Festa della Repubblica, festa della cittadinanza delle donne. Intervista a Francesca Russo di Roberta Lisi

"Il 2 giugno 1946 le donne italiane sono diventate finalmente cittadine a tutti gli effetti. Anche se bisogna ricordare che in alcune città le italiane votarono nella primavera del 45 per eleggere sindaci e consigli comunali. Nilde Iotti, ad esempio fu eletta a Reggio Emilia e altre nel ruolo di sindache in comuni del centro nord. Naturalmente il voto del 2 giugno del 1946 è fondamentale per le donne perché sancì pienamente, benché tardivamente, il riconoscimento del loro diritto di cittadinanza". 


Per ottenere il diritto di voto, le donne italiane dovettero aspettare la fine della seconda guerra mondiale, la Resistenza e la Liberazione dal nazismo e dal fascismo. Nei primi vent’anni del 900 ci furono movimenti e pressioni affinché il suffragio divenisse universale, ma Mussolini e i suoi accoliti ritenevano le donne destinate al focolare domestico, occupate a produrre figli per la patria. In realtà le donne studiavano, in molte lavoravano nelle fabbriche o come maestre o infermiere, alcune si laureavano anche in discipline scientifiche ritenute maschili come la medicina, la fisica, o il diritto.

Certo poche, ma alcune si dedicavano alle “arti” o al giornalismo, Matilde Serao nei primi del 900 fondò e diresse un giornale Il Mattino che ancora oggi racconta Napoli, la Campania e il mezzogiorno. E poi sindacaliste come Argentina Altobelli o Maria Giudice, molte altre ne potremmo ricordare, che difendevano lavoratrici e lavoratori spesso in un confine incerto tra sindacalismo e politica. E le donne italiane furono protagoniste della Resistenza e della lotta conta contro il nazifascismo, tante ne potremmo menzionare, ci piace ricordarne una per tutte: Lidia Menapace.

Ci furono quelle che imbracciarono il fucile e andare in montagna, o quelle, come Carla Capponi, che rimasero in città a organizzare la guerriglia urbana. O ancora quelle che disarmate si occupavano di soccorrere e informare quante e quanti finirono stremati dalla guerra e dalla conseguente miseria. O le suore dei conventi che nascondevano antifascisti ed ebrei.

Ma tutte queste donne erano considerate cittadine di serie B, loro non potevano recarsi alle urne e concorrere a scegliere chi avrebbe dovuto scrivere le leggi, governare il Paese. Il 2 giugno è anche la loro festa, delle donne italiane che in quella assolata domenica del 1946 uscirono di casa con il vestito della festa per affermare il proprio diritto, individuale e collettivo, ad esser pienamente cittadine e a concorrere a costruire la nascente democrazia.

Francesca Russo è una storica, insegna Storia delle dottrine politiche all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ha partecipato alla stesura della Terza Edizione del volume Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia curato dalla Fondazione Nilde Iotti, pubblicato da Futura Editrice.

Le donne italiane, tutte perché alcune furono chiamate alle urne per eleggere amministrazioni locali, votarono per la prima volta il 2 giugno del 1946 per il referendum tra monarchia e repubblica e per eleggere l’Assemblea Costituente. Diventarono finalmente cittadine a tutti gli effetti.

