Immigrazione, la storia di Fabrizio: "Io e mio figlio siamo nati in Italia ma non siamo italiani" di Vladimiro Polchi

Tre generazioni senza cittadinanza. Nonna Zhara è fuggita dalla Somalia nel 1986 e ha partorito nel nostro Paese. Anche il nipotino Leonardo è venuto alla luce in un ospedale romano. Il papà: "È assurdo che siamo considerati stranieri, per via della legge del 1992" (da Repubblica,it)


Stranieri da tre generazioni: Zhara, Fabrizio e Leonardo. Nonna, figlio e nipote uniti dal medesimo destino: il rinnovo periodico del permesso di soggiorno. Eppure Zhara, la capofamiglia, è fuggita dalla Somalia nel lontano '86. Fabrizio, suo figlio, è nato in Italia nel '92. Leonardo, il nipotino, è venuto al mondo in un ospedale romano nel 2014. Peccato che nessuno dei tre abbia ancora la cittadinanza italiana. Sono i paradossi di una vecchia legge e della via crucis burocratica necessaria a ottenere il passaporto tricolore. Fabrizio non ci sta: "Dopo tanti anni, è assurdo vedere il piccolo Leo in braccio alla mamma fare la fila davanti alla questura per il permesso di soggiorno".   Un passo indietro. La legge del 1992 inchioda la cittadinanza allo ius sanguinis: chi nasce in Italia da genitori stranieri può acquistare il passaporto solo risiedendo ininterrottamente nel Paese fino alla maggiore età. Chi arriva in Italia già adulto deve risiedervi legalmente (cioè con permessi di soggiorno validi) almeno 10 anni e dimostrare un reddito minino. Il 13 ottobre 2015 la Camera ha approvato la riforma: i figli di immigrati nati e cresciuti qui potranno diventare italiani. Il testo si è però arenato al Senato. Per questo Fabrizio Ahmed Ghedi, il 13 ottobre scorso, era pronto a scendere in piazza per protestare assieme ai tanti 'italiani senza cittadinanza', "ma lavoravo e non sono potuto andarci". La sua storia parte da lontano, dal 1986.   "Mia madre, Zhara, è fuggita dalla Somalia trent'anni fa – racconta Fabrizio – la sua è una famiglia molto povera. Lascia dai nonni il primo figlio. Arriva in Italia che è maggiorenne, ma si finge più giovane per paura di venire espulsa. A Roma va a vivere e lavorare con la sorella che fa la domestica in una grande casa sulla Cassia. Dopo pochi anni, in Somalia muore suo marito e il patriarca della famiglia, cioè mio nonno, seguendo una vecchia tradizione la costringe a sposare un uomo molto più grande di lei, mio padre: un somalo che vive a Roma. Nel ’92 nasco io, ma poco dopo papà ci abbandona. Mia madre resta sola con due figli da crescere: nel frattempo infatti mio fratello ci ha raggiunto dalla Somalia".   Poco prima di Natale del 2000, Zhara prova a dare un altro futuro ai suoi figli. "Mi ha portato in Olanda e lì siamo rimasti tre anni. Speravamo di ottenere lo status di rifugiati. È stato un errore: così abbiamo interrotto il calcolo degli anni di residenza in Italia". Tornato dall’Olanda, Fabrizio viene affidato legalmente a una donna italiana, "che mi ha fatto da seconda madre, visto che Zhara aveva troppe difficoltà". La sfida presto diventano i documenti. "Mia madre ha problemi di alfabetizzazione e non ha mai presentato per tempo domanda per ottenere la cittadinanza. Io sono nato a Roma, ma a 18 anni non avevo la residenza ininterrotta in Italia. Oggi lavoro come cameriere in un hotel, sono precario e spesso ho difficoltà a rinnovare il permesso di soggiorno. All’anagrafe centrale mi hanno detto che non ho neppure i requisiti di reddito per ottenere la cittadinanza".   Cinque anni fa Fabrizio incontra Brenda, una ragazza originaria del El Salvador che lavora come onicotecnica ("fa le unghie"). Anche lei senza cittadinanza. Dopo un paio d’anni nasce Leonardo, loro figlio. "Viviamo a Montespaccato e Leo frequenta regolarmente l’asilo. Anche lui però è costretto alle file in questura per il rinnovo del permesso. Non chiedo la cittadinanza facile per tutti. Ma neppure questa assurdità per cui io e mio figlio abbiamo il passaporto di un Paese, la Somalia, dove non siamo mai stati e di cui non conosciamo neanche la lingua".   Fabrizio è un fiume in piena: "Io e mia madre siamo fuggiti in Olanda cercando di rifarci una vita come richiedenti asilo, ho buchi che hanno interrotto la continuità della residenza, mi impegno ma ho difficoltà a trovare un lavoro stabile, come tanti altri ragazzi della mia età, e spesso fatico col rinnovo del permesso di soggiorno, ma non ho mai commesso reati. E poi Leonardo che c’entra? Mio figlio è italiano, solo i documenti continuano a negarlo. È assurdo che dopo tanti anni il nipote di Zhara sia ancora straniero a casa propria".   Vladimiro Polchi Fonte: Repubblica.it del 7 novembre 2016