Siamo negli anni della Grande Emigrazione, centinaia di migliaia di italiani, uomini e donne partono in massa da tutte le regioni del nord, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Abruzzi..., il Veneto, dal Trentino al Polesine, la regione da cui si emigra di più. In questo 1887, solo dalla provincia di Rovigo sono partiti in più di ventimila. Muratori, fabbri, carradori, sarte, operai, balie, musici di strada, giovani spostati. Un film racconta le loro storie.
“Il vento spira forte, il mare è sempre mosso. Da una settimana non abbiamo che pioggia e nebbia, una nebbia densa, immobile. Il vapore beccheggia e tempella.
Noi di terza classe restiamo confinati nella camerata buia e fetida, un posto orribile, sottocoperta, come mai ne vidi in vita mia, si sta tutti al buio, coricati alla bell'e meglio direttamente sul pavimento o su cuccette accastate che sembrano grandi pollai. Qua boccaporti non ce ne sono, il cibo è marcio e sa di muffa, alcuni camerieri vendono di soppiatto resti di carne e di formaggio...Ora avanziamo in una specie di bianca oscurità che i rantoli della macchina rendono ancora più lugubre. C'è freddo, un freddo amaro che trapana le ossa”.
Così, nel suo quaderno di viaggio datato 1887, una giovane maestra veneta, Norina, 21 anni, descrive la traversata dell'oceano Atlantico, 36 giorni di viaggio, sulla tratta Genova - Rio de Janeiro, a bordo di una “carretta del mare”, come vengono chiamati in questa fine Ottocento i vapori degli emigranti italiani.
Siamo negli anni della Grande Emigrazione, centinaia di migliaia di italiani, uomini e donne partono in massa da tutte le regioni del nord, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Abruzzi..., il Veneto, dal Trentino al Polesine, la regione da cui si emigra di più. In questo 1887, solo dalla provincia di Rovigo sono partiti in più di ventimila. Muratori, fabbri, carradori, sarte, operai, balie, musici di strada, giovani spostati (i diplomati senza lavoro né reddito) che “espatriano per mestiere”, e famiglie di contadini, addirittura interi villaggi rurali, che “espatriano per la terra”, annota Norina. Se ne vanno in sud America, “il governo promette che in Brasile c'è terra fertile, in abbondanza, per tutti, e i brasiliani offrono il biglietto di viaggio gratuito... Le donne si portano dietro vasetti di semi che sperano di piantare nella loro nuova casa, in terra straniera.”.
Il vapore su cui è salita Norina è un mercantile a noleggio, un legno senza cabine, adibito all'esportazione di generi alimentari e prodotti tessili e di miniera. Ce ne sono a decine, di mercantili così, nei porti di Genova, Napoli, Palermo che, da quando i numeri di chi “espatria” (e le rimesse) si sono moltiplicati per mille, esportano anche emigranti a peso: la Tonnellata Umana.
Sul vapore, Norina sta con le altre donne, giovani, anziane, bambine, c'è chi è partita da sola, come lei, e chi con la famiglia, con un parente, con un vicino di casa...Stipati sulla carretta del mare i suoi compagni di viaggio, uomini e donne, grandi e piccini, sono più di mille.
Guarda, Norina, tutto quello che succede intorno a lei, e scrive. Figlia della filanda veneta, tra le prime ragazze del popolo a diventare maestra in una Scuola Normale, lei ha studiato nel convitto di Padova, dove vengono accolte “ le giovani povere e pericolanti” destinate a fare le maestre nei più sperduti paeselli “di terra e di montagna” dell'Italia unita, pagate pochi spiccioli dal parroco o dal sindaco visto che l'istruzione non è a carico del regno.
