Che cos’hanno in comune l’impettita avvocata penalista Giulia Bongiorno e la stralunata attrice comica Lunetta Savino? La cantante Paola Turci e la giornalista Maria Luisa Busi o la deputata Paola Concia con Lella Costa? Unite i punti con un tratto di penna e otterrete la lettera D di donna, ovvero di V come vagina, ovvero V-day. Un giorno per ricordare, sottolineare, insistere sulla preziosa diversità della donna attraverso le testimonianze e le storie buffe e commoventi, tragiche e allegre che Eve Ensler ha raccolto ormai più di quindici anni fa. Una raccolta che ha fatto il giro del mondo a teatro e non solo -, tornata al Quirino di Roma per una serata speciale, accolta tra le braccia dell’Associazione «Se Non Ora Quando» e trasmessa a una platea partecipe e divertita dalle signore di cui sopra più tante altre, Lella Costa in testa a introdurre e chiudere.
Sono storie di «vagine», di donne, ragazzine e anziane viste dalla parte della natura, e su a risalire, a raccontare cosa significa essere il sesso represso e violentato in una società maschilista. La scrittrice newyorchese era partita nel 1996 da un rapporto dell’Onu in cui si riportava il dato inquietante che una donna su tre nel mondo avesse subito abusi. Ensler intervistò circa duecento donne di ogni età e razza, classe e professione a partire da quel particolarissimo punto di osservazione. Componendo quel mosaico squillante ed evocativo che è i Monologhi della vagina. Ancora oggi, manifesto insuperato nel descrivere un mondo arretrato nei comportamenti e nella mancanza di rispetto per l’altra metà del cielo.
La serata al Quirino lo riprende ed è quasi un controcanto, ironico e pungente, alla marcetta fuori tempo del giorno prima che, sempre a Roma, capeggiata da Alemanno inneggiava all’abolizione della 194 e alle «donne assassine». Ma dove? Ma quando? I dati in Italia parlano chiaro, parlano male di maschi che odiano le donne. Le battono, le soffocano, le uccidono per impedir loro di non essere semplici oggetti di proprietà, ma persone dotate di pensieri ed emozioni. Di libertà, soprattutto. Anche quando si tratta di prendere decisioni gravi e severe sul proprio corpo.
Il tam tam mediatico funziona e il foyer del Quirino si riempie di ragazze di ogni età, in fila sventagliata davanti al botteghino. La maggior parte ha prenotato ed è lì solo per ritirare i biglietti per sé e per le amiche. Questo è uno spettacolo dove non si viene da sole: si solidarizza, si fa gruppo. Le mamme portano le figlie. E le nonne le amiche di gioventù. C’è anche qualche uomo sparuto, compagni di vita in versione dimessa e mansueta. Pochi i ragazzi, invece, forse messi in soggezione dalla prevalenza del femminino.
UN PALCO DIPINTO DI ROSSO
Cessato il brusio degli ingressi, il palco si accende di rosso con due schiere di donne sedute a semicerchio dirette dalla regia discreta e minimalista di Franza di Rosa. Davanti i leggii e i microfoni, arnesi del mestiere base per quella che diventa quasi seduta di autocoscienza. L’articolo di Sofri che commenta amaro i dati del femminicidio e che Lella Costa ricorda in apertura. Gli stupri come feroce arma di guerra in Bosnia e in Congo a cui sono dedicati monologhi come aghi di ghiaccio che si conficcano nell’anima. O pagine malinconiche, rimpianti di passioni umiliate come quella che interpreta, ironica e saggia, Lucia Poli di una vecchia signora a proposito del suo «là sotto», che dopo un paio di risvegli insurrezionali è stato chiuso «in cantina» per sempre. Paola Turci intona il canto triste delle violenze subite, Paola Concia e Giulia Bongiorno snocciolano dati. E su tutte si fa strada la strabordante simpatia di Marina Confalone, intenta a mimare l’alfabeto del piacere femminile. Altro che Harry e Sally, il campionario di gemiti e ululati, fermenti di piacere, le serpeggianti vocali lussuriose che modula la voce di Marina fanno due baffi all’orgasmino di Meg Ryan al tavolo del ristorante. Per favore, bis!
Rossella Battisti
16 maggio 2012