse tutta la densità di un pensiero forte e competente.

Nell’introduzione della Carta scrivevo: ”Noi donne comuniste proponiamo alle donne una alleanza per vincere una scommessa: stabilire un rapporto nuovo tra la nostra vita e la politica, fare in modo che la nostra vita “invada” le istituzioni della politica, i governi ,i partiti che li compongono, diventi per loro “materiale ingombrante” li obblighi ad “inciampare” in essa.

Il progetto era la forza delle donne, per le donne ma anche per una trasformazione profonda della società. E della politica. Colpisce, leggendola oggi, la pesante critica alla politica in essa contenuta perchè lontana dalla vita quotidiana delle persone, inefficace, chiusa in se stessa, ostile alle donne ed ai soggetti del rinnovamento.

Costruire una alleanza tra pensiero della differenza sessuale e pensiero della trasformazione sociale per costruire una società umana, a misura di donne e uomini.

Bisognava costruire una cultura politica nuova e politiche concrete coerenti. Nuovo pensiero e nuove politiche.

Fu questo il senso di parole che contenevano il nuovo progetto “coscienza del limite”, “ il tempo delle donne, tempi di vita e di lavoro;” “rappresentanza di genere”.

 

Puntavamo sulla  forza e non la debolezza. Anche se sapevamo bene che la forza soggettiva si scontrava troppe volte con la debolezza sociale ,con una società avara nei confronti della esistenza sociale delle donne, a partire dal lavoro. Volevamo costruire  l’alleanza ,il patto,  la relazione tra donne per avere forza contrattuale nei partiti e nelle istituzioni, per invadere  i luoghi della politica.  Per affermare la propria differente identità e costruire a partire dal riconoscimento della differenza sessuale  una profonda trasformazione sociale ,la società a misura di donne e uomini, la società umana. Eravamo debitrici di questa scoperta al femminismo della differenza sessuale che scegliemmo come interlocutrici privilegiate. La Libreria delle donne di Milano, Alessandra Bocchetti ed il  Centro Virginia Woolfe,  l ‘Udi, Noi Donne allora diretta prima da Mariella Gramaglia e poi da Franca Fossati ,Ida Dominianni,  Adriana Cavarero,  Silvia Vegetti Finzi. Ma anche le sociologhe del Grif come Chiara Saraceno e Laura Balbo. Donne e Politica, la storica e prestigiosa rivista della sezione femminile nazionale del PCI fu trasformata in “Reti” diretta da una intellettuale femminista Luisa Boccia, e non dalla responsabile femminile.” Reti” fu uno strumento prezioso per superare i confini e promuovere ricerca, dialogo, confronto a tutto campo.

Ci sentivamo forti e sentivamo che quello era il nostro momento e noi volevamo giocarci la partita fino in fondo.” Facciamo come se il Pci non ci fosse” eravamo solite dire, alcune almeno, nelle nostre riunioni.

Il che voleva significare: esaltiamo al massimo la nostra autonomia, sprigioniamo la creatività e la forza femminile, non preoccupiamoci del Pci perché tutto ciò  farà molto bene al PCI. Che viveva un passaggio complicato, dopo la morte di Berlinguer, la segreteria Natta. Uno degli aspetti critici del PCI  era proprio la sua difficolta  di rapporto con la società ed il bisogno di forte innovazione culturale. E così  quando ci furono i fatti di Tien Ammen  ci fu naturale prendere la bandiera italiana e quella cinese ed andare a protestare davanti all’ambasciata cinese. Senza attendere la posizione ufficiale del Pci.

Ma noi non  eravamo solo femministe, eravamo donne comuniste e tenevamo molto alla nostra identità politica . Ed eravamo anche molto diverse tra di noi. Con biografie e percorsi politici culturali diversi.

Questa diversità’ conferma il carattere aperto e di massa del PCI ed il fatto che avesse fatto i conti con le donne. O, almeno, che  le donne comuniste, nella stragrande maggioranza e ciascuna a modo suo aveva fatto i conto con il femminismo.

La Carta iniziava con “ Siamo donne comuniste”.

 

Per noi essere donne ed essere comuniste non era una contraddizione. Poteva, doveva aprire dei conflitti con gli uomini  sulla qualità del progetto di trasformazione, sulle forme e pratiche della politica.

Perché per noi rivendicare la nostra identità sessuata, il nostro essere donna promuovere il progetto di una società di donne e uomini, non solo i corpi ma i pensieri differenti, significava costruire concretamente la società socialista.

La prima significativa rottura del confine  la sperimentammo  dopo la tragedia di Cernobyl quando decidemmo che dovevamo assumerci  una nostra responsabilità di donne. Capire quella tragedia, le sue cause, le sue conseguenze. Avanzare delle proposte.  Sollecitata in modo particolare da Franca Chiaromonte ed altre compagne femministe partecipai  alla manifestazione indetta dal femminismo romano il 24 maggio 1986 che proponeva un “patto di coscienza” . Preparammo come Sezione Femminile  un documento : “Vivere l’estraneità come forza politica”.   Chiamammo a raccolta le scienziate, le femministe, esperte in medicina ,in urbanistica, in politica ambientale, filosofe, politiche in un appuntamento che chiamammo: Dopo Cernobyl: oltre  l’estraneità. Scienza, potere, coscienza del limite. (4 luglio 1986).Non   fu un normale convegno ma un autentica  pratica di relazione in cui ci scambiammo con profondità umana oltrechè  del pensiero ,parole, potere, sapere. Che esprimevano punti di vista anche molto diversi tra di loro.

Emersero proposte concrete ma soprattutto un concetto, un idea guida con cui guardare al mondo ,una nuova categoria politica “la coscienza del limite”. Essa ebbe molta fortuna ed alimentò successivamente il dibattito pubblico. Quel  luogo e quell’evento ebbero  il merito  di fare diventare quella categoria politica parte del dibattito del PCI e della sinistra , costruire una più forte amicizia con la cultura ambientalista, proporre un ottica nuova con cui guardare al mondo, innovare la cultura politica. Una categoria politica che si rivelerà’ particolarmente  efficace nel ridefinire le questioni dell’aborto, della maternità ed affrontare con approccio nuovo i temi etici.

