La CGIL insieme a un’ampia rete di associazioni laiche e cattoliche riunite nell'Assemblea “Insieme per la Costituzione” organizza e promuove una Manifestazione nazionale il 24 giugno a Roma con concentramento in Piazza della Repubblica alle ore 10 e comizio conclusivo in Piazza del Popolo per la difesa del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro e per la difesa e il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale.
La Fondazione Nilde Iotti ha aderito convintamente.
Non si può mancare. Noi ci siamo, il 24 giugno tutte e tutti in piazza per difendere il diritto alla salute.
Aderiamo con profonda convinzione alla giornata per la tutela del diritto alla Salute, per un Servizio Sanitario Nazionale e un sistema socio sanitario, pubblico, solidale e universale.
Non consentiremo a nessuno di travolgere e stravolgere il diritto alla SALUTE, diritto fondamentale delle persone e della comunità, come recita l’Art. 32 della nostra Costituzione.
La CGIL insieme a un’ampia rete di associazioni laiche e cattoliche riunite nell'Assemblea “Insieme per la Costituzione” organizza e promuove una Manifestazione nazionale il 24 giugno a Roma con concentramento in Piazza della Repubblica alle ore 10 e comizio conclusivo in Piazza del Popolo per la difesa del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro e per la difesa e il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale.
La Fondazione Nilde Iotti ha aderito convintamente.
Parla per noi la storia istituzionale e politica che ci ha visto fin dal 1978 lottare nelle istituzioni e nel paese per la legge 833, istitutiva della nostra Riforma sanitaria. Parla l’impegno personale e politico di molte di noi che hanno avuto responsabilità di governo per attuarla in tutto il paese, nelle regioni, nelle strutture territoriali.
Grande è stata l’attenzione che durante e dopo la Pandemia abbiamo riservato alle criticità emerse nel sistema e alle proposte per raffozzarlo e rinnovarlo anche grazie alle risorse del PNRR, guardando soprattutto al territorio e alle esigenze di una medicina territoriale adeguata alle sfide di salute del nostro tempo. Le risposte che vengono avanti dal governo sono insufficienti ed inadeguate, in alcuni casi pericolose come “l’autonomia differenziata” che farebbe sulla salute un’Italia a due velocità penalizzando il mezzogiorno del Paese.
La verità è che al finanziamento della sanità pubblica italiana, mancano almeno 50 miliardi per avere un'incidenza media sul Pil simile agli altri Paesi europei.
Una delle conseguenze è che cresce la spesa sanitaria privata: quella media arriva a oltre 1.700 euro a famiglia. Tanto che il 5,2% dei nuclei familiari versa in disagio economico per le spese sanitarie;
378.627 nuclei (l'1,5%) si impoveriscono per le spese sanitarie e 610.048 (il 2,3%) sostengono spese sanitarie cosiddette 'catastrofiche'. Si scaricano' sulle famiglie, ad esempio, oltre un miliardo di spesa per farmaci, e circa 2 per visite specialistiche e prestazioni diagnostiche viste le lunghe liste di attesa che sono più che raddoppiate in lunghezza dei tempi, soprattutto dopo il Covid.
Non stiamo al passo con i paesi dell’UE a 27 e per recuperare il divario servirebbe, una crescita annua del finanziamento di almeno 10 miliardi di euro per 5 anni.
Nei documenti di finanza pubblica - sono previsti meno di 2 miliardi di euro per anno, quindi circa un settimo del necessario per il riallineamento.
Se non si interviene, si dovrà passare da un Servizio sanitario nazionale universalistico a uno basato, su una logica di universalismo selettivo, che privilegi l'accesso dei più fragili.
Non solo: per allinearsi al livello degli altri Paesi europei di riferimento, in Italia mancano all'appello 30.000 medici e 250.000 infermieri. Per colmare questa carenza, il nostro Paese dovrebbe investire 30,5 miliardi di euro, tenendo conto del maggiore bisogno di personale.
Vista la carenza di vocazione, la soluzione sarebbe offrire loro condizioni economiche attrattive. Invece, i medici italiani, guadagnano in media il 6% in meno dei colleghi europei e gli infermieri il 40% in meno. "Senza risorse e senza personale sanitario è impossibile recuperare le liste d’attesa pur sapendo che il 65% di prestazioni sono andate perse durante la pandemia, di cui hanno sofferto soprattutto i grandi anziani.
Mettendo in conto i circa 12mila medici che vanno in pensione ogni anno, per colmare il gap se ne dovrebbero assumere almeno 15mila ogni anno per i prossimi 10 anni.
Per gli infermieri il problema è ancora più eclatante: ne abbiamo 5,7 per 1.000 abitanti contro i 9,7 dei Paesi EU: la carenza supera le 250mila unità rispetto ai parametri europei.
Insomma la situazione è molto critica, ci vuole una attenzione costante ed una robusta visione di difesa e rilancio del SSN che ci auguriamo che tutte le istanze progressiste del paese riportino al centro del dibattito pubblico per imporre al governo una seria e celere agenda politica di risposte al diritto alla salute dei cittadini.
A partire dalla messa in atto delle case di comunità, dei decreti attuativi della legge delega sulla non autosufficienza, della ricerca di risorse necessarie ed urgenti al servizio sanitario nazionale prelevando dagli extraprofitti e dalle rendite finanziarie una “quota di solidarietà per la salute” che possa consentire per il prossimo triennio una iniezione di risorse umane necessarie a far ripartire con efficienza ed efficacia il sistema.
Connettere digitalizzando e innovando profondamente, le strutture organizzative ospedaliere e territoriali, i servizi di prossimità, perché nessuno rimanga indietro o da solo.
Può e deve essere fatto, convinti come siamo che la salute non è un costo ma un investimento presente e futuro per lo sviluppo di tutta la società.
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità
12 giugno 2023