I settant’anni dell’UDI. Le donne e la Resistenza di Marisa Rodano

Sono passati  settant’anni da quando si svolse a Firenze, al Teatro della Pergola, tra il 20 e il 23 ottobre 1945,  il Congresso che diede vita all'Unione Donne Italiane: in esso infatti si unificarono i circoli che erano sorti, a partire del 1944, dopo la liberazione di Roma, nell'Italia liberata e i Gruppi di Difesa delle Donna, che avevano organizzato le donne a sostegno della Resistenza nell'Italia occupata.


Quel I° Congresso nazionale dell’UDI - congresso “costitutivo” - adottò il programma, approvò lo Statuto e elesse democraticamente le dirigenti.

Il Congresso si  era svolto su uno schema conforme a canoni che sarebbero per anni stati tradizionali delle assemblee congressuali non solo dei partiti, ma anche di quelli che, per decenni, vennero definiti “movimenti di massa”. Messa in S. Croce in suffragio delle cadute della resistenza, saluti delle forze politiche, della Camera del lavoro, del cif, delle delegazioni estere: erano presenti americane, inglesi, cecoslovacche, albanesi e francesi; sovietiche e cinesi avevano inviato messaggi; eravamo ancora nel clima della grande alleanza antifascista.

Entusiasticamente accolto, parlò il Presidente del Consiglio, Parri.  Le relazioni introduttive, sull’attività al nord e su quella al sud, furono svolte da Lucia Corti e Rita Montagnana. Ci furono poi rapporti di Maddalena Secco dell’esecutivo cgil, di Elvira Pajetta, di Rosetta Longo e  molti interventi delle delegate.

Dalla relazione di Stellina Vecchio (di Milano) a nome della commissione di verifica dei poteri, risulta che al congresso parteciparono 298 delegate, di tutte le regioni, esclusa la Basilicata, provenienti da 78 province su 93, oltre ai membri dei Comitati direttivi nazionali di Roma e di Milano. Le delegazioni più numerose provenivano nell’ordine dall’Emilia (45), dalla Toscana (39), dal Piemonte (35), dal Veneto (34) dalla Lombardia (33).

Le categorie più rappresentate erano le “intellettuali”(124),[così allora definivamo le donne diplomate, laureate, professioniste, insegnanti] le casalinghe (69), le impiegate (54) e le operaie (31). Stupisce che in un’Italia ancora prevalentemente agricola e dato il ruolo svolto dai contadini nella Resistenza,  le contadine  presenti fossero solo tre, prova di quanto le donne delle campagne fossero ancora isolate e prigioniere della realtà familiare: viaggiare per andare a un Congresso, vogliamo scherzare!  Tuttavia della precisione dei lavori della commissione verifica dei poteri c’è motivo di dubitare.

Nella relazione di Rita Montagnana a nome della commissione elettorale si ricorda che non era  stato stabilito, per la partecipazione al Congresso, un rapporto fisso delegate/iscritte per evitare che il nord (dove le iscritte erano assai più numerose) “sopraffacesse il sud” e che il  mezzogiorno avesse pochissime delegate. Ma, come si vede l'obiettivo non era stato raggiunto.

Gli emendamenti al programma presentati nel corso dei lavori furono illustrati al congresso dalla responsabile della commissione apposita, Rina Picolato (comunista).                            

È di qualche interesse che, nella discussione sullo Statuto (relatrice Gemma Russo, credo del Partitod'Azione), si sia svolta una vivace polemica sull’opportunità o meno di costituire comitati regionali: come si vede, la vexata quaestio del regionalismo è molto antica.

L’UDI nelle zone liberate, dunque, era nata dall'incontro dei movimenti femminili  dei partiti del CLN, esclusa la Democrazia Cristiana, che pur avendo fatto parte dei GDD, non aveva aderito al Comitato di Iniziativa sorto nel 1944 nell'Italia liberata.

