Nutro un sentimento ambivalente nei confronti di Genova, città in cui rimane da tempo assente l’orizzonte innovativo, sentimento (o raziocino?) supportato da innumerevoli buone ragioni, ragioni che in questo spazio contenuto non riesco a chiarire, neanche a enumerare. Così “divago” con l’augurio che da ciò possa trasparire una qualche intersoggettività di vissuti.
Sono nata a Porto Maurizio (https://www.imperiadavedere.it/imperia/porto-maurizio ), non a Genova.
Da qualche tempo, con vari andirivieni nazionali e internazionali (questi ultimi più che proficui), risiedo a Genova (vi vivo?), mentre a Porto torno davvero poco: l’adoravo; ora mi dispero per come è stata conciata. Da chi?
Addossare sempre la colpa alla politica? Sindaci e presidenti della Regione (governatori?; cerchiamo d’impiegare termini veritieri, non inglesi, o meglio statunitensi) vengono votati. Da cittadine e cittadini con la capacità conoscitiva di votare? No, stando al mio geniale amico Alvin I. Goldman https://philosophy.rutgers.edu/people/faculty/details/195-emeritus-faculty/602-agoldman).
Già, pensiamoci, quando ho inviato Alvin a conferire una lectio magistralis all’Università di Genova anni orsono, esigua a dir poco la presenza di studenti e studentesse, mentre quasi del tutto assente quella dei docenti.
Genova è una città? E, in ogni caso, come possiamo chiarire cosa è una città?
In proposito, si veda uno dei miei recenti dialoghi (credo fermamente nel dialogo socratico, nonché in uno “scambio” colto, e non antecedentemente preparato), dialogo quest’ultimo, tra Vittorio Coletti (http://www.diraas.unige.it/dipendente/15051/) e la sottoscritta, nell’ambito di “Conversazioni sulla città del futuro”.
Nutro un sentimento ambivalente nei confronti di Genova, città in cui rimane da tempo assente l’orizzonte innovativo, sentimento (o raziocino?) supportato da innumerevoli buone ragioni, ragioni che in questo spazio contenuto non riesco a chiarire, neanche a enumerare. Così “divago” con l’augurio che da ciò possa trasparire una qualche intersoggettività di vissuti.
Pur circoscritto al centro/centro, amo (amavo): gli edifici con le persiane verdi, caratterizzate dalla cosiddetta gelosia, sportello sollevabile che consente di regolare il passaggio di luce, una luce che in città poi scorgo poco, nelle persone e nelle istituzioni; alcuni rari genovesi, nativi o abitanti, per cui provo stima e affetto; specie sotto tramontana, il mare, nonostante sia “chiuso”; la vista di cui beneficio dalla mia attuale abitazione, e che, facendo due passi, da cui godo di Castelletto; Fabrizio De Andrè, Eugenio Montale, Niccolò Paganini.
Affermo, meglio suggerisco, questo, sapendo bene che le mie considerazioni non si attagliano affatto alle eccezioni di qualunque genere e sesso esse siano.
Il centro/centro? Attorno e sopra Piazza De Ferrari, mi narrano qui. A causa pure dei teatri, a mio avviso mille miglia da quelli londinesi. E che dire, invece, delle case editrici?
Un centro ove quasi tutto è raggiungibile a piedi. Quale “tutto”? Ormai e purtroppo, escluso il pedonabile centro storico, ove ho abitato a lungo, fin quando mi è risultato che una certa Genova (almeno per me) vi fosse stata sradicata, mentre un’altra Genova, ordinariamente e originariamente periferica, vi risiede allegramente.
Ora è mi ferra intenzione lasciare il cosiddetto centro/centro per risiedere altrove. Vicino a chi? Forse a a mia cara amica di origine turca, accademica inglese: http://www.digitalcultures.org/Symp/Mine.htm
Dicevo che non sono genovese di nascita, a differenza dei miei amati, e già menzionati, De Andrè, Montale, Paganini, tutti girovaghi, non a caso. Alla fin fine, si conclude col ponderare poco il proprio esilio dalla città, anche in virtù del fatto che “lei” rimane una matrigna: ti spinge alla fuga, e ti costringe a rimanere.