Particolarmente significativo per me in quella sede fu l’intervento di Alessandra Bocchetti,  ancor più’ rileggendolo oggi, che  lanciava una sfida alle donne della politica : tragedie come quelle di Cernobyl richiede che le donne siano forti ed autorevoli nei luoghi della politica e questo può avvenire solo se si realizza un patto tra donne. Scriveva Alessandra nel suo intervento” Come fare altrimenti ad ipotizzare le donne  come forza politica senza  immaginare una loro saldatura .Un patto tra donne è dunque una proposta molto concreta, la coscienza stava a significare la necessaria  ed ineludibile memoria della differenza”. Mentre la Libreria delle donne di Milano concludeva così’ il suo intervento ”.. gli interventi femminili nel mondo servono poco o niente se non prendono forza, ragione, argomenti da rapporti sociali tra donne. Da un autorità sociale di origine femminile.” Questo nucleo teorico era molto di più che non riconoscere come avevano fatto i congressi del Pci che la contraddizione di sesso agisce e viene prima  di quella di classe .Il nucleo teorico della politica della differenza sessuale è che bisognava ripensare la società, la vita, il pensiero la politica a partire dal due, uomo e donna. Ciò’ significava un profondo ed impegnativo viaggio interiore che ciascuna donna doveva compiere  per destrutturare modelli, modi di  vedersi, pensarsi, rapportarsi agli uomini ,non essere più  definite dallo sguardo e dal desiderio maschile. Un viaggio interiore che non poteva avvenire in modo solitario ma attraverso la costruzione di rapporti sociali nuovi tra donne  che rompessero concretamente il patriarcato  e che obbligasse gli uomini a mettersi in discussione, a cambiare la loro umanità. Per costruire una dimensione nuova di ciò che è universale. Senza quei rapporti sociali nuovi tra donne non si poteva costruire la forza delle donne. Questo  era politica e noi per la prima volta volemmo tentare la costruzione di quei rapporti sociali nuovi tra donne in un luogo maschile quale era un partito politico. Fummo molto colpite da quell’evento  del dopo Cernobyl   perché misurammo  la praticabilità e l’efficacia della relazione tra donne  e la proposta del patto tra donne.  Ci parve che esso fosse praticabile anche in un partito, da parte di donne di partito che però avrebbero dovuto rischiare, rompere i confini ,giocare in campo aperto, cambiare le pratiche e forme della politica a partire da quelle di casa propria e che lo si poteva fare costruendo rapporti sociali nuovi tra donne basati sul reciproco riconoscimento ed anche affidamento. Proseguimmo con la Festa Nazionale delle donne a Tirrenia, luglio 1986,  cui invitammo Luce Irigaraj ,la filosofa teorica del pensiero della differenza sessuale, che svolse la sua lezione :”Una probabilità di vivere. Limite al  concetto di neutro ed universale nella scienza e nella tecnologia”. L’incontro tra la sezione femminile  con la  filosofa fu concretamente  possibile grazie alla mediazione di Franca Chiaromonte che ospitava  su Rinascita una rubrica in cui Luce Irigaray  scriveva regolarmente. La discussione tra noi  donne comuniste era molto accesa. Alcune temevano che la rottura dei confini fosse eccessiva e portasse allo smarrimento della nostra identità. Da  qui, da Cernobyl , nacque l’idea della Carta delle donne, di un progetto che rendesse concreto il patto tra donne, avesse l’ambizione di costruire la società futura e incidesse nella quotidianità sociale per migliorare la vita delle persone. La Carta fu scritta discutendo animatamente ,spostandoci  tra le stanze della Sezione Femminile,   al Centro Virginia Wolfe,  la  casa molto allegra di romana Bianchi, i faticosi  giri per l’Italia ad ascoltare tutte. La scrivemmo con il rigore della concretezza, con l’allegria di una nuova avventura, con la voglia di vincere. La proposta politica era il Patto tra donne attraverso la pratica della relazione.

Questa proposta politica coglieva un dato di fondo della società italiana ed anche europea: le donne italiane erano cambiate profondamente, avevano nuova consapevolezza di se’, erano dotate di saperi  e competenze, di professionalità che non volevano più vivere stando ai margini.  Volevano contare nella società e nella politica. E noi sentivamo che quel patrimonio di trasformazione doveva essere utilizzato, chiamato in causa, valorizzato per cambiare profondamente il paese e la politica.  Quella nuova forza femminile non poteva ridursi a vivere una pratica individuale della emancipazione acquisita. Doveva creare lavoro, rompere  il welfare familista basato sulla centralità del maschio capofamiglia, rompere il tetto di cristallo rappresentato dalla politica. C’era poco tempo. Avevamo poco tempo per tradurre quella forza individuale in trasformazione  sociale e politica. Avevamo poco tempo per rispondere alla domanda di cambiamento delle donne. Perché  essa era forte e molto diffusa, come si direbbe, trasversale. I partiti ,anche il nostro non se ne rendevano conto, finito il femminismo delle piazze tutto sembrava tornato normale .Ed invece tutto era cambiato. Ma mancavano le sedi ed i luoghi politici per contare ed avere risposte concrete.

 Perché i  problemi sociali  incalzavano, soprattutto la disoccupazione femminile e l’attacco al welfare in un clima culturale il neoliberismo che riproponeva la centralità del mercato, la riduzione del welfare,  l’esaltazione dell’individuo solitario. Tale clima culturale conteneva anche un messaggio rivolto alle donne  che diceva seppur in modo vellutato  “torna a casa donna”  riscopri il valore della famiglia, spendi lì’ la tua nuova identità femminile.  Come proponeva Betty  Friedan con il suo libro che ebbe  una  ampia eco : “LA Seconda fase”.

Per questo sentivamo l’urgenza della lotta e della mobilitazione. Non solo del pensiero innovativo come spesso ci accusavano i nostri compagni. Lanciammo petizioni per difendere le pensioni, promuovemmo manifestazioni contro i tagli ai servizi contenuti nelle leggi finanziarie. Agivamo in sintonia con i coordinamenti femminili Cgil, Cisl, Uil, forti e combattivi ,diretti da  Maria Chiara Bisogni, Carla Passalacqua,  Franca Donaggio .Esse erano state autrici  con noi e tante altre di una nuova elaborazione sul lavoro, che tenesse insieme  la produzione e la riproduzione sociale e dunque individuava  nella conciliazione tra lavoro nel mercato e lavoro di cura la questione  ineludibile.

