La legge 194 compie 45 anni. Da quando è operativa gli aborti sono diminuiti di oltre il 71%, di Cesare Fassari

E’ stata una delle tre leggi sanitarie introdotte nel 1978 e che hanno cambiato la sanità italiana per sempre. Da allora, il risultato è che gli aborti, oltre che essere usciti dalla clandestinità, sono diminuiti, passando dai 234mila del 1983 (anno record) ai 66.400 nel 2020, una riduzione che ha fatto dire all’Iss che “si tratta di uno tra i più brillanti interventi di prevenzione di salute pubblica realizzati in Italia”


Il 22 maggio 1978, quarantacinque anni fa, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 194 che detta “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”.

Sarà la seconda legge sanitaria di quell’anno, il ’78, che vide approvate tre leggi fondamentali che cambiarono per sempre la sanità italiana: oltre alla legge sull’aborto, infatti, il 16 maggio apparì in Gazzetta la legge 180 che chiudeva i manicomi e rivoluzionava l’assistenza psichiatrica e il 28 dicembre la legge 833 che istituiva il Ssn superando il sistema mutualistico e sancendo il diritto universale alla tutela della salute.

Da allora la 194 è rimasta intatta, senza alcuna modifica o integrazione, superando un referendum abrogativo e moltissimi attacchi dal fronte anti abortista. Ma non è mai stata toccata e vige tuttora nella sua formulazione di 45 anni fa.

Con l’avvento del Governo di destra-centro si è temuta una nuova ondata di attacchi alla 194 ma era stata la stessa premier Giorgia Meloni, pochi giorni prima del voto che la vedrà vincente e promossa a Palazzo Chigi, a dire senza mezzi termini di non voler abolire né modificare la legge 194, ma di volerla applicare pienamente e di volerla rafforzare nelle parti in cui la legge parla di tutela sociale della maternità, aiutando le donne che decidono di abortire per difficoltà economiche o sociali a portare avanti la gravidanza (il video che segue risale al 18 settembre 2022 ma vi sono state poi anche successive dichiarazioni dello stesso tenore).

Quindi, in attesa di capire le modalità con le quali il Governo intende “applicarla pienamente”, soffermiamoci sulla parte della legge che 45 anni fa ha tolto l’aborto dalla clandestinità inserendolo tra le prestazioni offerte dal servizio sanitario pubblico.

Intanto rispondiamo alla domanda delle domande: la legalizzazione ha favorito e fatto aumentare gli aborti? Assolutamente no, anzi… Rispetto al 1983, anno di massima incidenza del fenomeno quando in Italia si registrarono 233.976 IVG, nel 2020, con 66.413 IVG, la riduzione degli aborti è stata del 71,6%.

Semmai, come sottolinea l’Istituto superiore di sanità “si tratta di uno tra i più brillanti interventi di prevenzione di salute pubblica realizzati in Italia”.


Fonte: Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 194

Seconda domanda: l’aborto ha inciso sulla natalità? Per rispondere può essere utile analizzare il rapporto di abortività, che esprime il numero di IVG in relazione ai nati vivi. Nel 1983 si eseguivano 38,2 IVG ogni 100 nati, mentre nel 2020 lo stesso rapporto è stato pari a 16,6 IVG ogni 100 nati. Visto che nel tempo sono diminuiti sia il numeratore (n. IVG) che il denominatore (n. nati vivi) del rapporto di abortività, non si può affermare che l’aborto abbia inciso negativamente sulla natalità.

Un altro esempio, stavolta fattuale, che evidenzia come la natalità abbia ben poco a vedere con l’aborto, è quello della Francia dove, a fronte di un accesso gratuito ed esteso alla contraccezione e della legalizzazione dell’aborto in vigore dal 1975, il numero di figli per donna è ben più alto del nostro e questo probabilmente anche grazie alle storiche politiche di sostegno alla famiglia che ben vengano anche in Italia.

Quindi mettere in relazione aborto e natalità non ha alcun senso perché il calo costante della natalità in Italia ha ben altre cause come ha spiegato lo bene l’Istat nella sua ultima analisi demografica poco tempo fa: “La diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, tra le cause pesano molto tanto il calo dimensionale (ovvero il numero di donne in età fertile, ndr) quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni)”.

Poi è chiaro, alla base ci sono tutti quei motivi legati alle condizioni economiche e alle difficoltà per le coppie giovani di fare progetti per il futuro, figli compresi.

Progetti e decisione di allargare la famiglia che vengono per l’appunto rimandati avanti negli anni quando avere un figlio per la donna può diventare più difficile.

Ambiti nei quali, giustamente, il Governo ha dichiarato di voler intervenire sostenendo le giovani famiglie desiderose di avere un figlio. Bene, ma il diritto all’aborto non c’entra nulla e, va detto, la stessa premier Meloni, sembra averlo capito.

Quello che non è chiaro è cosa pensi invece questo Governo del problema obiezione di coscienza visto che in Italia sono obiettori poco meno di 7 ginecologi su dieci.

In proposito, nell’ultima relazione al Parlamento, quella con i dati definitivi del 2020 e presentata a giugno del 2022 dall’allora ministro della Salute Roberto Speranza si leggeva: “L’organizzazione dei servizi IVG deve essere tale che vi sia un numero di figure professionali sufficiente da garantire alle donne la possibilità di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, come indicato nell’articolo 9 della legge n. 194/78. Questo dovrebbe essere garantito dalle Regioni, per tutelare il libero esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e l’accesso ai servizi IVG e minimizzare l’impatto dell’obiezione di coscienza nell’esercizio di questo diritto”.

Vedremo quale sarà la riflessione in proposito del nuovo ministro nella prossima Relazione che dovrebbe arrivare a breve.

Cesare Fassari

Articolo tratto da quotidianosanita.it