“Questa notte verso le due, nella nostra camerata si udi un lungo lamento, seguito da grida soffocate. Una giovane sposa dava alla luce un maschietto. Dall'altro lato, di fronte, morì un bambino, i fratellini erano angosciati e speravano che i genitori non avrebbero permesso di seppellirlo in mare. Al mattino li ho visti guardare con apprensione i corpulenti marinai che tagliavano e cucivano una piccola bara di tela. Il bimbo fu posto nl mezzo, fu ricoperto di sabbia, poi lo rotolarono nell'oceano. Una folla solenne rimase sul ponte muta a guardare, e la madre dolorosa ripeteva a tutti: è stato il primo dei miei figli a morire, giuro che sarà l'ultimo.
Da quando partimmo, venti giorni fa da Genova, ci sono stati sul vapore anche tre morti per asfissia e due per fame.“.
Tra il 1876 ed il 1925 più di cinque milioni di italiani, uomini, donne, bambini e bambine, partirono da quasi tutte le regioni, nord e sud, verso il continente americano. Il primo a muoversi, a trent'anni appena dall'Unità, fu il nord, con il Veneto in testa, più di un milione di emigranti tra il 1876 ed il 1900, diretti perlopiù verso il Brasile e i paesi dell'America latina.
Il sud, con la Sicilia in testa, cominciò a muoversi intorno al 1902 verso il nord America e gli Stati uniti.
Nella foto: Lawrence, Tennessee 1911 - Piccoli operai alla fabbrica di cotone
La storiografia internazionale l'ha chiamata la “Grande Emigrazione italiana”, un vero e proprio esodo, l'ondata migratoria più imponente dell'Europa del tempo. Coprirà due generazioni, costruirà il continente americano, nel senso letterale della parola (per non dire qui dell'Italia). Sopravvivendo tra mille fatiche e sacrifici nei quartieri fatiscenti per immigrati di New York, di Sao Paulo, di Buenos Aires, con l'unico obiettivo del riscatto sociale, del lavoro per sé e per i propri flgli e figlie, consegnerà a decine città dall'Alaska alla Patagonia il volto che oggi conosciamo: ponti, ferrovie, strade, grattacieli, opifici, metropolitane, automobili, reti elettriche, cotone e zucchero, camicette bianche, cappellini e guanti…
“Ci dicevano che le strade erano lastricate d'oro, e che bastava scavare con le mani per trovarlo. Ci accorgemmo subito non solo che le strade non erano lastricate d'oro, ma che non erano lastricate affatto, e toccava a noi farlo.”.
Mentre ero immersa nella ricerca storica sulla Grande Emigrazione italiana, alla base del mio film documentario “La storia vergognosa. Cuntu d'amore e di riconoscenza all'Umile Italia“, che ricostruisce la vicenda corale di queste due generazioni di nostri emigranti, sono stata colpita dalla quantità di fonti storiche a disposizione. E ho continuato a chiedermi, e ancora mi chiedo, com' è allora possibile che di questa vicenda oggi non se ne sappia nulla, non se ne parli affatto, se è vero, come è vero, che il primo convegno scientifico promosso per approfondirne ragioni e conseguenze (La Sapienza, Roma) è del 1976, a cento anni di distanza.
Eppure, ci sono montagne di fonti: diari, lettere, biglietti, poesie, resoconti di viaggio, di arrivi e partenze, di ingaggi, registri navali e di fabbrica, c'è lo stupore di un mondo ignoto: i delfini sull'acqua “grossi pesci argentati che si rincorrono velocissimi”, i coccodrilli e gli uccelli tropicali dai mille colori, la giungla, la Patagonia e la Grande Frontiera, il corteo del circo Barnum con gli elefanti e le giraffe...., e c'è la fatica del lavoro, l'impatto con la fabbrica, la povertà, la voglia di riscatto sociale, la partecipazione agli scioperi per i diritti del lavoro, l'identità e l'integrazione, e accanto la denuncia degli stereotipi e delle discriminazioni, gli incidenti sul lavoro, l'emarginazione sociale e le violenze a sfondo razziale, Dago! Dago!No White! No White! (che accendono lampi anche sugli eventi migratori di oggi) quando non veri e propri linciaggi.