 Ricordo il nostro convegno “Identità ,lavoro ,sviluppo .Le donne. Risorse  e progetti (Roma 21,22,23 febbraio 1986).I coordinamenti indissero   una manifestazione a Napoli  il 14 ottobre1986

La Sezione Femminile Nazionale del Pci aderi’ e lavorammo per promuovere la partecipazione di tante donne. Fu una manifestazione soprattutto del Mezzogiorno che aveva per slogan “lavoro qualificato ,riposo meritato.” Quella manifestazione,50,000 partecipanti ,era il caleidoscopio del rapporto donne e lavoro: braccianti del caporalato, precarie, disoccupate, lavoratrici.. Emerse il dato eclatante che il 60% delle disoccupate nel Sud erano laureate. La situazione la sintetizzavamo cosi’: molte più donne che in passato hanno un lavoro molte più donne che in passato cercano lavoro, molte più donne che in passato non trovano lavoro. Fu una manifestazione imponente attraversata da una grande preoccupazione per le politiche che si abbattevano sul  nostro paese ma anche da una grande determinazione e combattività. Non a caso proprio a partire da quegli anni difficili cominciò ad aumentare la ricerca attiva del lavoro da parte delle donne  e dunque sia l’occupazione che la disoccupazione femminile. il Governo fu costretto ad indire Una Conferenza Nazionale sull’occupazione femminile, Ministro del Lavoro De Michelis.  Noi  e le donne  dei sindacati chiedevamo incentivi per l’assunzione delle donne, il riconoscimento delle loro competenze, una formazione professionale mirata, lo sviluppo dei servizi sociali.

Il dato nuovo che si registrò  in quella sede fu un linguaggio nuovo  tra donne dei partiti,  delle associazioni professionali, dei sindacati ,del femminismo nel parlare di lavoro, un lavoro che riconoscesse le competenze femminili  e che si conciliasse con la cura e con il tempo per se’. L’importanza di non guardare solo al lavoro svolto nel mercato del lavoro ma dare dignità sociale  a quell’altro lavoro, quello di cura e famigliare. Quella nuova visione del lavoro che univa tradizioni culturali che storicamente si erano contrapposte, era frutto del nuovo modo di essere delle donne e del femminismo ed anche frutto anche del dialogo tra donne  che si praticava nella  Commissione Parità e pari opportunità fortemente voluta dalle donne socialiste,  Alma Cappiello ed Elena Marinucci.

I coordinamenti femminili dei sindacati svolgevano  una funzione importante, attraverso la loro unità per scuotere il sindacato,  la cui azione era inadeguata nel cogliere la novità dirompente della ricerca di lavoro e del senso del lavoro nella vita delle donne. I coordinamenti femminili  sollecitavano il sindacato a porre al centro delle sue  politiche e delle  piattaforme rivendicative e della contrattazione  territoriale lo sviluppo dell’occupazione femminile anche attraverso interventi mirati insieme alle politiche del welfare. Misurammo tutte in quegli anni ed anche successivamente quanto fosse duro scardinare il welfare familista basato sulla centralità del maschio capofamiglia.

Questo era il nocciolo duro della storia sociale e culturale del nostro paese che dovevamo scardinare per costruire la società a misura di donne e uomini e , guardando  con gli occhi di oggi, per non diventare un paese in cui è proibito fare figli . Quel nocciolo duro lo cogliemmo con molta lucidità. Non riuscimmo a romperlo. Lo incrinammo con delle buone politiche.

Nel novembre dello stesso anno, il 1986 la direzione nazionale del PCI approvò la Carta Itinerante delle donne comuniste” Dalle donne la forza delle donne”.

E’ evidente da quanto ho raccontato che essa era il frutto di un percorso di confronto e di partecipazione che aveva avuto come fulcro quelle donne della Sez,Femm, le intellettuali, le madri, come Marisa Rodano(che ci aveva offerto l’ospitalità della sua casa in mezzo alla frescura delle belle piante del giardino),Giglia Tedesco e perfino Nilde Iotti ne fu incuriosita e volle essere informata su quello che stava succedendo “tra le giovani compagne”. Chi aveva scritto la Carta erano esse stesse  donne di confine, che vivevano la bellezza della propria identità politica e di donne insieme con la curiosità verso le altre ed anche la disponibilità a farsi cambiare dalle altre.

La riunione della Direzione fu da me preparata  immaginando  che avrebbe potuto incontrare molti ostacoli: un progetto che si chiamava dalle donne la forza delle donne che proponeva la costruzione di un patto tra donne che veniva prima dell’appartenenza al partito donne e poneva a fondamento della cultura politica della sinistra la dualità del genere umano.. E’ vero che il tutto era corredato da obiettivi concreti di cambiamento ampiamente compatibili con una politica di sinistra. Ma, l’innovazione era notevole.

Immaginavo le critiche : astrattezza,  subalternità al femminismo, separatismo,  fare il partito nel partito. E’ vero che le iniziative che avevamo già intrapreso come la manifestazione sul lavoro e la riflessione aperta sul dopo Cernobjil ci aveva aperto un credito anche tra gli uomini che avevano colto l’innovazione e culturale e lo sforzo di costruire legami ampi con la società. Dunque sentivo attorno a noi anche molta simpatia e curiosità da parte dei compagni dirigenti, soprattutto sui territori,   tra gli iscritti.

Inviai il testo prima della riunione a Nilde Iotti, lei era molto curiosa verso “le giovani compagne”, la sentivo molto vicina ed anche materna. Lei che non aveva amato e compreso il femminismo..  Andai a parlare con Natta e gli illustrai il senso  della operazione politica  che facevamo esaltando lo sforzo di apertura alla società, gli dissi : “vedi , la chiamiamo Carta Itinerante perché vogliamo viaggi nel paese, ascolti le persone, le solleciti a fare politica”. Ricordo il guizzo luminoso  dei suoi occhi, quella espressione “Itinerante” gli piacque  tantissimo. ”Bellissimo ,dunque, Carta Canta. Andate ,andate, fate cantare    la Carta.” Sapevo bene la ragione della sua soddisfazione . Lui  leggeva in quel progetto lo sforzo di costruire una” nuova politica di massa” e capiva anche quanto ciò fosse importante tanto più quando il PCI viveva una fase di crisi e di isolamento nella società, dopo la morte di Enrico Berlinguer e difronte al dispiegarsi della rivoluzione neoliberista che stava approdando nel nostro paese. Feci leggere il testo ad Achille Occhetto in qualità di coordinatore della Segreteria ed ebbi il suo convinto consenso. La riunione della Direzione si svolse in modo rapido. Ne conservo un ricordo molto vivo. Natta introdusse brevemente e mi diede la parola, poi intervenne la Iotti sostenendo che il progetto delle “giovani compagne” era molto innovativo, coglieva punti importanti della condizione femminile e andava sostenuto da tutto il partito. Ricordo quando entrò in Direzione con in mano la busta che le avevo inviato.. Ricordo il suo sguardo complice e materno. Con me erano Lalla Trupia e Giglia Tedesco. Dopo l’intervento di Nilde Iotti si avvicinò Aldo Tortorella, uno dei pochissimi, insieme a Gerardo Chiaromonte e ad Achille Occhetto ad avere capito la vera innovazione della Carta a proposito del pensiero della differenza sessuale, che mi disse :”Cara vecchia ti consiglio di chiudere con la benedizione della Iotti, se si apre la discussione non si sa come va a finire”. Non so cosa sia scritto nei verbali della Direzione a proposito di questa discussione.

