Torneranno le donne a sventolare la bandiera della pace insieme a quella europea? In questi anni tormentosi di crisi e di guerra, forse è necessario rifarsi al metodo Iotti, madre della Repubblica italiana e madre dell’Europa.
Il 20 giugno 1979 Nilde Iotti fu eletta presidente della Camera dei Deputati con 433 voti su 615. Una larghissima maggioranza che ne consentì la riconferma in altre legislature, per ben 13 anni.
Del suo discorso di insediamento alla terza carica dello Stato, si ricorda la dedica di questo importante riconoscimento alle donne , alle loro battaglie e alle loro conquiste. Il 10 giugno, si erano svolte le prime elezioni a suffragio universale del Parlamento Europeo, dove era stata eletta e dal quale si dimise subito. In una parte del suo discorso Nilde richiama questo storico evento europeo:
“Onorevoli colleghi, nelle settimane immediatamente trascorse sono avvenuti due fatti di importanza eccezionale: l'elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo e la firma dell'accordo «Salt II» fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Mentre ribadisco l'impegno della nostra Assemblea per una politica di distensione e di pace, consentitemi di collegare per un momento i due avvenimenti, nel senso cioè che le elezioni del Parlamento europeo (che ci pongono anche delicati problemi di coordinamento) costituiscono un passo qualitativo verso la costruzione di una Europa unita, capace di contare nel mondo per una politica di disarmo, di pacifica coesistenza e di pace”.
Riferimento non di pura pragmatica, convinta, com’era che il Parlamento, come istituzione nazionale o europea, esprime ‘al più alto grado la volontà popolare, sede di iniziativa di confronto di incontro delle volontà politiche.
Convincimento della Iotti, maturato già alla Costituente dove aveva compreso l’importanza del confronto con le culture politico istituzionali europee quanto a natura e funzioni di un parlamento.
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa , questa appendice del continente asiatico, il più piccolo dei continenti della terra, si pone il problema , come riparazione alla guerra e dalla guerra, di trovare forme di collaborazione e di integrazione.
Il processo di integrazione europea era iniziato nel 1950 con il trattato di Roma - ai cui negoziati parteciparono anche l’Italia e i tre Paesi del Benelux – e fu seguito, il 18 aprile 1951, dall’ istituzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
Nel 1956 il Regno Unito propose l’estensione del Mercato Europeo Comune (MEC) ad una più ampia area europea di libero scambio. Nel novembre 1958, però, la Francia mise il veto sulla creazione della nuova area, così il Regno Unito, insieme alla Svezia, si fecero promotori dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), concretizzatosi nel 1960, insieme ad altri paesi non membri della CEE come (Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito).
Il 25 marzo 1957 fu istituita la comunità economica europea: un'organizzazione di Stati europei che contestualmente alla Comunità europea dell'energia atomica, sottoscrissero il Trattato di Roma, entrato in vigore il 1º gennaio 1958. Ad essa presero parte i sei Stati già appartenenti alla Comunità europea del carbone e dell'acciaio, segnatamente Belgio, Francia, GermaniaOvest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. La nuova assemblea ha tenuto la sua sessione costitutiva il 19 marzo 1958 a Strasburgo con il nome di «Assemblea parlamentare europea», per poi essere denominata «Parlamento europeo» a partire dal 30 marzo 1962, allargata a 142 membri, nominati dai governi nazionali tra i parlamentari di ciascun paese. Tutti i deputati avevano pertanto un doppio mandato.
In questa prima fase il Pci si oppose nettamente all’integrazione europea leggendovi un suggerimento americano, di netto stampo capitalistico, funzionale al mondo diviso dagli accordi di Yalta. Inizia, tuttavia, all’interno del partito una riflessione che porterà con successivi passi di avvicinamento all’idea di integrazione europea, grazie anche all’opera di Altiero Spinelli, alla marcia di allontanamento dall’Urss iniziata nel 1956 con l’VIII congresso del Pci , nonché al gruppo riunito intorno alla rivista Politica ed economia, fondata da Giorgio Amendola e Antonio Pesenti nel 1957.
La formula l‘ Europa dall’Atlantico agli Urali non è di De Gaulle ma di Togliatti -rivendica Iotti- il quale la pronunciò in un discorso del 1957 n affrmando: “la vostra Europa è come la pelle di zigrino , che diventa sempre più piccola , invece di essere più grande, l’Europa dovrebbe essere almeno dall’Atlantico agli Urali”.
