I cattolici e le donne
di Francesca Izzo, da L’Unità del 3 ottobre 2011

“L’impegnativo discorso pronunciato dal cardinale Bagnasco va meditato e discusso al di là della pur grave questione della permanenza di Berlusconi alla guida di un governo che, invece di pilotare il paese fuori dalla tempesta, lo lascia sempre più in sua balia”. Questo l’incipit di un articolo di Francesca Izzo, membro del Comitato scientifico della nostra Fondazione pubblicato su l’Unità di oggi.

L’impegnativo discorso pronunciato dal cardinale Bagnasco va meditato e discusso, come giustamente sostiene Claudio Sardo, al di là della pur grave questione della permanenza di Berlusconi alla guida di un governo che, invece di pilotare il paese fuori dalla tempesta, lo lascia sempre più in sua balia.
Per la ricostruzione di un tessuto nazionale, che sani fratture territoriali, sociali, culturali, etiche e non ultime di genere, le scelte oggi dinanzi al mondo cattolico italiano risultano essenziali. Perciò aprono scenari di grande interesse le parole del cardinale che accompagna al riconoscimento del pluralismo politico dei cattolici la ricerca di una più salda e visibile unità dei laici credenti nel campo dei valori.
Questa prospettiva, se raccolta e sviluppata, archivia definitivamente la tentazione di un bipolarismo etico che ha lacerato le coscienze per un periodo troppo lungo e non felice della nostra storia recente. Essa può consentire, infatti, a tanti laici non credenti di aprire un dialogo fecondo, libero da ipoteche di schieramenti politici contingenti, su alcuni nodi del nostro vivere comune che stanno a cuore a tante e a tanti, credenti e non credenti. Ne indico solo due a cui sono particolarmente sensibile. Il primo riguarda lo sviluppo di una idea di laicità “post-secolare” che porti a riconoscere e legittimare la piena cittadinanza, nella sfera pubblica, del linguaggio religioso. Una laicità che metta in discussione il modello “francese”, secondo cui in democrazia la laicità consiste nel relegare la fede religiosa, con il suo corollario di convincimenti riguardanti la condotta di vita, alla dimensione privata e all’interiorità.
Non a caso l’idea di laicità post-secolare, avanzata da Habermas, più di un decennio fa proprio in dialogo con l’allora cardinale Ratzinger, è rimasta sullo sfondo, dato che il proscenio veniva occupato dallo scontro tra “atei devoti” e strenui oppositori dell’”invadenza vaticana”. Il filosofo tedesco ha sollevato invece interrogativi seri rispetto alle tradizionali e consolidate visioni del rapporto tra secolarizzazione e modernità, tra fede, scienza e politica. Ha criticato un’idea semplificata di modernità che una certa lettura dell’Illuminismo ci ha trasmesso e che sembra dominare tanta parte dell’immaginario contemporaneo secondo la quale la secolarizzazione, frutto del progresso scientifico, rende anacronistiche le credenze religiose perché prive di contenuto razionale. Habermas ha cercato di mostrare invece che non solo sul piano etico ma anche su quello conoscitivo il linguaggio religioso ha un contenuto razionale e che la pretesa del discorso razionale-illuministico di essere assolutamente nel giusto appare metafisica al pari dell’integralismo religioso.
L’idea di secolarizzazione che così si delinea non è a somma zero: se toglie ogni pretesa unilaterale di assolutezza, afferma però la persistenza della coscienza religiosa e la considera un indispensabile polo critico del rischio di presunzione e di onnipotenza della scienza e della tecnica.
Si delinea un’altra idea della sfera pubblica la cui laicità non respinge come improprio il discorso religioso, mentre la credenza religiosa è chiamata ad accettare la dimensione del dialogo pubblico, a confrontare le sue ragioni, a convincere, al di là di tentazioni dogmatiche o coattive, i cittadini tutti, accogliendo pienamente il terreno democratico .
Il secondo nodo riguarda la questione antropologica e i rischi che un individualismo spinto all’onnipotenza dalle possibilità offerte dagli sviluppi della tecnica fa correre alle stesse fondamenta dell’umano. Il conflitto che da tempo si è aperto tende a polarizzarsi intorno alla questione della libertà, ovvero se possono o no esserle posti vincoli, di che genere e con quale autorità.
Posto così il problema tende ad essere indecidibile. Io penso che una questione antropologica oggi esista e sia di enorme portata, ma che non si possa prescindere, nell’affrontarla, dal fatto della libertà femminile e da quanto è stato pensato dalle donne. Con l’esperienza e il concetto della differenza interna al genere umano è modificata radicalmente la concezione dell’individuo, che viene posto sotto il segno del limite e la stessa idea di libertà va incontro ad una riformulazione. È indubbio infatti che, se si accede alla prospettiva aperta dalla differenza e la si accoglie non come un dato (storico o biologico non importa qui stabilire) da superare, da cancellare, ma come segno della nostra umanità originariamente duale, vacilla l’idea della libertà come illimitatezza e indeterminata manipolabilità e si ridisegna un diverso concetto di individuo.
È dunque auspicabile che il discorso pubblico in Italia non solo faccia cadere vecchi steccati ma accolga voci e prospettive che, come quella della differenza sessuale, schiudono inediti orizzonti.

Francesca Izzo