A me non interessava” convincere “gli uomini del partito sul valore della differenza sessuale e del nuovo pensiero femminile; mi interessava ”conquistarli” con la forza dei fatti, ero convinta che si avesse  peso ed influenza nel partito se si aveva peso ed influenza nella società. Per questo mi interessava scatenare la forza delle donne nella società. Solo così avremmo avuto peso nel partito.

“Facciamo come se il PCI non ci fosse” era un’espressione che mi sono trovata ad usare in diverse circostanze importanti.

Nell’impianto culturale della Carta e nella sua stessa struttura c’è una ambivalenza di cui ero molto consapevole, una ambivalenza direi voluta da alcune di noi in particolare: l’ assunzione del pensiero e della pratica della differenza sessuale e la parte programmatica, fatta di obiettivi concreti che ci consentiva un dialogo a tutto campo con le donne italiane. Lavoro, welfare, pace nel mondo, ambiente, riforma delle istituzioni , i problemi del Mezzogiorno ecc. Non lo specifico femminile ma la politica a tutto campo .In realtà quell’ambivalenza era l’anima della Carta  e costituiva  la sua originalità: mettere a fondamento di un progetto di trasformazione sociale la differenza di genere e realizzare il  cambiamento  facendo agire la relazione tra donne. Per questo il progetto non si poteva dividere in due parti, la relazione tra donne, gli obiettivi programmatici e scegliere a piacere una delle due parti.

Il progetto aveva una sua unitarietà e coerenza : la relazione tra donne ,il riconoscimento della dualità del genere umano per costruire la trasformazione sociale, per essere realmente sinistra del cambiamento. Bisognava dunque far scaturire dalla forza delle donne e dal pensiero e pratica della differenza sessuale un progetto di trasformazione sociale. Che avevamo sintetizzato  in :

Costruire la” società umana”, la” società a misura di donne e uomini”

Ambizione quanto mai attuale..

Ci fu discussione aspra tra di noi ed i pensieri erano diversi  tra chi intendeva la Carta come relazione tra donne e chi guardava solo agli obiettivi programmatici e non aveva capito il valore dirompente della relazione tra donne. Ma l’ambivalenza felice  consentì ad entrambi gli schieramenti di esprimersi e di produrre politica .Sono convinta che ci siamo contaminate, che siamo cresciute tutte in ciò che la Carta ci ha consentito di realizzare: il dialogo con tante donne, l’attenzione verso di noi da parte  di tanti ambienti femminili, dalla Coldiretti, alle donne cattoliche, alle imprenditrici, alle docenti universitarie, alle operaie, alle intellettuali femministe.

Con la pratica della Carta, della relazione tra donne imparai, imparammo ad avere più fiducia in noi stesse, a sentirci autorevoli  e non più” seconde” agli uomini. Oggi, facendo un bilancio, lo dico sul piano personale, è proprio questo il punto su cui avremmo dovuto lavorare molto di più  su noi stesse,  valorizzare l’autorevolezza acquisita su campo , liberarci del sentimento della secondarietà e della fedeltà ai nostri capi. Quell’autorevolezza ed autonomia reali avrebbero consentito di fare pesare di piu’ le nostre elaborazioni, di legarle non solo ad una forza collettiva ma a delle laedership. Eravamo convinte che i nostri laeder cooperassero, fossero disponibili a cambiare, a costruire anche nella politica rapporti nuovi con le compagne ,paritari e capaci di riconoscere autorevolezza, così come stava avvenendo nelle relazioni private. Vi chiedo, è stato così?

  La bellezza dell’esperienza della Carta fu averci consentito di vivere la mescolanza di diversi mondi femminile, di constatare la nostra credibilità tra le donne. Sentimmo tutte la responsabilità e la passione di far contare  nella politica e non solo nel nostro partito quella grande forza che percepivamo esserci tra le donne italiane .Si, il sentimento prevalente era la passione politica.

Questo diede un nuovo senso alla nostra proposta di autonomia politica. Non bastava esprimere autonomia di pensiero  nel partito ma dovevamo far contare  donne nel paese, essere soggetto che contribuisce a tradurre la forza individuale e sociale delle donne in contrattualità sociale e peso politico. Molte delle donne qui presenti potrebbero raccontare la loro esperienza della Carta a contatto con il paese e con le donne. La proposta che avanzo è di continuare a ricostruire la rete delle protagoniste perché scrivano i loro ricordi, recuperino il materiale che conservano per deporlo in un  luogo di ricerca storica che secondo me non può che essere l’Istituto Gramsci che ha rilanciato l’Archivio storico delle donne comuniste.

Le nostre commissioni femminili sul territorio avevano sprigionato tutta la loro creatività. Come Josè Calabro’ a Catania che tradusse la Carta in un gioco delle carte e  inchiodò con quel gioco delle carte  centinaia di donne ed anche uomini a discutere in una piazza di Catania sul lavoro, sulla scuola, sul mezzogiorno ,sulla forza delle donne,  su come cambiare la loro città .Il gioco delle carte si diffuse e animò  molte piazze d’Italia. Coinvolse tutta la Toscana dove Anna Annunziata mi fece girare come una trottola non solo nei capoluoghi ma nei piccoli centri” vuoi essere itinerante..devi itinerare “ mi diceva sempre con il suo affetto e la sua ironia..

L’incontro più’ bello ed affollato lo ricordo una domenica mattina a Lucca..Ci divertimmo molto  perché ci sentivamo unite ,perché volevamo strappare risultati per le altre, perché volevamo cambiare il mondo. Non a caso insieme al gioco delle carte indicemmo manifestazioni contro le leggi finanziarie, a difesa della legge sull’aborto, contro la violenza .Discutevamo con la Federcasalinghe sui diritti  delle casalinghe, sulla pensione, sugli infortuni domestici. Ma, ciò’ su cui scattava il faeliing  anche con loro  era quando dicevamo “dobbiamo fare un patto tra noi perché dobbiamo contare”. Analoga cosa avveniva quando con Paola Ortensi, responsabile delle donne della Confederazione Italiana Coltivatori, che mi portava nelle campagne ad incontrare le coltivatrici dirette. Parlavamo del loro lavoro, delle innovazioni che stavano realizzando, del bisogno di una legge per la tutela della maternità , di fare alleanza tra donne, di avere più potere. Fu uno di quei giorni che non si dimenticano l’incontro avvenuto alle Botteghe Oscure con i massimi vertici femminili della Coldiretti, alleata storica della DC ..Incontro possibile grazie alla relazione tra Paola Ortensi e Alessandra Tazza, le rispettive responsabili femminili .Era caduto un muro grazie ad una relazione tra donne. Fu importante Constatare anche in questa occasione che ci battevamo per gli stessi obiettivi, ma, soprattutto la curiosità nei nostri confronti e la condivisone della necessità del patto tra donne. Con la Lega delle Cooperative che in vista del loro 32mo congresso traendo spunto dalla Carta tennero a Rimini nel marzo del 1987, come può raccontarci Vanda Giuliano, un seminario di due giorni ,su come cambiare l’impresa e colorarle  di rosa, far emergere le competenze  femminili, finalizzare la loro attività alla innovazione del welfare, accrescere il potere delle donne.