Nessun paese europeo aveva messo nella propria delegazione al p.e. i comunisti. Ma i socialisti, al governo di centrosinistra, non accettarono di inviare una delegazione l P.e., senza i comunisti.
Secondo Iotti, la svolta europea del Pci avviene nel ’60 e nel 1969 il Partito indica al parlamento europeo una delegazione di sette membri, guidata da Giorgio Amendola. Tra i sette del Gruppo, Nilde Iotti seguiva le questioni di natura istituzionale, Silvio Leonardi quelle economiche e Nicola Cipolla quelle agricole. Amendola riponeva in Nilde - che al Parlamento Europeo siederà fino al 1979 - una fiducia tale, che quando per ragioni di salute si assentava, la indicava a sostituirlo nella direzione del gruppo del PcI. Iotti è daccordo con il metodo politico di Amendola, per il quale era da accettarsi un regolamento europeo alla cui formazione i comunisti non avevano partecipato, “così come accettiamo tutto quello che è stato fatto. Nel futuro se qualcosa ci sembrerà non giusta porremo la questione ma secondo le regole che sono state stabilite”.
Nilde è particolarmente interessata alla cessione di parte di sovranità nazionale verso le istituzioni comunitarie, anche stimolata dal dibattito che aveva seguito nella fase costituente ( cfr. AAvv i comunisti italiani e l’Europa in Quaderni di politica ed economia n.6 nov.- dic. 1971 cfr. relazione Iotti Sovranità nazionale e istituzioni comunitarie).
Il primo intervento della Iotti al P.E. è del 7 ottobre 1969 nella seduta di approvazione del bilancio del Parlamento. Assemblea nella quale il relatore Furler a nome della commissione politica propone il quesito di un rafforzamento dei poteri del parlamento europeo in particolare in materia di bilancio, pur nella consapevolezza che i parlamenti nazionali derivano le loro prerogative dalla sovranità che essi personificano, dalla sovranità diretta che deriva dalla volontà popolare.
E questo non vale per il parlamento europeo le cui prerogative aumentano solo se aumentano i suoi diritti. E sono undici anni, dice Furler “che ci stiamo adoperando per ampliare rafforzare le nostre competenze nell’ambito dei trattati… Il nostro lavoro non è stato inutile...
Nel 1963 è stata tenuta un seduta fondamentale ed era stata approvata una risoluzione con desideri e rivendicazioni. Chiedevano : 1) la partecipazione del parlamento alla nomina degli esecutivi della comunità; 2) una maggiore posizione di rilievo del parlamento nella procedura di consultazione; 3) un potere di approvazione per tutte le decisioni a carattere legislativo cioè una partecipazione effettiva all’attività legislativa….”.
Insomma passettini cauti , di massima prudenza, a causa del problema fondamentale riguardante la sovranità e la eventuale cessione di sovranità. I parlamentari sono però pressoché concordi nell’analisi di tre aspetti: 1) il problema del rapporto delle giovani generazioni con il p.e. 2) le modalità di elezione al parlamento europeo. Anche se dopo l’elezione bisognerà risolvere il problema dei poteri di quest’ultimo e quello della funzione e dei poteri dell’esecutivo che il parlamento controlla;3) il rapporto con i paesi del terzo e del quarto mondo.
Risuonano nell’aula gli echi del movimento giovanile del 1968. Già al CC del marzo 1968 Nilde era intervenuta sui giovani . “Non sentite – aveva detto- in sottofondo il rumore dei problemi del mondo moderno di cui noi siamo il fermento segreto e profondo , di cui siamo la molla che determina l’avanzata dei grandi processi di rinnovamento della storia?” Il ’68 per Iotti è una tappa , il segno di inquietudine dei solchi prodotti dall’intervento americano in Vietnam , è ,per lei, “il fenomeno di più larga portata, spia di un processo della maggioranza della popolazione che vuole l’uomo , la persona umana al centro dello sviluppo”.
Anche per il P.e. i giovani e le loro lotte rappresentano la presa di coscienza che l’approvazione, o meno, di decisioni a livello europeo esercita un influsso sempre più profondo sull’intera società. L’unificazione è necessaria, dice il socialista Burger, perché le dimensioni dei problemi mondiali lo esigono. L’Europa non avrà un avvenire se non saprà unirsi e non potrà farlo che su basi democratiche. Un’ Europa autoritaria non ha alcun avvenire e in un’Europa democratica risulta determinante il ruolo del parlamento.