In verità, tra le firmatarie dell'appello del Comitato di Iniziativa figuravano anche rappresentanti della cosiddetta società civile: donne familiari di martiri delle Fosse Ardeatine (tra le quali la sorella di Romualdo Chiesa), operaie e impiegate delle Commissioni interne della Manifattura Tabacchi e di alcuni uffici pubblici romani, (tra queste Lidia d’Angeli e Gaetana Cazora); esponenti  dell’Associazione degli insegnanti medi, (Rosetta Longo e Laura Ingrao) della Unione sindacale degli insegnanti primari, (Alba Piergallini) nonché  un' operaia, (Alba Meloni), una dattilografa (Vera Biondi), una tipografa (Adriana Schiaroli), una studentessa del Direttivo dell’Associazione “Ragazze d’Italia” (Maria Felice Alicata),

Fiammetta Longo dell’Unione studenti, una dottoressa del Forlanini, Silvia Conforto,  e  un gruppo di altre delle quali l’appello non definiva la qualifica o l’appartenenza: Pia Berti, Rina Buozzi, Maria Calo­gero, Maria Giudice, Vittoria Giunti, Rita Maierotti e Nadia Spano;  anche loro, però, a quanto ricordo, erano donne politicamente impegnate e militavano tutte nei partiti del CLN.

Il Comitato di iniziativa aveva  inoltre scritto ai partiti invitandoli a “far sorgere comitati provinciali o locali dell'UDI e a prender contatto con le organizzazioni femminili di massa spontanee esistenti”

Indubbiamente il fatto che l’UDI sia stata tenuta a battesimo dai partiti ha pesato sulla sua costituzione. Era però forse inevitabile che  l'UDI avesse alla sua base un accordo tra i partiti.  Anche le altre organizzazioni di massa, compresa la CGIL (unitaria prima della scissione avvenuta dopo l’attentato a Togliatti, che portò alla nascita della CISL e della UIL) erano sorte per iniziativa dei partiti; ma gli interessi comuni dei lavoratori e la pratica della contrattazione offrivano alla CGIL  una base di autonomia molto più solida. Perché l’UDI conquistasse una reale autonomia, invece ci sono voluti anni e anni di lavoro..

E' però importante e significativo che ci si proponesse di costituire un'associazione capace di rivolgersi a tutte le donne, indipendentemente dall'appartenenza o meno a forze politiche, dalla condizione sociale, professionale, dal livello culturale, persino di quelle socialmente privilegiate. “Ricordo le polemiche:volete difendere anche la signora Agnelli?”

Questa era una prima fondamentale novità, rispetto alle forme associative che le donne storicamente si erano date nel nostro paese, prima del fascismo, generalmente connotate dal riferimento alla professione o da obiettivi programmatici limitati, ad esempio l'accesso all'istruzione, la richiesta del diritto di voto, la tutela dei valori religiosi.

Vi era l'intuizione, anche se ciò non era  detto nel programma e nello statuto,  ( fu esplicitamente affermato solo nel 1973, nelle tesi del IX Congresso)

- che vi era una differenza sostanziale tra uomini e donne,

- che non bastava perciò che ad entrambi  i sessi si riconoscessero eguali diritti;-  che, insomma, le donne fossero portatrici - per la loro tradizione, il
loro duplice impegno nel lavoro e nella famiglia,  la loro aderenza ai  problemi della vita quotidiana – di valori e di competenze diverse da quelle della parte maschile della società;

- e che di conseguenza fosse indispensabile chiamarle a impegnarsi per adeguare l'assetto sociale, per costruire istituzioni e politiche a misura di donne oltreché di uomini.

Opera, settanta anni fa,  non facile. Allora la maggioranza delle donne erano casalinghe, senza redditi propri, (le casalinghe erano, ancora – secondo il censimento del’61, 13 milioni); la percentuale delle donne analfabete o che si e no avevano frequentato la scuola elementare era altissima, soprattutto nel mezzogiorno d’Italia; (ancora dal censimento del ’61 risultava che il 10% delle donne era analfabeta); le retribuzioni delle lavoratrici erano spesso la metà di quelle dei lavoratori che svolgevano lo stesso lavoro! Tra le lavoratrici prevalevano le donne impegnate in agricoltura: braccianti, mondine, raccoglitrici di ulive, o donne delle famiglie contadine.

Senza la tragica esperienza di anni di guerra non sarebbero potute diventare protagoniste della politica, per la prima volta nella storia italiana, nelle regioni del mezzogiorno, tantissime donne semplici e illetterate, che negli anni del conflitto, mentre figli e mariti erano su fronti  lontani, avevano dovuto provvedere da sole alla famiglia, fuggire dalle città bombardate, abbandonare le loro case disastrate,  adattarsi a  vivere da sfollate e sinistrate..

