“Le Sindache d’Italia”, recensione di Graziella Falconi

Scritto da Andrea Catizone, avvocata responsabile del Dipartimento pari opportunità di Ali, e dalla storica Michela Ponzani, il libro è introdotto da Matteo Ricci, presidente della Lega delle Autonomie locali, e corredato di fotografie, che ci restituiscono il volto e testimoniano il cambiamento dell’universo femminile. Il volume è un viaggio nella storia della pubblica amministrazione che si snoda dal 1946 fino ai nostri giorni, mettendo in rilievo alcune tra le principali attività svolte durante il loro mandato.


Il 14 luglio 2016, Laura Boldrini, Presidente della Camera, ha inaugurato uno spazio adiacente alla sala della Regina , a Montecitorio, detto la Sala delle donne o degli specchi, nel quale sono affissi i ritratti: delle 21 Madri costituenti; della prima Presidente della Camera, Nilde Iotti; della prima Ministra, Tina Anselmi; della prima Presidente di Regione, Anna Nenna D'Antonio; delle prime dieci sindache elette nelle tornate delle elezioni amministrative del '46.

Su una quarta parete della sala delle donne, sono posti degli specchi ad altezza di persona fisica, accompagnati dalla scritta "potresti essere tu la prima", ovvero Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio dei ministri, cariche cui finora le donne non hanno mai potuto accedere.

Gli specchi originariamente erano tre, nel frattempo infatti è stata eletta a prima donna presidente del Senato, Maria Pia Alberti Casellati.

Sempre nel corso del 2016 nella stessa sala sono stati posti i busti in ceramica di Anna Maria Mozzoni, pioniera del movimento delle donne, e Salvatore Morelli, deputato campano, che sin dai primi anni dell’Italia unita hanno posto con vigore e puntualità il tema del voto e della rappresentanza femminile.

Una sala dedicata alle prime volte. E tra le prime volte bisogna annoverare la pubblicazione, a cura del Dipartimento delle pari opportunità della Lega per le autonomie, del volume “Le Sindache d’Italia” ( dic. 2020 , pp.182). Il primo libro che ricostruisce i profili biografici di 26 donne che hanno ricoperto in vari anni, il ruolo di amministratrici.

Un viaggio nella storia della pubblica amministrazione, recita il sottotitolo, che si snoda dal 1946 fino ai nostri giorni, mettendo in rilievo alcune tra le principali attività svolte durante il loro mandato. Sindache espressione di varie parti politiche, elette in grandi città , e anche in piccoli centri, con un curriculum privato assai diverso alle spalle di ciascuna di esse.

Scritto da Andrea Catizone, avvocata responsabile del Dipartimento pari opportunità di Ali, e dalla storica Michela Ponzani, il libro è introdotto da Matteo Ricci, presidente della Lega delle Autonomie locali , e corredato di fotografie, che ci restituiscono il volto e testimoniano il cambiamento dell’universo femminile.

Iniziativa che oltre alla ‘primogenitura’, è doppiamente apprezzabile se si tiene conto della difficoltà della ricerca in questo lungo periodo di pandemia. Ricerca addirittura più facile per le storiche prime dieci che per le altre, qui scelte con rigoroso criterio di imparzialità politica.

Il libro dimostra come la ‘rivoluzione’ dell’Italia repubblicana si sostanziò , da nord a sud, isole comprese, del lavoro di cura delle donne , delle loro lotte per un rapporto paritario con gli uomini, della rivendicazione del diritto ad occuparsi della cosa pubblica e di averne riconoscimento.

Il volume documenta del lavoro ‘inedito’, fino ad allora sconosciuto, di cui le prime dieci sindache si fecero carico, e che nessuno si era procurato di insegnare loro, perché il loro posto di donna doveva essere esclusivamente nella casa.

Nello scetticismo pressochè generale, le donne nel 1946 corsero in massa a votare e sebbene il diritto di voto passivo fosse stato aggiunto dopo quello attivo - si può dire all’ultimo minuto -, quando in 436 Comuni si svolsero le elezioni amministrative, in circa 2.000 si presentarono per essere elette nei Consigli comunali e 10 risultarono prime cittadine.

“Il loro operato non è stato molto documentato”, scrive Andrea Catizone, ma il volume ne tramanda i nomi e i cognomi, ovviamente quelli da nubile, e suggerisce ricerche successive che possano arricchire le pagine di tante storie locali e il loro concorso alla storia moderna del nostro paese. Il saggio di Michela Ponzani ben rappresenta il lungo cammino culturale e la delusione e lo ‘sconcerto ‘ delle donne a dover lottare per farsi riconoscere prima la partecipazione alla Resistenza, poi il lavoro affrontato nella ricostruzione dell’Italia e nel darle un volto umano e moderno.

Margherita Sanna, eletta il 7 aprile del 1946, sindaco ad Orune - comune della Barbagia, in provincia di Nuoro- fu riconfermata per altri due mandati, a riconoscimento della sua buona gestione. Come lei molte altre vennero riconfermate nella carica più volte.

Per non parlare poi di alcune madri costituenti, come ad es. Anna Maria Cingolani Guidi o Maria Maddalena Rossi, che cessata l’attività parlamentare, misero a disposizione dei loro comuni la propria esperienza e preparazione, con umiltà e spirito di servizio.

Alle donne è riconosciuta, talvolta cinicamente e come alibi, una maggiore sensibilità, empatia e immedesimazione. Tuttavia, una certa vulgata le voleva persone non qualificate, anche quando hanno studiato e studiano molto, fragili anche per una supposta congenita insicurezza.

Le biografie di queste donne dimostrano la strumentalità di simili giudizi e come persino i cosiddetti limiti, possono essere doti e risorse imprescindibli per un’istituzione, come quella di amministratrice locale, considerata la più vicina ai cittadini . Molto spesso si riconosce alle donne il loro valore, ma in privato, mentre più difficilmente è venuto loro un riconoscimento pubblico del loro lavoro. Non si tratta di rivendicare una gratificazione, ma di essere consapevoli che senza un riconoscimento pubblico del lavoro, la lunga strada da compiere “in termini di pari opportunità” rischia di diventare anche più faticosa.

Quante amministratrici ci sono attualmente nel nostro Paese? Oggi le donne vicesindaco sono il 28%, le presidenti di Consiglio comunale il 32%, le consiglieri comunali il 34% e le assessore comunali il 43%,una percentuale più alta, grazie anche alla norma che prevede all’interno delle giunte comunali almeno il 40% di donne. Le prime cittadine sono 1.140, pari al 15% degli amministratori; come si vede le percentuali degli incarichi apicali continuano ad essere sono molto più risicate. C’è stato un piccolo aumento, dell’1% rispetto al 2019.

La tendenza sta veramente cambiando? Come sono utilizzate queste donne? Secondo Decaro, presidente dell’Anci, la partita si gioca “sul contributo di qualità delle donne impegnate nei Comuni”. L’essersi privati del contributo femminile , del punto di vista, della competenza femminile, ha significato – riconosce Decaro - l’aver “fatto un torto non alle donne, ma alle comunità del nostro Paese: un danno fatto alle nostre società”. Il punto, per il presidente di Anci, è prima di tutto culturale e ,”in alcuni casi estremi, porta alla violenza sulle donne”. La sfida è non solo culturale, ma anche politico e sociale, e chiama in causa la qualità e la pienezza della democrazia, che non si accontenta di una parità di facciata.

Graziella Falconi