 Ricordo un intenso viaggio nel mezzogiorno con Alberta De simone,instancabile..In Calabria con Antonia Lanucara, andammo in tutti i luoghi di lavoro, nei pochi asili nido, nelle Università, facemmo riunioni nelle case con le donne che non erano abituate a frequentare luoghi politici. In Puglia con Marialba Pileggi e le donne che combattevano contro i caporali  ,ma anche le università, le fabbriche, le associazioni femministe, i movimenti per la pace. Come dimenticare l’apertura del primo asilo nido ad Atripalda in provincia di Avellino  con  Alberta De Simone .Ed il viaggio in tutti i quartieri difficili di Napoli ,ma anche le università e gli incontri con il vivace femminismo napoletano  animato da Luisa Cavaliere e Giovanna Borrello.

Mi rimase nel cuore l’attesa, la speranza che stavamo seminando …Mi chiedevo angosciata” ma come faremo a rendere concreti gli obiettivi che proponiamo ed in cui queste donne credono, ci danno fiducia”. Ecco ciò che percepivamo, la fiducia, che noi non potevamo tradire. La stessa speranza che raccolsi in Sicilia dove Maria Maniscalco ,Iose’ Calabro’,  Antonella Rizza. Anche qui,fabbriche,scuole,università.,associazioni,femminismo,disoccupate,incontri nelle case. Anche l’incontro con le suore, visita alle donne dei partiti. Questo era lo schema di lavoro adottato in tutto il territorio nazionale dalle nostre compagne ed il libretto della Carta Cantava, per soddisfare l’auspicio di Natta, perché non solo fu diffuso ma tradotto in versioni più semplici, come nei piccolissimi centri. Credo siano tante le donne che ancora oggi conservano tra le carte quel libretto con la D color fuxia. Viaggi analoghi nella grande città, a Roma la carta fu discussa in tutte le sezioni, come a Bologna a Firenze a Venezia, Vicenza, Genova. Le Feste  delle donne a Rimini.. Ma anche le donne del carcere di Rebibbia con la infaticabile e rimpianta Leda Colombini. Ovunque sentivamo incoraggiamento, ovunque ci davano fiducia a costruire il Patto tra donne. Realizzammo un nuovo rapporto con le forze politiche. In particolare con le donne cattoliche ed il movimento femminile Dc che anche grazie alla mediazione di Paola Gaiotti che era diventata componente della redazione di Reti coglievano il senso del nuovo pensiero, l’attenzione nuova al lavoro, alla maternità alla famiglia. Che a sua volta era indice della riflessione nuova che le aveva investite sia nel partito che nella Chiesa. Ricordo quando mi invitarono alla loro Festa dell’Amicizia a Stresa e mi accolsero con un calore umano ed una stima politica che porto nel cuore.

Con le donne socialiste il rapporto era più competitivo .Loro sentivano che noi eravamo forti e temevano la potenza della nostra organizzazione ma si sentivano più brave e moderne di noi, più spregiudicate nell’uso del potere e dei media, che noi invece non sapevamo usare. Anche se eravamo riuscite a catturare l’attenzione del Venerdì di Repubblica dove Fiamma Nirestain  ci dedicò un bellissimo servizio. Potevamo contare su alleanze preziose come l’Unità, il Manifesto Noi donne. Mi ha colpito rileggere un articolo che avevo scritto per l’Unità, l ‘editoriale dell’8 marzo 1987, un anno dopo la Carta, ed in cui facevo un bilancio di quanto avevamo capito delle donne e del nostro paese…

Purtroppo avemmo avuto  poco tempo  per sprigionare il progetto della Carta, la scadenza elettorale delle elezioni politiche del giugno 1987 ci chiedevano di trarre dei risultati dal percorso che avevamo intrapreso e dovevamo essere coerenti verso le donne italiane a cui avevamo promesso di “ingombrare le istituzioni della politica con la loro vita quotidiana”. Dunque, dovevamo inventarci qualcosa. Dovevamo portare la forza delle donne in Parlamento per far vivere in quel luogo il Patto tra donne.

Allestimmo un grande gioco di squadra ed animate da orgoglio e passione politica facemmo una battaglia determinata: per avere tante donne in lista, per ottenere almeno il 30% di donne elette, per convincere le donne italiane a sostenerci e per obbligare i nostri uomini a sentire loro quella battaglia.

Fu una battaglia dura ma il gioco di squadra tra noi su tutto il territorio nazionale fu eccellente. Il dialogo con le donne italiane intenso ed anche difficile. Misurammo quanto andavamo controcorrente anche tra le donne dicendo “vota donna”. Fu una battaglia dura ma la vincemmo. Vinsero le donne perse il PCI.. Una contraddizione non facile da spiegare e da accettare. In realtà quel risultato si spiegava molto bene: avevamo avuto il coraggio dell’apertura, dell’innovazione, del piglio vincente e questo aveva pagato. Era piaciuto. Non era stato  questo il tono ed il piglio del partito in quella fase. Per onestà dobbiamo ricordare cha appartenevamo ad un partito regolato dal centralismo democratico ,per cui vinta la battaglia in comitato centrale ,tutte le strutture del partito dovevano adeguarsi e tutti i dirigenti comunisti dovevano sentirsi impegnati a tessere le lodi della democrazia di donne e uomini… Al di là del loro grado di convinzione. Ma in questo caso vincemmo noi donne, per il credito che avevamo acquisito. IL PCI ha perso le donne hanno vinto, dissi in Direzione con orgoglio ed  anche convinta che dalla vittoria femminile il partito avesse da imparare qualcosa. “Le disgrazie non vengono mai sole” fu la sarcastica battuta di Giancarlo Pajetta. La sconfitta elettorale  indusse ad una sorta di archiviazione di quel risultato nel partito sostenendo  che avevamo tante donne in Parlamento ma non avevamo inciso sugli orientamenti elettorali delle donne.

