"Il treno dei bambini". Un film di Cristina Comencini, recensione di Chiara Micali

Su Netflix dal 4 dicembre. Ispirato al romanzo di Viola Ardone porta sullo schermo una storia che pochi conoscono. Nell’immediato dopoguerra in un’Italia devastata, in soli due anni, più di 70.000 bambini vennero trasferiti con centinaia di treni speciali da Napoli, dalle province della Campania e del basso Lazio in Emilia e in Romagna, accolti dalle famiglie generose di operai e contadini, anch’esse impoverite dalla guerra e dalla lotta partigiana.


Cristina Comencini realizza un film di grande impatto, dal romanzo di Viola Ardone Il treno dei bambini porta sullo schermo una storia che pochi conoscono. In soli due anni, nel 1946 e ‘47, mentre si stava scrivendo la Costituzione, le donne dell’UDI e i compagni e le compagne del PCI, da pochi mesi usciti dalla guerra partigiana, riuscirono in un’impresa che oggi sembra straordinaria: unire il Nord e il Sud dell’Italia in un unico abbraccio, in nome dei bambini.

Nell’immediato dopoguerra in un’Italia devastata, in soli due anni, più di 70.000 bambini vennero trasferiti con centinaia di treni speciali da Napoli, dalle province della Campania e del basso Lazio in Emilia e in Romagna, accolti dalle famiglie generose di operai e contadini, anch’esse impoverite dalla guerra e dalla lotta partigiana.

Nel film vediamo le immagini di una Napoli distrutta dalla guerra e dalla miseria, bambini e bambine che si rincorrono nei vicoli, vestiti di stracci e senza scarpe, alla ricerca di qualcosa da mangiare. Seguiamo le vicende di Amerigo (Christian Cervone), un irresistibile ragazzino di sette anni, che affronta con curiosità e coraggio il viaggio verso nord, ma soprattutto siamo coinvolti dalla storia di due donne, la mamma di Napoli e la mamma del Nord che lo accoglierà nelle campagne di Modena.

Ed eccola la forza delle donne, Antonietta (Serena Rossi) la mamma di Napoli, indurita dalla guerra e dalla lotta per la sopravvivenza, che trova la forza di lasciare andare per amore il figlio, sperando che possa trovare condizioni di vita migliori, nonostante nei vicoli tutti le urlino dietro ‘ non lo fare, i comunisti mangiano i bambini’ e Derna (Barbara Ronchi) la mamma del nord a cui il Partito affida il bambino perché lo tenga con sé in campagna contro la sua volontà, perché vive sola dopo aver perso il compagno morto nella guerra partigiana e crede di non aver spazio nella sua vita per un bambino così piccolo.

Il Treno dei bambini ci ricorda la migliore cinematografia italiana, le immagini dei i Quartieri spagnoli di Napoli cari a De Sica, le campagne modenesi di Bertolucci, la musica di Nicola Piovani e soprattutto le riprese ad altezza degli occhi di bambino, eredità per Cristina Comencini del padre Luigi.

Un film straordinario, che raccoglie la testimonianza, oggi quantomai necessaria, di un’Italia solidale e generosa che ha saputo reagire e risollevarsi, basti pensare che il filo che legava allora il Nord con il Sud del Paese non si interruppe allora con quella coraggiosa iniziativa, ma continuò negli anni seguenti con un flusso costante di immigrazione dal Sud verso il Nord. Un esempio per tutti: grazie a quei bambini furono migliaia gli operai che negli anni ’50 e ’60 dalle province della Campania contribuirono a creare le fabbriche di ceramica a Sassuolo.

Chiara Micali