Cosa ci dice il 30° Rapporto Ismu sulle migrazioni, recensione a cura di Vaifra Palanca

Sul fenomeno migratorio c'è un estremo bisogno di informazione corretta, responsabile nei confronti delle nuove generazioni, basata su dati oggettivi, depurata da interesse elettorali, e, come è sottolineato nel Rapporto, veicolata anche da persone competenti di origine straniera, ora molto silenti, senza alcuna discriminazione. Ecco perché Rapporti come questo dell’Ismu sono particolarmente preziosi.


E’ stato presentato il 17 febbraio scorso il Rapporto della Fondazione ISMU sull’immigrazione relativo all’anno 2024. Un appuntamento importante per tutti coloro che di immigrazione si occupano professionalmente, ma anche per coloro che vogliono conoscere e comprendere un fenomeno che caratterizza la società italiana ormai da un cinquantennio con un impatto sulla vita politica, sociale ed economica del paese e dei singoli cittadini, oggetto spesso di urlati scontri quotidiani, piuttosto che di confronto pacato, tra fazioni politiche che fanno dell’immigrazione un capro espiatorio o un pretesto per nascondere i reali problemi.

Quest’anno inoltre il Rapporto presenta una riflessione retrospettiva sui cambiamenti intervenuti nella composizione del fenomeno migratorio nel corso dei trent’anni di osservazione da parte dei ricercatori dell’Ismu, letti parallelamente agli eventi che hanno caratterizzato il contesto nazionale e internazionale nello stesso periodo (crisi climatiche, conflitti, pandemia, cambiamenti politici).

Il Rapporto è costituito da quattro sezioni. La prima su “Flussi, presenze, acquisizione della cittadinanza”, presenta dati molto articolati anche con confronti con gli anni precedenti, oltre ad una rassegna ragionata dei principali strumenti normativi di governo del fenomeno; la seconda approfondisce alcuni settori propri dei “Percorsi di inclusione e delle pratiche di convivenza”, tra questi importanti sono i capitoli che riguardano la scuola, la salute e la religione; la terza parte, piuttosto estesa, riguarda “L’Italia nello scenario europeo e internazionale” nella quale analizza i dati dei flussi migratori a livello europeo e globale, la normativa europea e il dibattito politico a livello internazionale; la quarta parte dal titolo “Tra differenze e disuguaglianze” è formata da capitoli volti a far emergere alcune problematiche relativamente nuove, tra le quali l’opinione pubblica e il ruolo dei media nella rappresentazione degli immigrati, la condizione delle persone con disabilità, le rimesse degli immigrati, l’intelligenza artificiale come fattore di discriminazione, il welfare. Tanti sono gli argomenti trattati tutti con rigore scientifico, ricchezza di riferimenti accademici, bibliografia. In questa breve presentazione farò cenno solo ad alcuni, ma per chi vorrà approfondirne la lettura, anche quest’anno il Rapporto è open access (scarica qui).

Al censimento del 1° gennaio 2024 la popolazione, straniera residente, quindi la più integrata e più stabile, era di 5.254.000 persone, pari all’8,9% dell’intera popolazione censita, con un aumento di poco più di 100 mila persone rispetto all’anno precedente. Di queste il 70% era rappresentato da cittadini europei. La dimensione della stabilità viene confermata anche dai dati sui permessi di soggiorno di lungo periodo, che ammontano nello stesso anno a 2.139.000, pari al 59,3 % del totale dei permessi di soggiorno. Dati che sono il risultato di un processo di progressiva maturazione del fenomeno migratorio che comprendono sempre più anche i giovani, le così dette seconde e terze generazioni, che mal tollerano l’etichettatura di immigrati, perché non lo sono mai stati, perché sono nati qui o arrivati giovanissimi. Quest’ultimo aspetto è particolarmente evidente nella scuola, dove gli alunni censiti come non italiani sono per più di 2/3 seconde generazioni, cioè nati in Italia, quota maggioritaria e crescente in tutti i livelli scolastici. In particolare dal 2007/08 (anno scolastico della prima rilevazione ISMU) il gruppo è passato da circa 200 mila unità a quasi 600 mila dell’anno scolastico 2022/23.

Un altro dato che rafforza l’idea di stabilità del fenomeno migratorio, ma che nello stesso tempo ne depotenzia il significato, è il numero crescente delle persone che hanno acquisito la cittadinanza italiana: dal 2011 al 2023 sono state 1.600.000 mentre negli ultimi due anni sono state in media 200.000 l’anno. Si tratta di persone infatti, che hanno trascorso oltre ai 10 anni di presenza in Italia previsti dalla legge, altri 5-10 anni di attesa del completamento dell’iter burocratico, che escono dalle statistiche sugli stranieri. Esse sono considerate invece nel censimento generale della popolazione e concorrono alla determinazione della sua composizione demografica e sociale, alla delineazione della sua identità. Un dato da rilevare è che la cittadinanza acquisita dagli adulti nel corso del 2023, a legge vigente, è stata trasferita ai loro figli, per un numero pari a 60.000 unità. Un dato su cui riflettere a supporto della proposta di cambiamento della legge di cittadinanza ora sottoposta a referendum, che indirettamente dovrebbe avvantaggiare anche i minori.