In realtà non era così, quella battaglia consolidò  un processo che si era avviato dopo il referendum sul  divorzio e che stava lentamente spostando l’orientamento elettorale delle donne dalla DC verso la sinistra e sarebbe poi stato determinante nella vittoria dell’Ulivo. La reazione dei compagni non ci intimidì  rileggendo oggi  le nostre dichiarazioni, i nostri articoli su l’unità ed il Manifesto.

Il nostro risultato fu molto apprezzato sia dalle donne democristiane che dalle donne socialiste. Elena Marinucci partecipò alla nostra conferenza stampa per farci i complimenti.” Come avete fatto a portare questo plotone di giovani” mi chiese simpaticamente Maria Eletta Martini e la questione fu oggetto di riflessione nel movimento femminile DC. Ricordo un articolo di apprezzamento e riflessione su il Popolo.  Ricordo l’orgoglio di essere in tante ma ricordo anche il disagio nel vedere quell’emiciclo diviso a metà: una parte colorata per usare una espressione di Andreotti, un'altra bianca e nera, grigia. Mi chiedevo : ma cosa possiamo fare se non abbiamo interlocutrici, come possiamo costruire il  patto tra donne se le donne sono da una parte Sola? Per ottenere dei risultati dobbiamo costruire qui, nel Parlamento e non solo con le donne della società un alleanza tra donne. Tanto più dentro la crisi politica ed istituzionale che si stava profilando. Ne parlai con Romana Bianchi, con Ersilia Salvato, con le compagne della sezione femminile. Capimmo che proprio per far vivere il patto tra donne   dovevamo essere in tante in tutti gli schieramenti politici e che il tema del riequilibrio della rappresentanza doveva diventare un tratto del sistema politico e non una norma interna ad un partito. Noi avevamo vinto senza quote,  con la forza di un progetto ma quel progetto aveva bisogno di interlocutrici nelle istituzioni e non solo fuori. Riscoprimmo proprio su questo tema il valore della trasversalità femminile. Dovevamo  realizzare le riforme istituzionali per affermare il principio  della democrazia paritaria. Dovevamo dotarci  di un pensiero riformatore autonomo sul complesso delle riforme necessarie. Insomma, imparare da Nilde Iotti. Questo fu un punto di profonda incomprensione con le amiche femministe. Alcune considerarono il nostro progetto di riequilibrio della rappresentanza un tradimento della Carta perché metteva in secondo piano la relazione tra donne e la costruzione di nuovi  rapporti sociali femminili.

Altre come Alessandra Bocchetti  riteneva che la nostra presenza non fosse adeguatamente trasgressiva ,si limitava a produrre nuove leggi ma non a cambiare il modo di essere delle istituzioni. Per fare questo bastava l’azione ed il coraggio di poche che desse l’esempio e trasmettesse il coraggio alle altre. C’era del vero in questa critica ma la questione della riforma delle istituzioni non poteva essere affidata solo  ai gesti trasgressivi. Richiedeva una nostra visione riformatrice complessiva. Che in realtà non avevamo.  Lo sottolineò  acutamente Giglia Tedesco in un suo articolo su Reti.

  Guardando  oggi la questione credo sia stato lungimirante aver proposto  la democrazia paritaria come battaglia trasversale per modificare un tratto fondamentale del sistema politico.

Sperimentammo questa trasversalità in occasione della riforma della legge elettorale dei Comuni (nel 1993) quando introducemmo la norma delle liste composte da almeno il 30% di donne. Costruimmo una alleanza con le donne democristiane e socialiste. Si scatenò  il putiferio ed un dibattito duro tra donne che ci contrapponeva a personalità  come  Emma Bonino,  Loretta  Fumagalli Carulli ed altre parlamentari  contro le “ norme panda”. Scese in campo Nilde Iotti a difendere la norma del 30% attraverso un intervento in  cui precisò  la distinzione  tra norme di tutela e norme di garanzia. Quella che votavamo era una norma di garanzia democratica. Altro che norma panda.. La norma fu approvata.  Poi fu impugnata da una sentenza della Corte costituzionale perché ritenuta incoerete con l’artico 51 della Costituzione.

Si avviò un dibattito e una iniziativa ampia ed importante  tra  associazioni e gruppi di donne che interpellò  i costituzionalisti aprendo tra loro un dibattito ampio ed importante  che portò alla modifica dell’artico 51 della costituzione.(30 maggio 2003).Seguirono altri provvedimenti. Il più importante è sicuramente la legge sulla doppia preferenza nei consigli comunali votata la scorsa legislatura. E’ importante  che la democrazia paritaria sia un tratto del sistema politico avvalendosi di norme e regole specifiche,

Ma esse resteranno lettera morta e la democrazia non sarà paritaria se non ci saranno fatti politici dei partiti, delle donne, se non vive un forte progetto di cambiamento, se quella tante donne nelle istituzioni non costruiscono una relazione forte con le donne nella società e producono politiche che cambia la vita di donne e uomini. Dunque, secondo  me per vincere il primato è sempre del progetto politico e della forza individuale e collettiva delle donne. Il primato resta il patto tra donne ed una nuova alleanza con gli uomini. Contano gli atti simbolici come un parlamento con un gruppo parlamentare formato al 40% di donne come è il PD, conta moltissimo un governo formato da metà donne e metà uomini. Contano le politiche a favore delle donne e per migliorare la vita di tutti.

 

Proseguimmo nella nostra determinazione ,nel nostro progetto della società a misura di donne e uomini, del cambiamento sociale e culturale mettendo in campo attraverso un accurato lavoro  di ricerca, studio, convegni, la proposta di legge d’iniziativa popolare”  Le donne cambiano i tempi”.300mila firme raccolte in poco tempo. Firmarono tutte: le braccianti, le operaie, le imprenditrici, le docenti universitarie, le insegnanti ed anche le casalinghe .La lanciammo da una manifestazione che svolgemmo al Pantheon  dove, rompendo il galateo  istituzionale ,volle essere presente e parlare la Presidente della camera Nilde Iotti a cui avremmo dovuto poi consegnare le firme. (9 aprile 1990).Una marea di convegni ed iniziative.

La legge pubblicata in un simpatico libretto contenente   un racconto di Lidia Ravera “la donna Gigante”, di Giuliana Dal Pozzo “Storie nostre” e da una intervista alla Sindaca di Modena, Alfonsina Rinaldi,  che stava sperimentando il Piano regolatore del tempi, per cambiare i tempi della Città.