Se guardiamo all'opera dell'UDI in questi settanta anni, alle vicissitudini della sua storia, dobbiamo riconoscere che ci furono momenti di grave subordinazione  alle scelte dei partiti  politici:

- ad esempio, dopo il secondo congresso, nel momento dell'adesione dell'UDI alla campagna indetta dal movimento per la pace,

-  o nel corso della campagna elettorale del 1948, quando l'UDI entrò a far parte dell'Alleanza femminile del Fronte Democratico Popolare), schierandosi così di fatto a fianco dei partiti di sinistra;

Ci furono anche momenti di disorientamento nel confronto col femminismo, che portarono alla fase di pratico scioglimento dell'associazione seguita all'XI Congresso, superata poi nel 2000.

Dobbiamo però anche  riconoscere che non solo, pur tra venti e maree, l'associazione è sopravvissuta ed è entrata, a differenza di molti partiti e movimenti, nel nuovo millennio, ma che il bilancio della sua azione è straordinario  e ha segnato non solo la storia delle donne italiane, ma quella del nostro paese.

Penso, ad esempio, all'azione dell'UDI nel Comitato Pro Voto per ottenere che le donne potessero votare nel referendum su monarchia o repubblica e per la elezione dell'Assemblea Costituente e alla successiva campagna condotta dall'UDI per invitare le donne a votare..

Penso all'elenco di norme a favore delle donne da inserire nella Costituzione, che l'UDI sottopose, il 26 giugno del 1946, alle elette nell'Assemblea Costituente:“parità giuridica con gli uomini in ogni campo, riconoscimento del diritto al lavoro e accesso a tutte le scuole, professioni, carriere; diritto a un'adeguata protezione che permetta alla donna di adempiere ai suoi compiti di madre; uguale valutazione, trattamento e compenso degli uomini per uguale lavoro, rendimento, responsabilità.”

Tutte norme che effettivamente sono state poi  introdotte nella Costituzione.

Penso alle iniziative

- a favore dell'infanzia,

- contro l'uso delle armi da parte della polizia in servizio di ordine - pubblico, (furono raccolte tre milioni di firme!)

-  a sostegno dei contadini che occupavano terre incolte o malcoltivate,

- per ottenere fondi per le colonie estive,

-per la concessione della pensione alle donne del Frusinate violentate dai goumiers francesi;

- per la casa a sfollati e sinistrati e contro gli sfratti

Si concentra insomma sui problemi immediati o su battaglie di carattere generale.

A partire dal 1953 l'UDI, come ho già accennato in precedenza,  dichiara che suo fine e ragion d'essere è la battaglia per l'emancipazione femminile e afferma la sua autonomia rispetto a governi, forze sociali, partiti politici; pone come suo obiettivo centrale il diritto delle donne al lavoro; iniziano così le battaglie

-  per la parità di salario,

- per la tutela delle lavoratrici madri e, anni dopo, per l'estensione di quelle tutele alle lavoratrici autonome, artigiane, commercianti

- per la tutela del lavoro a domicilio

-per la pensione alle casalinghe

- contro i licenziamenti a causa di matrimonio.

Ci fu poi lo sconquasso dei fatti di Ungheria del 1956.

Ma il 1956 è anche l'anno in cui l'UDI comincia a definire la società una società maschile e concentra la sua attività sulla trasformazione della società , sullo sviluppo dei servizi sociali :

Seguiranno le lotte per

- il piano nazionale degli asili nido,

-  la scuola materna pubblica. l’obbligo scolastico fino a 15 anni,

- un nuovo diritto di famiglia basato sulla eguaglianza: l’eliminazione delle norme del codice Rocco:  esistevano, diverse norme per uomini e donne sull’adulterio, il delitto d’onore, i figli nati fuori del matrimonio erano definiti illegittimi:

E poi il divorzio,- i consultori, la depenalizzazione dell’aborto,  contro la violenza sessuale e la violenza in famiglia.

Dobbiamo dunque constatare che  L'UDI ha svolto un ruolo centrale  nel cambiamento, ammodernamento e progresso del nostro paese.  Possiamo celebrare con orgoglio il nostro settantesimo: sono stati 70 anni di lavoro proficuo e che ha dato risultati, anche se, purtroppo, oggi, siamo di fronte a una situazione in cui molti diritti sono diventati non esigibili e molte conquiste sono sotto attacco. Ma l'UDI c'è. È in campo, pronta a continuare la sua battaglia.

Relazione svolta alla Camera dei Deputati lo scorso 7 ottobre 2015 in occasione del Settantesimo anniversario dell'UDI