Genovesi di nascita? Tra i tanti, pure, Giovan Battista Cybo, che verrà eletto Papa, assumendo il nome di Innocenzo VIII. Da Papa aderisce alla consuetudine di ricorrere ad artisti di valore, consuetudine del resto tipica dell’aristocrazia/nobiltà genovese. Tuttavia, a differenza di alcuni, non tutti, fuoriusciti genovesi, la sua vicenda non può che indurci a ricordarlo come un grandioso fallimentare: dopo il devastante tentativo di una crociata, cui rimedia con un compromesso (tipico genovese?), stipulando un trattato di pace con Bayazid II, emana una fatidica e imperdonabile bolla, la “Summi desiderantes”: si tratta dell’avvio alla cosiddetta caccia alle streghe, oggi si direbbe, con un brutto termine, disgustoso ed efficace, a un femminicidio , di massa e “cristianamente” autorizzato. E, qui, nell’odierno, le “streghe” non piacciano, anzi.
Guardando bene, in centro/centro e non, Genova si attesta oggi essere città ormai davvero poco propositiva, città vecchia per anzianità della popolazione, città vecchia per progetti culturali, eppur città né per anziani, né per giovani – con “giovani” intendo coloro sotto i diciotto anni.
Città per chi? Forse per una certa piccola borghesia, in apparenza forte, in realtà esile e inesistente, soprattutto inerte, che però pratica una sorta d’irriconoscibile mercimonio, dal sapore netto del malcostume.
Già, una piccola borghesia che si dipana in una variegata economia, a tratti pur attiva ed egoistica, ma dimentica, perlomeno nei fatti, di un certo ingegnere meccanico, assai brillante, Giovanni Ansaldo, tra l’altro, se non erro, docente dell’Università di Genova.
Una piccola borghesia che si finge progressista, e pure anche velista, per poi attestarsi iper–tradizionalista (la tradizione non è sempre buona, piuttosto risulta spesso malvagia), ostile a ogni trasgressione, pur ammettendo, al proprio interno, drograt* , malavitos*, mafios*.
Le varie declinazioni odierne dei De Andrè, Montale, Paganini vengono cacciate, seppur nominalmente usate, anzi in effetti abusate, dall’orizzonte inculturale della borghesia nonché dei suoi pargoli. Tra l’altro, una borghesia, sempre davvero piccola (come rimediarvi?), che aderisce nascostamente alla tradizione dei tradimenti e, al contempo, ipocrita, li condanna.
Già, le trasgressioni. A Londra puoi camminare nuda/o per strada e nessuna/o, o quasi, bada a te; e i miei colleghi, amici, londinesi, se mi danno un appuntamento, quello è e deve essere: puntualità, loro ci sono, in toto, e pure io; e mi rispondono in un batter d’occhio a una mia telefonata, o a un mio sms, o a una mia email.
Lo stesso non accade a Milano, meno che mai a Genova, dove assai spesso a mancare è il rispetto, non il ciappetto. Va meglio a Roma, e nel mio fantastico circolo intellettuale, ove torno spesso, e a cui aderisco.
Genova abbraccia a mani aperte non i trasgressivi, bensì coloro sorretti dal sistema, o coloro che, un tempo fuggitivi, gloriosi/glorificati, e poi falliti, tornano in città a chiedere una sorta di elemosina, col sorriso stampato in faccia. Vanagloria.
La trasgressione in questa benedetta/maledetta città costa cara, specie quando risulti effettivamente un “nome”, da essa non creato, e a cui tenti di donare a essa tutto quanto hai personalmente guadagnato con sacrifici fuori. No, mi devo (preferite?) correggere, l’odierna Genova (e la passata?) predilige pure i nomi noti al grande pubblico italiano (italiota?) e piazza i nominati in posizioni cardini, senza badare alle competenze.
A Londra e a Roma, mi vengono riconosciute competenze, mentre a Genova (città quasi del tutto aliena da avanguardia, coesioni e integrazioni sociali e culturali, cittadinanze attive, rispetto personale e pubblico), mi ritrovo spesso denigrata e insultata, sempre non dalle rare eccezioni, ovvero da coloro che pensano, e con cui collaboro felicemente, spesso per cause civili, intellettuali, umane.