Ancora una volta avevamo colto nel segno. Eravamo in sintonia con la vita profonda di tante donne e stavamo realizzando una profonda innovazione culturale che cambiava la cultura politica del PCI e della sinistra. Siete astratte ci dissero tanti uomini e qualche donna. Ricordo quanta rabbia ci provocava questa critica. Ma noi avevamo rotto ogni confine e ci sentivamo a nostro agio a parlare e discutere con ogni donna.   ed ANCHE TRA I COMPAGNI C’ERA CHI CI SEGUIVA CON IMPEGNO E CURIOSITà A PARTIRE DAL RESPONSABILE DEL LAVORO ANTONIO bASSOLINO,IL cESPE CHE VI DEDICò UN CONVEGNO CON UN impegnato intervento di claudio de vincenti ed altri.D’altra parte IL 26 MARZO DEL 1988 LE DONNE ERANO SCESE IN PIAZZA IN OLTRE DUECENTOMILA PER DIRE “pER IL LAVORO,PER UNA NUOVA QUALITà DEL LAVORO CONTRO LA VIOLENZA”.

 iL capo della Federmeccanica, Felice Mortillaro ,  mise le cose in chiaro scatenando tutta la sua contrarietà verso un progetto che proponeva la  flessibilità dell’orario e la riduzione dell’orario di lavoro per poter  vivere  il tempo della cura, il tempo per la formazione, il tempo per sé e creare nuove occasioni di lavoro. Cambiare i tempi delle città, attraverso il piano regolatore dei tempi, come stava sperimentando la sindaca di Modena Alfonsina Rinaldi  . Dopo quelle dure, quasi irridenti  posizioni  forse il progetto non risultava più così astratto a quegli stessi compagni dirigenti e  sindacalisti. La proposta fu accolta da l ministro del Lavoro Tina Anselmi. Fu esaminata in sede di discussione generale nel corso della decima legislatura, ma poi il suo iter si interruppe.

La legge fu messa all’odg dei Governi dell’Ulivo ed io ne fui il Ministro competente, Elena Cordoni ed Ornella Piloni relatrici alla Camera ed al Senato.

Fu una battaglia durissima farla approvare dal Consiglio dei Ministri.  Avevo allestito un tavolo con i sindacati che sostenevano con determinazione la legge, tutte le categorie economiche. Avevamo ricostruito un patto tra donne.

Ma pesava la forte contrarietà della Confindustria che fece sentire la sua influenza attraverso una pesante azione di lobby. Il tema inoltre non era considerato così importante da parte di  tanti Ministri. Poi c’era il problema delle risorse. La carta vincente fu ancora una volta il gioco di squadra femminile. La manifestazione indetta  dai coordinamenti femminili Cgil Cisl Uil , su proposta di Annamaria Parente  della Cisl, ebbe un grande successo e contò molto nella discussione del Governo. Mi aiutò a costruire una rigorosa ma efficace trattativa con il Ministro del Tesoro Ciampi e con il sostegno delle altre donne ministro approvammo un buon testo di legge.

Anche in  Parlamento la battaglia fu aspra ma il testo fu approvato  e in taluni punti migliorato.

Si tratta delle legge 53  dell’8 marzo del 2000 e del Testo unico sulla maternità,151del2001.

Leggi  che nel corso degli anni  sono state applicate  in modo distratto che non hanno potuto essere pienamente  utilizzate per mancanza di informazioni relativamente a tutte le sue parti.

Oggi questo testo ha ottenuto qualche piccola modifica migliorativa ne job Act, e nelle misure sulla conciliazione nel pubblico impiego proposte dalla ministra Madia.

Ci occupavamo di servizi sociali, di politiche culturali, di ambiente, di scuola ed università ,di pacifismo attraverso iniziative e convegni che non voglio qui citare per evitare di annoiarvi. Cito soltanto l’associazione Libere che avevamo costruito con le donne emigrate e le prime immigrate che arrivavano nel nostro paese. Le nostre parlamentari europee a partire da Marisa Rodano svolgevano un lavoro eccellente  e promossero la Carta In Europa. Dove trovò eco soprattutto la nostra elaborazione sui Tempi di vita. Particolarmente   in Spagna.

Venne il 18 congresso , Achille Occhetto segretario nazionale era nettamente schierato dalla nostra parte perché vedeva nella nostra politica ciò che gli stava a cuore :il nuovo PCI. Noi ci sentivamo il nuovo PCI. Noi eravamo le più ardite costruttrici del nuovo PCI.

Non a caso in quel congresso ,aperto da una relazione della filosofa Luce Irigaray, ci sentivamo Regine. Fu il nostro congresso.

Questo forse spiega perché quando Occhetto annunciò la svolta  e propose la nascita di una nuova formazione politica con il superamento del PCI, la stragrande maggioranza di noi si sentì spiazzata. In una duplice e opposta direzione. Chi vedeva nel superamento del PCI e nella costruzione della nuova formazione politica della sinistra il naturale sviluppo della Carta delle Donne, perché   quel progetto presupponeva l’incontro tra le nuove culture politiche e le nuove soggettività emerse nella società di cui il femminismo  della differenza era uno dei più’ dirompenti e dunque la sinistra doveva costruire una nuova cultura politica riformatrice ed un nuovo soggetto, nuove forme della politica ,una diversa patica ,reinventarsi una politica popolare . Per altre compagne, il nuovo PCI

che stavamo costruendo non era resistenza era innovazione e costruzione di un tempo nuovo della società, della politica ed anche della convivenza umana. Dunque perché cambiare?  Perchè andare oltre? Soprattutto, perché  rinunciare al nome, comunista, che rappresentava una grande e concreta comunità di donne e uomini, e  indicava un  orizzonte, un traguardo cui tendere: costruire una società nuova basata sull’eguaglianza, una società umana, di donne e uomini. Ci dividemmo con asprezza e con dolore. Entrarono in gioco anche le relazioni umane.

La fine del PCI comportò la fine dell’unità politica delle donne ,delle donne come soggetto collettivo e dunque la fine del progetto della Carta delle Donne. Io sbagliai a non riunire la Sezione Femminile prima di esprimere il mio pronunciamento personale nella Segreteria nazionale del partito.. Questa mia mancanza  pesò molto  nei rapporti  tra le compagne della sezione femminile.

Ricordo un duro e doloroso scontro con Anna Maria Carloni.  Quanto dolore.Non mi davo pace delle nostre divisioni.

Dovevamo imparare a costruire su basi nuove la nostra unità di donne. Dovevamo imparare ad accettare ed a confrontare le diverse posizioni politiche senza conflitti e senza animosità personali.