Nilde prende per esprimere parere positivo sulla necessaria approvazione da parte del parlamento europeo del bilancio della comunità. Ritiene che si debba discutere nei parlamenti nazionali dei problemi relativi alla cessione dei parte della sovranità nazionale. Rileva criticamente - ‘il coraggio della verità – la stagnazione nel processo di integrazione economica europea, si veda, per es., la politica agricola europea. Soprattutto fa notare: “ nei documenti ufficiali degli organismi comunitari si è sempre parlato di una unità economica che avrebbe dovuto costituire una unità politica, oggi –invece – si parla di necessità dell’unità politica come base dell’unità economica”.
Ma come si fa, se in parlamento siedono solo i comunisti italiani, benché i comunisti siano presenti anche negli altri paesi europei? I comunisti si sentono ‘tollerati’ “ così come lo erano i culti non ufficiali nelle legislazioni europee dell’800”. Come si può raggiungere, in questa situazione, l’unità politica? Sopratutto “Il P.e. deve conquistarsi un peso politico, anche senza riconoscimento formale di diritti. Non si può continuare a prendere atto della realtà politica dell’Europa quando essa si è nei fatti determinata”.
Intervenendo alla Camera dei deputati il 1 dic. 1972 fa rilevare che nell’Europa comunitaria il popolo dell’Europa è il grande assente, quello che non ha peso, che non riesce a far sentire la sua voce se non in modo molto mediato attraverso il compromesso dei governi. E’ questo lo sviluppo distorto della comunità europea. Ed è il peccato originario di qualunque riforma delle istituzioni, che non può reggere senza la partecipazione delle masse.
II 1 dicembre 1975, si apre con una relazione di Giorgio Napolitano , un seminario del Pci sull’Europa. La Iotti rileva come nelle basi solide dell’Europa non vi sono solo ragioni economiche, ma soprattutto politiche dal momento che essa nasce – riconosce superando la precedente convinzione del Pci - come atto di autonomia nei confronti degli Stati Uniti e per far avanzare un processo di distensione. Si sofferma sulla validità del Consiglio europeo, che certo non fa l’unione, ma può essere un momento di superamento di vischiosità, insorgenti.
L’11 febbraio 1977 - essendo stato approvato il 20 settembre 1976 l’atto relativo all’elezione a suffragio universale dell’Assemblea - , Iotti ribadisce che per l’Europa è fondamentale diventare padrona del proprio destino: il tema dell’autonomia europea è prioritaria proprio nel momento in cui si parla di elezioni a suffragio universale. L’autonomia e l’indipendenza si garantiscono oggi non solo con le armi ma soprattutto con la politica, in modo che l’Europa diventi momento di superamento della divisione del mondo in blocchi. Rientra nella autonomia europea il rapporto con i paesi in via di sviluppo, soprattutto l’Africa e quelli che fanno parte della convenzione di Lomé.
Nell’intervista a Rinascita del 14 luglio 1978 Per quale Europa ci battiamo, manifesta alcune preoccupazioni per quell’elezione europea, diretta, che si fa sempre più vicina. Si sono tenuti convegni promossi da vari partiti e sono state abbozzate piattaforme e programmi più o meno comuni di azione. I socialisti hanno come punto centrale una generica idea – affermata in modo contraddittorio - della necessità di uno sviluppo economico a vantaggio dei lavoratori, nonché posizioni molto discutibili sul piano economico sociale, ma molto più avanzate sul piano istituzionale. Purtroppo pesa sui partiti comunisti una terribile diversità che investe l’esistenza stessa della comunità europea.
Il Pci afferma la necessità di lottare per una trasformazione della CEE; anche i francesi accettano l’esistenza della CEE, ma i loro obiettivi sono diversi. I grandi partiti dovrebbero aprire la campagna elettorale con un appello comune ai cittadini d’Europa per affermare la distensione, il disarmo, lo sviluppo economico a favore dei lavoratori. E su L’unità 9 nov.1978 - i comunisti nel p.e -. Iotti definisce la spinta europea ‘via per il superamento dei blocchi militari e del bipolarismo’.
Non le sfugge che il sentimento nazionale è ancora molto vivo in Europa, perché in Occidente, attraverso i secoli, ogni paese ha avuto una sua storia ben caratterizzata, con lingue, culture, identità diverse. Grandi Stati unitari come Francia e Inghilterra che hanno tradizione di potenze coloniali sono gelose della sovranità nazionale e pensano – anche a livello popolare – di poter affrontare da soli i problemi del mondo e perciò non sentono il processo di integrazione come luogo per far sentire la propria voce.
