In ricordo di Agitu Guideta la pastora etiope delle “capre felici”, di Alessandra Tazza

La morte di Agitu, al di là dei riscontri fattuali che verranno dalle indagini è un simbolo tragico di quanto l’ignoranza, l’odio e la violenza siano capaci di distruggere un sogno di libertà, di convivenza e di speranza. Per questo credo che Agitu non deve morire! 


Agitu era una grande imprenditrice agricola.

Con la forza e la determinazione che contraddistinguono spesso le imprenditrici aveva scelto di valorizzare la capra mochena una razza autoctona della valle del Mocheni in Trentino. Aveva cominciato con 15 capre ed era arrivata a 180: le sue “capre felici”!
Produceva latte e formaggi di qualità, aveva vinto premi e riconoscimenti per il suo lavoro ed aveva ancora nuovi progetti imprenditoriali.
Come molti innovatori era partita dalla tradizione ed aveva scelto di valorizzare una razza ovina che correva il rischio di andare perduta ed un territorio, la montagna, da molti abbandonato, dando loro nuova vita e nuove opportunità.

Agitu era una immigrata.
Con il suo lavoro era diventata una delle persone migliori di questo Paese, un esempio per molte e per molti.
Era nata in Etiopia 43 anni fa.
Aveva lasciato il suo Paese dopo aver ricevuto minacce per il suo impegno contro il land grabbing, l’accaparramento dei terreni a favore delle multinazionali, un problema che affligge molti Paesi africani. Il padre, un professore, aveva trasferito la famiglia negli Stati Uniti quando la situazione politica era diventata oppressiva. Ma lei, dopo gli studi all’Università di Trento, era tornata appositamente in Etiopia, dove abitava con la nonna, per lottare.
Fuggita di nuovo aveva ricevuto lo status di rifugiata e si era stabilita a Frassolongo un piccolo paese in provincia di Trento dove aveva iniziato la sua attività imprenditoriale.
La comunità l’aveva accolta (tranne alcuni episodi di razzismo da lei denunciati) e lei aveva costruito comunità intorno a se’. Aveva amici e persone che apprezzavano il suo lavoro: era ben presto diventata un simbolo di integrazione e di convivenza.

Agitu era una donna.
Ed esprimeva tutta la forza delle donne, Costruiva impresa, costruiva comunità, costruiva futuro per sé e per quelli intorno a lei.
Ma non è sfuggita al maschilismo cattivo che ancora circola come un virus pandemico. Prima con diversi atti discriminatori da lei prontamente denunciati.
Ora con la sua tragica fine.

Né valga a rassicurare i nostri “benpensanti” il fatto che il presunto assassino, reo confesso, è un africano come lei.
Siamo di fronte ancora una volta ad una violenza stupida e feroce, marchiata anche dallo sfregio della violenza sessuale, che molti uomini di diverso colore, lingua e nazionalità ogni giorno esercitano sulle donne, contro la libertà femminile.
La morte di Agitu, al di là dei riscontri fattuali che verranno dalle indagini è un simbolo tragico di quanto l’ignoranza, l’odio e la violenza siano capaci di distruggere un sogno di libertà, di convivenza e di speranza.
Per questo credo che Agitu non deve morire!

Qualcuno della sua comunità si è già impegnato a prendersi cura del suo gregge. Noi ci impegniamo a far vivere la sua storia nella nostra memoria e nel nostro racconto.

Alessandra Tazza