In Brasile, i ricchi fazenderos vogliono “uomini e donne della pelle chiara, preferibilmente italiani del nord e tedeschi per contrastare indigeni e africani che con l'abolizione della schiavitù sono diventati la maggioranza schiacciante della popolazione” (Adolfo Rossi, giornalista, ispettore del regio Commissariato all'Emigrazione, istituto da Giolitti nel 1901). A New Orleans, tre anni prima, 11 italiani, ingiustamente accusati di omicidio, e riconosciuti innocenti dallo stesso tribunale, nella torbida vicenda della morte capo della polizia locale,vengono linciati da una folla capitanata da fanatici nazionalisti (molti dei quali componenti del locale Ku Klax Klan), lettere del console Pasquale Corte all'ambasciatore Francesco Forte, 1898.
Nella foto: Ybor CityTampa Florida - Operaie siciliane alla fabbrica di tabacco T.Garcia
E tantissimi sono anche i documenti ufficiali, atti di dibattito parlamentare sull'assenza di tutele e di leggi a sostegno dell'emigrazione italiana, dispacci di polizia e ministeriali, atti e convenzioni con compagnie di navigazione, accordi con governi stranieri sul numero di emigranti “da espatriare” come manodopera a basso costo, articoli e inchieste, interventi di intellettuali, opininisti, poeti, scrittori e giornalisti, come Edmondo De Amicis e Adolfo Rossi, come Eugenio Balzan, il gran patron del Corriere della Sera, autore nel 1903 di una inchiesta-denuncia sulla condizione degli emigranti italiani in Canada, come Napoleone Colajanni e Antonino marchese di San Giuliano, siciliani, autori di articolati carteggi politici su “che fare”, in totale contrasto tra loro.
Ed è qui che la cronaca politica della nostra Grande Emigrazione diventa Storia delle scelte economico-politiche del regno d'Italia nell'impatto con la prima rivoluzione industriale, e “l'espatrio” di cinque milioni di persone esce del tutto dalla sfera lacrimevole della “nostalgia” cui l'ha confinato la pubblicistiica introdotta e alimentata dal fascismo. Ci racconta invece l'Italia rurale di fine Ottocento e le scelte economiche del Regno d'Italia che accentrano il neonato sviluppo “industriale” in poche aree del Paese, condannando alla fame l'intera classe contadina.
Ma ci racconta anche, o forse soprattutto, la storia della nascita del movimento contadino, da nord a sud del Paese. Scioperi e proteste, dal Polesine alla Sicilia, dappertutto, precedono spesso la scelta di emigrare, di andarsene; scioperi contro lo sfruttamento del lavoro nei campi, e nella Sicilia del feudo scioperi contro la schiavitù e il sistema mafioso di controllo del lavoro agricolo, scioperi contro le leggi liberiste dei governi della Destra, contro le nuove tasse introdotte per raggiungere il pareggio di bilancio: la tasse sul macinato e la tassa sul sale che colpiscono le famiglie con più bocche da sfamare, i contadini che nell'Italia di questa seconda metà dell'Ottocento sono 21 milioni di persone su una popolazione totale di 31 milioni di abitanti.
“La boje, la boje e de boto la va de fora” gridano nel 1885 contadine e contadini, dal Polesine a tutte le terre del grande fiume Po', stremati anche dalle alluvioni, dalla pellagra “la malattia della fame”, dalla coscrizone obbligatoria che toglie braccia giovani al lavoro dei campi, dalla frammentazione deI contratti di lavoro per i braccianti: alla figura dell'”obbligato” (il bracciante con contratto e paga anche nei mesi invernali, quando il seme dorme sottoterra) è subentrato il “disobbligato”: contratti a termine, e d'inverno niente.
Ai processi per i moti de La Boje, celebrati in decine di città del nord Italia con centinaia di imputati e imputate, i giudici non potranno far altro che riconoscere l'assenza di qualunque reato. A
Venezia, il processo contro Andrea Sartori, ex mazziniano, Federico Siliprandi, garibaldino, e Giuseppe Barbiana, bracciante, che qualche tempo prima al Teatro Sociale di Brescia hanno messo le basi delle Leghe Contadine, si conclude con un'assoluzione piena per tutti, compresi i 220 coimputati.