Poi come filosofo/a, già ben poco genovese, eppur, nonostante i tanti ostacoli, professore ordinario in giovanissima età, grazie al mio Carlo (Cellucci), estraneo agli accordi “provinciali”, Carlo, il quale, by the way, una sera mi telefona, proponendomi un posto da strutturato in Sapienza, quando qui non venivo per nulla considerata, posto a cui, stupidamente, ho rinunciato, per ragioni personali, ora svanite: avrei dovuto riflettere meglio e chiedo perdono a Carlo (sempre Cellucci) per non aver accettato la sua generosa offerta. Mi troverei ora a Roma e in Sapienza.
A Genova vi è (vi era) un Carlo d’eccezione: Carlo Repetti, scomparso il 9 dicembre 2020.
Generosità? Dove risiede in questa città, che ti annienta, specie se doni lei anima e corpo?
I numeri di Genova? Davvero pochi. Eppure in un momento in cui “contano” i numeri, dobbiamo averci a che fare (più di prima?). Specie in epoca di Covid-19? Le scienze prevedono le emergenze, altrimenti non sarebbero scienze, così rimango colpita dal ricorso “spettacolare” a dati, fatti, numeri, e dall’ignoranza filosofica di chi ritiene che matematica e fisica siano immaginazioni, e di chi va a raccontare tali boccerei, o chi si occupa di medicina e politica, e, inoltre, di filosofia della medicina e filosofia della politica.
Eppure so giocare bene a pétanque, sul campo davvero. Mi ha insegnato mio nonno Nicola.
Involuzione culturale massima. Educazione culturale? Dove risiede in questa città, in cui ritrovi persone al potere, o che il potere lo rincorrono, senza uno straccio di educazione e/o di laurea?
Da parte di lettrici e lettori, giusto domandarsi la ragione per cui, comunque, risiedo e insegno qui. Lavoro? Sì, a casa mia, non nel mio disadorno e soffocante studio universitario. Lavoro molto, of course. Facendo ricerche, studiando, scrivendo, partecipando a convegni da speaker, per il “fuori” città, festival, fondazioni, università. Debbo una risposta alla domanda, in quanto confido nel dialogo, e alla minutezza/perfidia onnisciente genovese, pur sempre arroccata in un deleterio dogmatismo, preferisco non nominare alcun dio invano, come qui invece accade. Dunque, “io”, al di del narcisismo imperante, qui perché? Forse, “io”, virgolettato mille volte, davvero ormai unicamente per le persiane genovesi, e un mare lungo cui pratico jogging e in cui mi tuffo d’inverno e d’estate, a Nervi.
Le donne a Genova? Contano le moglie di…, o le bellezze standard. Eppure la città ha visto donne straordinarie.
Basti menzionare Maria Brignole Sale De Ferrari. Nata a Genova, alla città ha donato, a mio avviso, molto, troppo, per poi, in virtù di un’accusa, pare ingiustificata rivolta al marito, si trasferisce a Parigi, e vi permane, incantata da una cultura brillante che qui mancava. Manca.
A parte le debite eccezioni, Genova rimane ingrata e irriconoscente. La mia insegnante delle medie inferiori (grazie a lei ho approfondito l’opera di Virginia Woolf) avrebbe sottolineato in rosso tale mia affermazione in un compito scritto: “Genova è una città, come tale non pensa e non è irriconoscente. Occorre piuttosto scrivere dei suoi abitanti”.
Genova indugia, abitata da eccezioni, che non confermano la regola. E ora, che faccio? Che fare?
Ragionare meglio, per poi agire meglio, sul Covid-19. Anche rispetto ai gender studies: https://eige.europa.eu/topics/health/covid-19-and-gender-equality.
E mi auguro che vengano ufficialmente condannate, monitorate, previste le molestie e le violenze, a partire da quelle psichiche, che avvengono in ambito universitario, nonché culturale. In proposito, su una scala nazionale/internazione, mi adopero: https://www.youtube.com/watch?v=sBIi_-3IfJk
Genova, una città tra le tante, senza alcun futuro?
Nicla Vassallo
https://niclavassallo.net/, filosofa, ordinario di Filosofia Teoretica, associato Cnr–Isem