La questione di genere, o meglio di parità di genere, della piena e dignitosa occupazione femminile e dell’organizzazione di un welfare capace di conciliare tempi di vita e di lavoro, se ne parla nell’alveo del concetto di inclusione: sociale, territoriale e di genere, appunto. Ma già scompare nell’elenco delle sei grandi aree
Ogni tanto qualcuno dei giornalisti, degli osservatori o degli studiosi di professione, sembra capace di scendere dalla giostra vorticosa - e discutibilmente utile, a dire il vero – prodotta dall’analisi sull’immediato futuro pandemico, politico e istituzionale del nostro paese e assume uno sguardo sulle cose con la calma posizione di chi vuole capire dove stiamo andando.
Tra questi, ad esempio, Federico Fubini, che sul Corriere della Sera di lunedì 17 gennaio ha scritto “La nuova Italia ignorata”. Nell’articolo, il giornalista propone un’analisi prospettica sui prossimi 40 anni – “l’orizzonte di vita attiva dei nostri figli”- che non sembra affatto riflettere ciò che nei nostri sogni di genitori e/o nonni speriamo per i nostri ragazzi.
Negli obiettivi generali del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) si legge che “la pandemia e la conseguente crisi economica, hanno spinto UE a formulare una risposta coordinata sia a livello congiunturale, con la sospensione del patto di stabilità e ingenti pacchetti di sostegno all’economia adottati dai singoli Stati membri, sia strutturale, in particolare con il lancio a luglio 2020 del programma Next Generation EU”, anche detto NGEU.
Dopo la presentazione dell’ingente impegno economico determinato dal programma, nel PNRR si sottolinea che “NGEU intende promuovere una robusta ripresa economica europea all’insegna della transizione ecologica, della digitalizzazione, della competitività, della formazione e dell’inclusione sociale, territoriale e di genere”.
In effetti, tra le sei grandi aree di intervento del Piano - transizione verde; trasformazione digitale; crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; coesione sociale e territoriale; salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani - ad una prima, distratta lettura sembrerebbe che solo l’ultimo punto elenco miri ai giovani ma, a leggere con più calma e ragionando, tutti gli obiettivi elencati, implicitamente, fanno riferimento ai giovani.
La sola parola “transizione” lo rivela, a maggior ragione quando la mole di trasformazione e cambiamenti cui tale transizione punta viene elaborata nel nostro burocraticamente snervante paese.
Ma anche la coesione sociale, l’inclusione e la resilienza non possono che rimandare ai giovani: non solo nella misura in cui sottintendono la coesione tra generazioni, l’inclusione in una vita attiva e dignitosa, la capacità di rinnovare il patto sociale, ma anche perché la vita delle persone ha una durata, più o meno lunga, ma finita. E ciò che impostiamo oggi manifesterà i suoi effetti domani. Il punto è quanto distante sia questo domani.
A guardare i dati demografici di oggi, questa distanza sembra farsi più lontana: tra 20 anni la popolazione in età da lavoro calerà di 6,8 milioni, le persone in età di pensione aumenterà di 6,6 milioni, e i bambini tra 0 e 14 anni saranno ancora meno di oggi, di ben oltre il milione. L’articolo di Fubini evidenzia che la prospettiva demografica non sembra permettere all’Italia né la crescita né la tenuta sociale auspicate. Sospetta, l’autore, per scarso altruismo, individuale e collettivo.
Oltre ad apprezzare la riflessione di Fubini, davvero mi sorprende l’altro elemento/target che nel PNRR sembra diventare un sottinteso ancora più trasparente: l’universo femminile.
La questione di genere, o meglio di parità di genere, della piena e dignitosa occupazione femminile e dell’organizzazione di un welfare capace di conciliare tempi di vita e di lavoro, se ne parla nell’alveo del concetto di inclusione: sociale, territoriale e di genere, appunto. Ma già scompare nell’elenco delle sei grandi aree.
Se avessi ancora vent’anni, probabilmente riterrei che l’accento sulla condizione femminile sembrerebbe vetusta e sorpassata, perché è chiaro che tutto ciò che si prospetta è a favore di donne e uomini, senza bisogno di fare distinzioni.
Ma non ho più vent’anni e ho imparato, anche sulla mia pelle, che dichiarazioni e principi, per quanto lampanti nella loro equità e giustizia, non prendono vita da soli. Senza un’azione determinata, organizzata e perseguita con la tenacia esemplare delle nostre madri costituenti, come Nilde Iotti è stata, rischiamo di perdere altro tempo utile a costruire il futuro che NGEU promette.
Bisognerebbe non avere mai timore di dire e di ripetere che un pilastro fondamentale di qualsiasi futuro ispirato alla vita e alla giustizia è la donna: ogni donna dovrebbe poter esprimere i suoi talenti senza temere di dare la vita a nuove vite.
La vera transizione, quella che darebbe le ali alla sostenibilità a tutto tondo, passa per la concreta partecipazione di ogni donna alla vita della società. Non c’è nessuna transizione, nessuna trasformazione, nessuna crescita, nessuna coesione, nessuna salute e persino nessuna politica degne di questo nome se le donne fanno ancora fatica a fare la loro parte.
Antonella Bellino