Nei giorni che seguono – riportano le fonti storiche -, per le calli della città e nelle campagne le contadine - in prima fila nella protesta -, cantano a squarciagola:
Su da bravi signorini / buttè via i cappellini / buttè via i vostri guanti / e zappatevi i campi/ noi andemo in Merica.
Febbraio 1902, Giornale d'Italia. Diario di Adolfo Rossi, giornalista, ispettore del Regio Commissariato all'Emigrazione istituto nel 1901 dal Governo Giolitti.
“La vera novità di questo anno 1902 è l'emigrazione dalla Sicilia, una emigrazione iniziata in sordina che sta diventando un vero esodo. Dopo i Veneti adesso sono i Siciliani ad andersene in massa, lo ha ammesso recentemente anche il presidente del Consiglio Giiolitti dicendo che si tratta di numeri eccezionali per l'intera Europa. I Siciliani provengono soprattutto dalle province di Palermo, Trapani e Agrigento, dai feudi coltivati a grano del centro dell'isola e dei Monti Sicani, e vanno principalmente in nord America e negli Stati uniti.
Io li conosbbi questi Siciliani, il coraggio delle donne mi impressionò soprattutto, quando vi arrivai nell'autuno del 1893, per la mia inchiesta sui famosi scioperi dei Fasci dei Lavoratori...”
Maddalena Cusenza è una di loro. Con Providenza Rumore, testimone al processo del 1914 per l'omicidio mafioso di Lorenzo Panepinto, capo del Fascio dei Lavoratori della provincia di Agrigento, è la voce di donna che ha portato il mio film nella storia, ragioni e conseguenze, della Grande Emigrazione dalla Sicilia del primo Novecento. Che è anche l'emigrazione forzata di migliaia di contadini e contadine dei Fasci dei lavoratori.
“Mi imbarcai dal porto di Palermo con Giuseppe, mio marito, la notte della festa dei Morti dell'anno 1907, Grandinavano fuochi d'artificio. I ticchetti li comprammo vendendo il mio corredo alla Vucciria, il lenzuolo buono lo vendetti per ultimo e mi nascosi il denaro nel petto per ingannare i ladri che ci aspettano al porto. Niente altro avevo e niente altro mi portai.”.
Portabandiera a sedici anni della sezione di Piana dei Greci del Fascio delle Lavoratrici, Maddalena è una delle donne che il giornalista Adolfo Rossi ha incongtratio e intervistato anni prima, per la sua inchiesta “L'agitazione in Sicilia”, pubblicata a puntate (11) sul quotidiano La Tribuna di Roma, nell'autunno del 1893. L'unica testimonianza diretta esistente del grande movimento organizzato (360 sezioni su tutto il territorio siciliano, 300mila iscritti, dati della Polizia Regia di Palermo) che, tra il 1891 ed il 1893, sfidò il potere del assoluto di stampo medievale del feudo, su cui si basava l'organizzazione sociale della Sicilia, lasciato intatto dal Regno d'Italia, con uno sciopero di mesi e mesi per il rinnovo dei Patti Agrari.
Quando emigra in Louisiana, a New Orleans, Maddalena ha trentanni, ha vissuto la repressione sanguinosa dei Fasci dei Lavoratori ordinata all'esercito da Francesco Crispi, sodale degli agrari (decine di paesi a ferro e fuoco, 107 vittime), lo stato d'assedio in tutta l'Isola, la sospensione dei diritti civili; è stata arrestata più volte, non si è mai arresa, ha organizzato picchetti nelle campagne, bastonato gabelloti, a fianco di Nicola Barbato, capo dei Fasci dei Lavoratori di Piana, che continua a parlare ai contadini di dignità e diritti del lavoro dal Sasso di Portella della Ginestra, dove nei giorni di festa e per il Primo maggio si ritrovavano i Fasci di questo centro isola, la “profonda Sicilia” tra le province di Palermo, di Trapani e di Agrigento.