Sì, il 2 giugno 1946 le donne italiane sono diventate finalmente cittadine a tutti gli effetti. Anche se bisogna ricordare che in alcune città le italiane votarono nella primavera del 45 per eleggere sindaci e consigli comunali. Nilde Iotti, ad esempio fu eletta a Reggio Emilia e altre nel ruolo di sindache in comuni del centro nord. Naturalmente il voto del 2 giugno del 1946 è fondamentale per le donne perché sancì pienamente, benché tardivamente, il riconoscimento del loro diritto di cittadinanza. Già prima del fascismo ci furono movimenti di donne, appoggiate da alcuni uomini, che si batterono per il voto alle donne, e ad animare quel movimento furono – ad esempio le donne laureate a cominciare da Maria Montessori e Teresa Labriola – che provarono a superare con i fatti il pregiudizio che le faceva ritenere non in grado di giudizio politico poiché non adeguatamente formate. Giustamente il movimento delle laureate affermò i percorsi di studio importanti che anche le donne intrapresero anche in discipline ritenute maschili come la medicina. È solo, però, dopo la Liberazione dal nazifascismo che vennero emanati i due decreti luogotenenziali che in maniera molto scarna contenevano il principio che il diritto di voto veniva esteso alle donne. Il primo decreto, quello del febbraio del 45 creò un minimo di imbarazzo e di equivoco perché non vi era l’esplicito richiamo all’elettorato passivo. Ciò nonostante alcune donne – lo abbiamo ricordato – vennero elette nelle amministrazioni locali. Fu il decreto del 10 marzo del 1946 che disciplinò interamente la materia elettorale preparando le elezioni del 2 giugno del 46 che furono contestualmente quelle per il Referendum Istituzionale e quelle che elessero l'assemblea costituente, che sciolse l’equivoco attribuendo esplicitamente alle donne sia l’elettorato attivo che quello passivo. Il 2 giugno del 46, dunque, le donne si videro riconosciuta – anche dal punto di vita normativo – quella cittadinanza che si erano conquistate dal punto di vista politico con il protagonismo nella Resistenza.

Il 2 giugno le donne entrano per la prima volta in assemblea parlamentare, quella costituente...

Furono 21 le elette, certo non moltissime, ma fu un segnale importantissimo. Nove nelle fila della Democrazia Cristiana, nove del Partito. Comunista, due per il Partito Socialista, e una in quelle dell'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Fu un segnale significativo, salutato con grande enfasi anche se la stampa più conservatrice ebbe qualche nota ironica, sebbene non prevalente, era, purtroppo, di un Paese che forse aveva qualche difficoltà ad accettare questa novità. Le donne finalmente conquistavano voce politica, questa è stata la grande novità post bellica che non riguardava solo le donne, ma la democrazia in quanto tale. Il fatto che il suffragio sia finalmente universale è una vittoria della democrazia, e non c’è dubbio che le donne andarono in tante a votare proprio perché riconobbero l'importanza dell’accesso alle urne come acquisizione della cittadinanza piena.

Quanto pesò il voto femminile nella scelta tra monarchia e repubblica?

Il recente e bellissimo film di Paola Cortellesi ci restituisce un'immagine di quella che è stata la festa del voto del 2 giugno, ma tante furono le testimonianze della partecipazione politica delle donne. Si recarono alle urne il 90 per cento delle aventi diritto, stessa percentuale circa degli uomini. Risulta molto difficile dire quanto possa avere inciso il voto femminile nella affermazione della Repubblica. Ritengo, però, di poter affermare che le donne si siano comportate pienamente da cittadine. Molti temevano che non fossero mature politicamente, che fosse possibile manipolarle. Invece dalle urne uscì un paese che scelse nettamente, anche se non a larghissima maggioranza, la Repubblica che prevalse per circa due milioni di voti. Il risultato fu contestato, le schede vennero riconteggiate, vi furono anche dei moti di contestazione, poca cosa certo. In che modo l'elettorato femminile abbia influito all’affermazione della Repubblica non posso, le schede non hanno sesso. Credo, però, che i risultati del 2 giugno del 1946 restituiscano la verità di un paese in tutte le sue fratture e in tutte le sue contraddizioni. Ma anche in tutte le sue speranze facendo emergere l'impegno politico e il ruolo delle donne nella Resistenza.

La Costituzione, lo ricordò ai giovani in un famoso discorso Pietro Calamandrei, è il frutto della lotta dei partigiani e delle partigiane per liberare il Paese dai fascisti e dai nazisti. Nella resistenza le donne contarono?