C’è poi il tema dell’allargamento dell’Europa, legato a due ragioni essenziali:1) il valore, sul piano dei rapporti internazionali, dell’esistenza di una comunità che rappresenti davvero tutta l’Europa occidentale; 2) l’ingresso di Spagna Portogallo e Grecia che comporta il riequilibrio della CEE, dove i paesi ricchi si sentono minacciati dal punto di vista economico, specialmente agricolo, così come ritengono i comunisti francesi. Una comunità europea autonoma , è una comunità basata su una politica di amicizia nei confronti degli Stati Uniti e dell’Unione sovietica. Questo, Iotti confida, sarà possibile con l’elezione di un Parlamento al quale affidare funzione di controllo e di iniziativa, proprie di organismo eletto a suffragio universale.
Tutti temi dominanti al convegno Quale Europa - 8 novembre 1978 - , di cui tiene la relazione, che è anche un bilancio, difficoltà ed ostacoli, di circa dieci anni . Esamina, nella relazione come il Parlamento possa rispondere ad una funzione di controllo popolare oggi inesistente, perché tutto è deciso dal Consiglio dei Ministri, ovvero dai governi e non dai Parlamenti nazionali, deprivati di sovranità. Per questo tanto più è urgente un incontro unitario delle masse lavoratrici europee . C’è il tema, non di poco conto, della legge elettorale: la proporzionale cozza con quelle elettorali di grandi paesi. Perciò ogni paese andrà con una propria legge elettorale.
Al comitato centrale del 4 dicembre 1978 (relazione Amendola) il suo intervento è tutto incentrato sul tema già trattato, seppure brevemente in altri cc, ovvero il superamento dei blocchi militari e la creazione di un mondo multipolare nell’interesse della classe operaia. Autonomia e indipendenza europea comportano - dice- una politica della difesa ovvero un polo militare , ma non un’ Europa armata , e questo oggi, a differenza di anni passati, è possibile poiché i rapporti economici politici tra gli Stati hanno grande peso e influenza, si possono creare amicizia e collaborazione con tutti i paesi, specie con quelli del Terzo mondo.
E le donne che faranno, parteciperanno alla tornata elettorale europea? Si chiede al seminario sulle elezioni 8/ 12/ 1978. E’ sicura di sì, non c’è il pericolo di una loro astensione, specialmente se la campagna elettorale sarà ancorata a posizioni politiche generali quali l’unità economica e politica dell’Europa, la distensione e il disarmo, la cooperazione internazionale; tutti elementi della pace. A suo parere la programmazione a livello europeo è da collegare a una forma di integrazione con le economie del terzo e quarto mondo. Occorre una classe dirigente nuova: anche quella dei lavoratori. Di questi problemi il partito è a digiuno.
Iotti continuerà a manifestare profondo interesse per i problemi internazionali. Era costume del partito comunista mantenere una viva attenzione ai fatti internazionali; del resto il suo marchio di nascita era quello di ‘sezione dell’internazionale comunista’, e, pur mutato, il partito - dai massimi gruppi dirigenti fino alle sezioni territoriali - seguiva con attenzione gli avvenimenti esteri. Le relazioni nelle riunioni dei comitati direttivi, anche di sezione, iniziavano tutte dalle questioni internazionali. Le nubi nerissime del periodo postbellico, di un mondo diviso in due, della guerra fredda e del timore degli armamenti atomici e della compromissione della pace , contribuirono a mantenere alta questa attenzione.
Le donne e le loro organizzazioni, in particolare, furono tutte mobilitate in difesa della pace. E la Iotti, in qualità di presidente dell’Udi di Reggio Emilia, il 1 marzo 1952 su Noi donne ricorre alla parola peste - “ Parola dimenticata nel buio del passato, ove il progresso l’aveva costretta”-, per invocare la pace minacciata dagli Usa a danno del popolo coreano. “ L’orrore ci ha reso muti”, scrive, mentre agita insieme alle donne la multicolore bandiera della pace.
Torneranno le donne a sventolare la bandiera della pace insieme a quella europea?
In questi anni tormentosi di crisi e di guerra, forse è necessario rifarsi al metodo Iotti, madre della Repubblica italiana e madre dell’Europa.
Graziella Falconi
19 giugno 2023