Parte, Maddalena, una sera di novembre, con altri attivisti, “su un mercantile che prima andava da Genova a Rio de Janeiro e ora da Palemo a Novorlenza, sulla via dei limoni, quella aperta al tempo dei re Borboni per l'esportazione della frutta. Duemila eravamo, nessuno di noi lo sapeva dove era questa città, Novorlenza, per noi era tutta Merica”.
A Sacramento, ultima tappa della sua vita “miricana”, Maddalena diventerà sarta, il suo sogno di ragazza. Nel 1911, ci sarà anche lei alla testa dello sciopero degli operai e delle operaie delle fabbriche tessili “vogliamo il pane e le rose” che dalla città Lawrence, nel Tennessee, infiammerà decine di città americane.
Note di ricerca. Cronologie
“Il fascio di Piana dei Greci è composto da tremila tra contadini e contadine su una popolazione di ottomila persone, le donne dei Fasci sono più di mille e parlano in in pubblico come vere oratrici”. - Corrispondenza del Giornale di Siicilia, 1893
“Lo confesso, mai avrei pensato di sentire delle rozze contadine esprimersi in termini così appropriati”, Adolfo Rossi,
L'agitazione in Sicilia. Inchiesta sui Fasci dei Lavoratori. - Intervista alle contadine del Fascio delle Lavoratrici di Piana del Greci, novembre 1893.
“ Nessuno è stato punito per la morte del mio Maestro, anche le carte del processo scomparvero, per sempre. Di me si sono perse le tracce. Forse me ne andai all'aurora, su uno dei tanti vapori della vergogna, ed espatriai nella Merica, sul cammino del mio Maestro, a New York, a Chicago, a Ybor City...
“ Poi mi chiesero: di che nazionalità è? Italiana, risposi. Allora mi dissero: non c'è bisogno che si presenti per il lavoro. Io corsi a casa a piangere, e mia madre, che aveva fatto la prima elementare ma era sempre informata di tutto, mi disse: ecco Francesca, prendi questi quindici dollari e vai a scriverti all'universitò. Fu così che entrai al college, e uscii dal greenbush, il quartiere ghetto sulla palude, la little italy dei miei genitori”
“Cari nipoti, ora chi visita Ybor City vede una seconda settima avenue, mai avrei pensato che il panificio Ferlita sarebbe diventato museo di stato, né che al parco avrebbero innalzato statue a Tony Pizzo, lo storico locale, che era secondo cugino di mia madre, o a Nick Nuccio, il primo sindaco siculo-americano... Ora, i ricordi posano sul tavolo gli attrezzi di lavoro dei miei genitori, le chavetas e le machinetas, il centrino all'uncinetto della nonna, il macinino del nonno... Ogni tasto che premo rompe il codice del silenzio”
“ Tio, el echo es que esta historia me partenece in su totalitad, la siento mia! Voi a Italia, Tio.Tengo una cita con una persona especial que conocí en internet, es artista itinerante, recorre pueblos con una compañía de malabaristas y cuentacuentos, busca historias de la gran emigración de la época de bisabuelo Giovanni, para contarlo a la gente y así recordar”
Mi fermo qui, e tanto altro ci sarebe ancora da scavare, da dire. Un'altima cosa però posso dirla con sicurezza: per tutto il tempo che mi ci è voluto per cercare le fonti, studiarle, comporre “La storia vergognosa” ho continuato a chiedermi, e ancora mi chiedo, com' è possibile che di questa vicenda che ha segnato la storia stessa del Novecento italiano (e non solo), di tutto il dibattito sulle ragioni e le soluzioni che per circa quarantanni ha traversato fortemente la società e la politica italiana del tempo, oggi non se ne sappia nulla, e del contributo di lavoro, di fatica, di progresso, degli uomini e delle donne della Grande Emigrazione non non sia tramandato né studiato niente.
Nella Condorelli
Quando gli emigranti eravamo noi. A proposito della Grande Emigrazione italiana, e di un film documentario che la racconta
La storia vergognosa. Cuntu d'amore e di riconoscenza all'Umile Italia, ITA 2020
16 dicembre 2021