Sicuramente le donne furono protagoniste, è molto bello che in quest'anno sia stato attribuito il Premio Campiello al bellissimo libro di Benedetta Tobagi La Resistenza delle donne che restituisce in sede storico letteraria, la verità del protagonismo femminile nella lotta contro il fascismo e il nazismo. Faccio solo alcuni nomi, Tina Anselmi, Teresa Noce, Nilde Iotti, di protagoniste di quegli anni che poi ebbero ruolo importante nella nostra Repubblica. Ma non ci furono solo le partigiane della Resistenza organizzata, ma c'è molto di più. Vi fu una partecipazione delle donne in quella grandissima Resistenza non organizzata, non partitica, non movimentista, silente che fu altrettanto determinante per la riconquista della libertà. C'è stata una resistenza civile, morale delle italiane e degli italiani diffusa in tutto il Paese. La prima città in Europa che si ribellò ai nazifascisti fu Napoli e le quattro giornate videro una cospicua presenza delle donne, ci tengo a ricordare Maddalena, Cerasuolo, una giovane che coraggiosamente si è battuta a fianco del padre e di tanti ragazzi, alla quale dobbiamo il salvataggio del ponte della Sanità. Quello delle donne fu un impegno generoso, gratuito. Imbracciarono fucile, spararono, fungevano da collegamento tra i vari gruppi, o nascosero armi, compirono azioni di distrazione o nascosero ebrei e antifascisti, ma non hanno reclamato il loro posto nella storia, non solo state riconosciute. Il Paese, grazie alle donne e degli uomini nella Resistenza, ha mostrato di avere un popolo virtuoso, amante della propria libertà. Bisogna ricordarlo, la Resistenza, a qualcuno rammentarlo non fa piacere, è stata veramente un movimento di popolo.

Non furono molte le madri costituenti, ebbero un ruolo rilevante nella scrittura della Carta?

Assolutamente sì. Ebbero un ruolo rilevante, ebbero l'intelligenza politica in Assemblea e anche all'interno dei loro partiti, di far vincere l'idea di una carta costituzionale che veramente rispondesse all'esigenza di eguaglianza e di affermazione dei diritti politici e sociali delle donne italiane, seppero fare squadra molto bene, pur avendo divisioni politiche che restano profondissime. C’è un punto che voglio sottolineare, pur non essendoci nessuna donna nella commissione che scrisse l’articolo 11, in tutti i loro discorsi, e interventi, sia in Assemblea che nelle commissioni, evocarono la pace come valore fondativo. E poi l’eguaglianza e la parità valori fondati che non solo furono scritti nell’art. 3 ma che attraversano tutta la Carta, dagli articoli sulla famiglia, sugli assetti della società, nel lavoro, per la parità salariale, nell'accesso alle cariche pubbliche. Ricordiamo al celeberrimo dibattito contro l'opzione portata avanti da Giovanni Leone che voleva circoscrivere l'accesso delle donne in magistratura. Nuovamente le costituenti fecero fronte comune e non solo sui temi di specifico interesse delle donne. Le 21 elette si batterono non solo per il riconoscimento del loro ruolo politico, ma portarono in Assemblea Costituente le aspettative delle donne italiane sulla pace, la democrazia, il riscatto sociale, di sviluppo civico. Insomma percepivano fortemente di essere lì in rappresentanza delle cittadine e dei cittadini italiani. Avevano forte l'idea di essere lì per rispondere ai bisogni di un'intera nazione.

E allora il 2 giugno è la Festa della Repubblica, ma anche la Festa della conquistata cittadinanza delle donne?

Certamente le due feste sono inscindibili. Non solo perché le donne entrarono nella scena pubblica, ma perché non c'è dubbio che le donne diedero un contributo molto importante alla redazione della Carta. Furono la grande novità del sistema politico italiano, di questa Repubblica Parlamentare che nasce con la Costituzione che ha garantito tanti anni di democrazia, di libertà, di pace sociale e di sviluppo. E il contributo delle donne è stato ed è determinante. Il 2 giugno è la Festa della Repubblica, delle cittadine, ma è la festa di tutti e tutte noi noi che ci ritroviamo nei valori della Costituzione.

Roberta Lisi

Intervista tratta da Colletiva.it