Fu molto difficile. Eravamo chiamate ad una prova di maturità ed a coniugare in modo diverso differenze politiche 

-*e costruzione del  soggetto collettivo. Colpisce un fatto : eravamo diverse per storia e biografia, avevamo scelto il PCI con motivazioni diverse, alcune, io tra queste avevano amato quel partito. Lo volevano sempre più  nuovo e moderno ma  ci portavamo dentro una rimozione.

Quel partito che aveva costruito la democrazia italiana, difeso i lavoratori, raccolto le istanze più innovative della società, pur essendo partito comunista italiano, apparteneva alla storia del comunismo mondiale e con la vicenda del comunismo mondiale doveva fare i conti. Fino in fondo.

Diventammo donne PDS e poi Ds.  Riprese e prosegui ’ su basi nuove il lavoro con le donne.  Ricordo alcune iniziative importanti sui temi etici, della famiglia e della maternità su cui fu molto importante il contributo di Claudia Mancina, di Silvia Vegetti  Finzi, di Francesca Izzo . Il più importante fu  il Convegno ” Il tempo della maternità “(9-10 gennaio 1992) e poi quello con Ermanno Gorrieri sulle politiche famigliari. Io  lasciai  l’incarico di responsabile femminile nel 1994.

Troppo tardi. Avrei dovuto lasciare con la svolta e con la fine del PCI e  della forza collettiva delle donne. Dopo di me ci furono Francesca Izzo, Barbara Pollastrini e Vittoria Franco.

 La Carta non finì  con la fine del PCI. Secondo me c’è stata negli anni successivi, nel corso degli anni novanta  un onda lunga della Carta, che produsse un efficace  Riformismo femminile , fatto di leggi e provvedimenti importanti per le donne , molti conquistati con la pratica della trasversalità femminile in Parlamento. Penso a leggi  come quella  Contro la violenza sessuale, per la tutela della maternità delle lavoratrici agricole, delle libere professioniste, per le lavoratrici parasubordinate,  le leggi sociali, la riforma sanitaria, delle adozioni ,per le azioni positive nel lavoro. Il libretto della fondazione Iotti” Le Leggi delle donne” che hanno cambiato l’Italia, lo conferma. Proseguì nel lavoro di elaborazione di Francesca Izzo, Barbara Pollastrini e Vittoria Franco.

La pratica della trasversalità femminile avvicinò  le culture politiche e fu un fattore importante del processo di costruzione dell’Ulivo. Non fu casuale che furono le donne democristiane, la Federcasalinghe, le donne socialiste a volere la prima comunista a Palazzo Chigi. Diventai Presidente della Commissione Parità e pari opportunità ad insaputa dei nostri uomini, grazie ad un accordo tra donne e questo sulla base di una valutazione politica: il riconoscimento del lavoro svolto e la necessità  di avviare come donne un processo politico nuovo che era appunto il progetto dell’Ulivo. La Commissione ebbe un compito importante, preparare la Conferenza di Pechino e sostenere sul piano istituzionale la trasversalità  e la mobilitazione sociale in particolare per far  crescere la consapevolezza della democrazia paritaria.

Convocammo una conferenza europea con la partecipazione di tante Ministre e Siglammo IL PATTO di Roma  sulla democrazia paritaria. Poco prima di salire al Quirinale,  la prima volta della sinistra al governo del paese. Sono stata Ministra e nella mia cassetta degli attrezzi c’era la Carta delle donne. Ho cercato di applicarla con scrupolo con le leggi sociali ,per la maternità, per i diritti dell’infanzia, contro la povertà’ , per i diritti dei migranti.

 Se devo rispondere ,come ha inciso la Carta delle donne, rispondo che  ha inciso molto sulla vita delle donne, ha dato fiducia e forza, ha portato risultati concreti, ha contribuito a cambiare la cultura del paese. Ha innovato la cultura politica della sinistra come riconosce Beppe Vacca in un suo bel saggio ”Il riformismo Italiano”. Ha fatto capire in modo diffuso il valore del patto tra Donne.

 Tuttavia alla prova del governo  non riuscimmo a far diventare quella delle donne la questione dirimente del governo dell’Ulivo nonostante le tante e buone politiche che io difendo con tutto il calore possibile. Non riuscimmo a porre il tema del lavoro delle donne  come la grande questione del paese da cui partire per scardinare il welfare familista e maschile. Per consentire alle donne di avere i figli che desiderano. Che né oggi la grande emergenza del paese.

Abbiamo  vissuto una stagione intensa, di grande passione politica..

Abbiamo  scoperto che la relazione tra donne crea complicità, amicizia, comporta nuove esplorazioni di noi stesse. Crea anche molto dolore. Non è un pranzo di gala. Ma è la strada vincente. Abbiamo capito troppo tardi l’importanza di  imparare a praticare la disparità, diventare capaci di sceglierci. Misurarci più esplicitamente con il potere. E di giocare la partita in prima persona. Sentirci laeder e non solo alleate del laders, superare il sentimento della secondarietà. Vivere la forza collettiva ma da individue. Metterci in gioco in prima persona, senza cadere nella subalternità della cultura individualista che si stava diffondendo. Su questo nesso : forza individuale e forza collettiva  fummo spiazzate dal protagonismo delle donne di destra.

 

Ho sempre conservato nel mio cuore il calore di quella speciale passione politica, con anche i suoi conflitti e  le sue amarezze, l’ho sempre considerata un esperienza che non poteva essere archiviata ma su cui bisognava ritornare.

Il gruppo di donne della Carta si trasformò in donne e compagne che facevano scelte diverse tra loro.

Fummo tra noi anche in conflitto.

Con alcune ci siamo perse di vista.

Se ci siamo ritrovate con piacere dopo tanti anni, se per ciascuna di noi che aveva fatto scelte diverse, trovarsi a riflettere su quella esperienza è stato importante, vuol dire che essa ha lasciato il segno, non è ancora conclusa, non riguarda solo noi ma va oltre a noi.

Tornare a riflettere su di essa significa riflettere sul nostro paese, sulle donne, sulla sinistra e su di noi ,sulla nostra responsabilità politica, che è esercizio della nostra libertà..Con il piacere e la gioia di consegnare alle giovani un pezzo di politica e di vita vissuta, di raccontare loro in modo particolare la bellezza della politica come passione e come forza collettiva.

Come dico sempre a mio figlio, sono stata fortunata perché ho sempre vissuto la politica  come passione.

Quella vissuta con la Carta delle donne fu un passione speciale. Viene prima, va oltre le altre esperienze politiche. Perché  sperimentai che era possibile, efficace ed anche bello   il Patto tra donne. Ad una giovane direi: provaci anche tu. Noi ci eravamo anche tanto divertite..