Nel ’46, gli italiani e le italiane sono chiamati alle urne per scegliere tra monarchia e repubblica.
Il 12-13 maggio del ‘74 decidono se abrogare o no, in un referendum promosso dalla Democrazia Cristiana, la legge istitutiva del divorzio (del dicembre 1970, primi firmatari Fortuna-Baslini).
Due settimane prima dell’apertura dei seggi, Amintore Fanfani, segretario della DC (sullo sfondo c’è la rivolta di Reggio Calabria del 1970, strumentalizzata dai missini; al Colle più alto siede grazie ai voti della destra Giovanni Leone), in un comizio pronostica: “Magari vostra moglie vi lascerà per scappare con qualche ragazzina”.
Ohi ohi! Il fantasma dell’omosessualità con annesse nozze tra individui dello stesso sesso già agita i democristiani.
Però nella Chiesa si registrano divisioni. Tra le personalità che, dopo lunghe riflessioni, discussioni, dibattiti si schierano per il “No” all’abrogazione della legge, Romano Prodi, Leopoldo Elia, Pietro Scoppola, Ezio Raimondi. E religiosi come dom Franzoni, padre Ernesto Balducci, Enzo Mazzi.
Incredibile ma vero: la Dc non rappresenta più tutti i cattolici né può imporre una concezione del matrimonio indissolubile a chi non ci crede. Tuttavia, ci va giù pesante (né allora né adesso le campagne elettorali sono rose e fiori) e fa affiggere un manifesto con dolce frugoletto: “Pensa a tuo figlio, contro il divorzio vota sì”. Il Pci risponde: “Pensa a tuo figlio, non mescolare il tuo voto con i fascisti”.
Eppure confiderà la vedova Almirante dopo la morte del marito: “Giorgio votò a favore del divorzio perché io ero già sposata prima di incontrarlo”. Insomma, nel segreto della cabina elettorale conta la propria storia, quel privato sempre eluso dalla politica e dai partiti.
Anche Palmiro Togliatti si separa dalla moglie, Rita Montagnana, per legarsi a Nilde Iotti la quale difenderà a spada tratta la legge del divorzio mentre nel Pci di Enrico Berlinguer si cerca di evitare il referendum temendo di distruggere il disegno tradizionale della famiglia.
Il Partito non si accorge delle crepe nei ruoli coniugali; non vede i movimenti più o meno sotterranei dei conflitti domestici. Sembra affetto da una grave miopia rispetto all’estrema varietà dei sentimenti, alle trasformazioni della società, ai diritti civili.
Soprattutto una parte del Pci – Bufalini in testa – ha paura di perdere perché non capisce che donne e uomini, donne soprattutto, sono cambiate. Togliattianamente, non vuole creare fratture con il mondo cattolico, preoccupato dell’unità della famiglia.
Così si va avanti con trattative più o meno segrete con il mondo cattolico e con il Vaticano, nella speranza di evitare il referendum modificando la legge.
Tuttavia Aldo Tortorella racconta che lui, direttore dell’Unità in quegli anni, aveva già preparato le pagine di propaganda del giornale per votare “No” e che ne parlò con Berlinguer il quale tacitamente gli diede l’autorizzazione a pubblicarle iniziando la campagna elettorale e bloccando i negoziati sotterranei.
Alla fine il Pci si strappa dalla suggestione dell’incontro con la DC (del “compromesso storico” Enrico Berlinguer ha parlato su “Rinascita” dopo il golpe cileno) ma saranno soprattutto le dirigenti comuniste, le militanti, il nascente movimento femminista a far cambiare idea al “grande” Partito comunista.
E poi, se il Pci non avesse appoggiato il “No” con la sua forza come sarebbe andata a finire?
Dalla parte di chi si batte per mantenere la legge sono i Radicali di Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia, Angiolo Bandinelli e la Lid, Lega per l’istituzione del divorzio che lavora da tempo a una partecipazione diretta dei cittadini.
In campo mediatico, sostiene la battaglia per il divorzio con uno schieramento laico e libertario il settimanale “L’Espresso” e il rotocalco popolare “ABC”, di impronta anticlericale e anticonformista.
Immaginate un contesto nel quale i facoltosi possono rivolgersi alla Sacra Rota oppure viene attribuita efficacia giuridica in Italia alle sentenze di divorzio pronunciate da Tribunali dove la legislazione locale (Messico e San Marino) lo consenta anche a cittadini stranieri. Bé, gli altri, cioè i meno facoltosi, i diseguali, quel 99%, come li battezzerà in futuro Occupy Wall Street, non sprizzano certo felicità.
Questi altri, quando si separano devono rassegnarsi a non poter regolarizzare le unioni con i/le loro compagne/i e i figli nati fuori dal vincolo matrimoniale.
Di per sé il ’74 è un anno emblematico. Scontri in piazza, bombe, attentati; il sequestro del giudice Mario Sossi a Genova; sette morti nel carcere di Alessandria durante una rivolta. In piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio, una bomba uccide sette persone; il 4 agosto in un attentato sul treno Italicus, sulla linea tra Firenze e Bologna, dodici morti. Se a Napoli le donne scendono in piazza contro il prezzo del pane, sale quello della benzina da 200 a 300 lire al litro. Soffia il vento dell’austerità, dell’inflazione al venti per cento, delle fabbriche in crisi, della Cassa integrazione.