Un altro aspetto importante che emerge dall’analisi delle serie temporali dei flussi di ingresso in Italia è la progressiva riduzione dei flussi per motivi di lavoro e di studio e un aumento degli ingressi per ricongiungimento famigliare e, soprattutto, per protezione umanitaria. I conflitti in atto in varie parti del Mondo (Ucraina, Medio Oriente, Africa sub sahariana) hanno infatti posto con forza il problema dell’accoglienza dei richiedenti asilo e cambiato il discorso sull’immigrazione, enfatizzando la necessità di accogliere incondizionatamente e garantire i diritti universali a persone che non hanno possibilità di scelta. Su questo tema le iniziative a livello europeo, dal Patto sull’immigrazione e asilo, al nuovo regolamento per la definizione delle qualifiche per la protezione internazionale, dalla direttiva rivista sulle condizioni di accoglienza, al nuovo regolamento che definisce un quadro europeo per il reinsediamento e l’ammissione umanitaria (trattati ampiamente nel Rapporto) hanno rappresentato tentativi importanti per coinvolgere e coordinare le iniziative dei Governi degli Stati membri.

Sono invece in leggero calo, confermando una tendenza in atto dal 2019, le presenze degli immigrati irregolari stimati ora in poco più di 300.000, unità pari al 5,6% degli stranieri presenti. Gli accordi che l’Italia ha sottoscritto prima con la Libia e poi con la Tunisia stanno producendo i loro effetti sulla riduzione degli ingressi irregolari via mare, a costo di tante vite umane e del senso stesso di umanità. Un interessante capitolo del Rapporto si sofferma anche ad analizzare la tendenza crescente nel mondo alla costruzione di muri di cemento o di filo spinato, ai confini dei vari stati per fermare i flussi migratori, i trafficanti di esseri umani, la criminalità internazionale. In Italia abbiamo racconti di gravi violenze perpetrate ai confini con la Bulgaria, l’Ungheria, la Slovenia nei confronti di migranti di diverse nazionalità che tentano la rotta balcanica. Gli studi dimostrano tuttavia la completa inefficacia di queste soluzioni che hanno invece come risultato quello di rendere più drammatici e incerti i viaggi di persone in fuga da guerre e persecuzioni verso la salvezza, oltre che di sconvolgere la vivibilità dei nuclei abitativi e piccoli comuni o città di frontiera frontiera, da cui, nonostante tutto, spesso giungono isolati, ma importanti messaggi di solidarietà.

Parallelamente all’analisi delle caratteristiche e delle dimensioni del fenomeno migratorio è approfondito anche l’aspetto giuridico del governo del fenomeno, sia a livello italiano che europeo. Ritornando indietro negli anni viene menzionato il Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/1998 – Testo Turco-Napolitano) quale testo base che ha affrontato, in modo sistematico, il tema in tutte le sua sfaccettature, rivisto però nel corso degli anni in senso securitario, sia dalla legge Bossi-Fini (L.189/2002) sia attraverso numerosi decreti legge che hanno via via cancellato diritti di accesso e alle prestazioni sociali per gli immigrati, costringendo, in alcuni casi, la Corte Costituzionale ad intervenire per palese violazione dei valori fondamentali. Agli stessi anni risale anche la riforma della legge sulla cittadinanza (91/1992) che al contrario portò da 5 a 10 anni di soggiorno regolare il periodo necessario per l’acquisizione della cittadinanza italiana, principio attualmente messo in discussione da una richiesta di Referendum per ripristinare la norma precedente. Negli anni sono stati presentati anche diversi disegni di legge per facilitare l’accesso alla cittadinanza dei minori nati o giunti in Italia in tenera età, introducendo lo jus soli o lo jus scholae, senza tuttavia giungere ad alcun risultato.

Interessanti sono i capitoli riguardanti due ricerche di opinione dalle quali si può dedurre un cauto ottimismo per la rilevazione di atteggiamenti di accettazione e di comprensione dell’immigrazione, contrariamente alla narrazione di denigrazione e di odio proveniente da alcune parti politiche. Si tratta di un sondaggio di SWG del 2024, effettuato su un campione di italiani, che evidenzia una valutazione realistica, tendenzialmente positiva, di alcune problematiche connesse all’immigrazione, ad esempio, il 59% ritiene che l’integrazione (termine molto discusso ma usato con un’accezione positiva nel rapporto) degli immigrati di seconda generazione nella società potrà essere in futuro “molto o abbastanza più facile” di quella dei loro genitori, mentre il 41 % dice che sarà più difficile. Inoltre, il 57% degli intervistati oggi ritiene che “gli immigrati sono una risorsa” per il Paese e la società contro il 41% del 1998.

L’altra indagine è stata condotta condotta dall’Università di Genova e da Helpcode su giovani adolescenti, studenti, dalla quale risulta che i giovani hanno un’idea del fenomeno dell’immigrazione in generale fortemente sovradimensionata, e di conseguenza manifestano una reale preoccupazione per l’impatto che essa ha sulla loro vita e sul loro futuro. E’ evidente il ruolo che gioca nella formazione di queste convinzioni il discorso e un dibattito pubblico incentrati su pregiudizi, slogan elettorali, informazioni devianti e giudizi razzisti. Ma, questi stessi giovani, se richiesti di esprimere un parere sulla loro esperienza di relazione con persone, nello specifico coetanei, di origine straniera, il 98% risponde che ”non fa differenza avere un amico italiano o straniero”, il 55% che “ha un caro amico di origine straniera”, il 72% che “è favorevole ad estendere il diritto di cittadinanza basato sullo ius scholae” .

C’è quindi un estremo bisogno di informazione corretta, responsabile nei confronti delle nuove generazioni, basata su dati oggettivi, depurata da interesse elettorali, e, come è sottolineato nel Rapporto, veicolata anche da persone competenti di origine straniera, ora molto silenti, senza alcuna discriminazione. Ecco perché Rapporti come questo dell’Ismu sono particolarmente preziosi.

Vaifra Palanca

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