Nel ’74 è il mantenimento della legge sul divorzio voluta da tanti cittadine e cittadini di questo nostro Paese a dare un forte, positivo scossone alla società. Il 12-13 maggio dei 33.023. 179 elettori, 19.138.300 votano contro l’abrogazione della legge: il 59,26% chiede di mantenerla, il 40,74% vorrebbe cancellarla. La Valle d’Aosta con il 75,1% sdi “No” si dimostra la regione più affezionata alla legge.
Con la vittoria del “No” si indebolisce “il potere emancipatorio (vero o presunto) del matrimonio che qualificava l’identità femminile” (Michela De Giorgio Raccontare il matrimonio moderno in “Storia del matrimonio” a cura di M. De Giorgio e Ch. Klapish-Zuber, editori Laterza, 1996).
Fino a quel momento l’unico destino sociale femminile parrebbe il matrimonio che ora non è più indissolubile. “Io sto insieme a te perché ci amiamo”; altrimenti “bella (o bello) ciao!”
I rapporti tra i sessi abbandonano l’oscillazione tra autorità-sottomissione; uomini e donne pretendono una maggiore sincerità nei rapporti.
La famiglia si trasforma in una costellazione di forme nuove e diverse mentre l’autonomia femminile, spinta anche dal nuovo femminismo, s’irrobustisce.
E i maschi? Nell’inchiesta “Gli uomini italiani bastonano le donne” pubblicata nel ’53 da “Noi Donne”, settimanale dell’Unione Donne Italiane, si descrive il privato dei militanti i quali non disdegnano di distribuire botte e contumelie alle povere spose, accusate di non aver adempiuto incombenze casalinghe. Il divorzio mette anche un freno anche a queste “cortesie”. Benché ancora nel 2024 tra femminicidi e violenze non è che tutti i maschi si siano convinti a smettere di trattare il sesso femminile come un oggetto di loro proprietà.
Il 29 dicembre 1970 la prima a ottenere il divorzio è Luisa Benassi. La chiamano “donnaccia” perché ha voluto sciogliere i vincoli coniugali rivolgendosi al Tribunale di Modena.
Le storie sono tante. Racconta Marco Pannella (citato da Cristina Da Rold sul “Sole 24 Ore” del 6 dicembre 2020): ”Argentina Marchei è una popolana romana trasteverina di circa ottant’anni, quando la legge Fortuna viene approvata dal parlamento, nella notte fra il 30 novembre e il 1 dicembre 1970. Più di cinquant’anni prima, dopo pochi mesi di matrimonio, il marito se n’era andato e non l’aveva più rivisto. Si era ricreata ben presto una famiglia, era ormai più volte nonna ma tutto “fuori-legge”. Il suo compagno era ormai malato volevano sposarsi prima di andarsene, di separarsi definitivamente. Con le sue gambe piagare dalle vene varicose, inalberando la sua tessera comunista del 1922, Argentina Marchei dal ’65 al ’70 e poi fino al ’74 fu di tutte le manifestazioni, le marce, i digiuni”.
E divorzio fu. Ma al Sud vince il “Sì” all’abrogazione della legge, mentre al Centro-Nord trionfa il “No”.
Fino al 2018 in Italia si contano 1.463.973 divorzi. Soprattutto dopo l’introduzione del “divorzio breve”, il loro numero prende la rincorsa. In effetti, il costo dei difensori e la complessità della doppia procedura giudiziaria rendevano esitanti molte coppie separate di fronte al taglio definitivo.
Adesso gli anni per poter presentare domanda di divorzio si sono ridotti (la riforma Cartabia risponde alla necessità di velocizzare i tempi del processo) da tre a sei mesi nel caso di separazione consensuale o un anno nell’ipotesi della separazione giudiziale.
Nel 2021, la quota di divorzi consensuali si attesta al 70,9%.
D’altronde, il giudizio sociale sul divorzio non è più negativo. E il sogno d’amore non finisce. Un matrimonio su cinque (il 19%) nel 2018 è il secondo o terzo.
Resta comunque che al Sud si divorzia di meno, anzi, circa la metà che al Nord. Un esempio? A Vibo Valentia, rispetto al totale della popolazione, la percentuale di divorziati è dell’1,19 %; nella provincia di Trieste è del 6,3%.
Ancora: sempre più coppie si separano dopo i sessanta anni (al Nord le separazioni sono 430 ogni mille matrimoni, al sud 180 ogni mille matrimoni).
Le donne decidono di chiedere la separazione e poi il divorzio quando le hanno provate tutte per restare insieme. Tra i fattori che fanno scattare la volontà di porre fine al matrimonio, il tradimento e le infedeltà via social.
Agisce da deterrente anche la maggiore indipendenza finanziaria femminile. “Non mi ero resa conto di essere infelice; ho messo sotto il tappeto i problemi finché i figli erano piccoli; ho ancora davanti a me almeno vent’anni di vita”. Poi c’è l’inizio della pensione che costringe i coniugi a passare più tempo insieme con l’esplosione di conflitti sopiti.
Ma il divorzio coincide con gli sconquassi dell’edonismo consumistico profetizzati da Pier Paolo Pasolini?
Non credo. È sì uno spartiacque tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra due individui che si sono amati, che hanno vissuto una vita insieme e che ora arrivano a detestarsi, a dimenticare le parole dolci pronunciate ma, proprio perché questo dirsi addio non si traduca nel famoso bicchiere d’acqua, la legge ha voluto attribuire una particolare solennità al procedimento giudiziario. Eppure ho ascoltato il ricordo dolente di donne che avrebbero voluto almeno un oggetto, un libro, un disegno a testimoniare ciò che è stato e non potrà tornare a essere.
Letizia Paolozzi
Questo articolo è apparso su l'Unità dell'11 maggio 2024