Nelle gare di corsa, che siano 100 o 1000 metri, le corsie delimitate devono garantire che tutti gli atleti percorrano la stessa distanza. Il Sud si troverebbe a correre lungo la corsia più lunga, partendo però dalla posizione più arretrata, impossibile in queste condizioni arrivare al traguardo nei primi posti, non è pertanto possibile in questa condizione prevedere né un podio né una medaglia,
L’Autonomia Differenziata (AD) non deve in alcun modo essere attuata, semplicemente perché non partiamo tutti dagli stessi blocchi di partenza. In tempo di giochi olimpici il paragone viene facile. Nelle gare di corsa, che siano 100 o 1000 metri, le corsie delimitate devono garantire che tutti gli atleti percorrano la stessa distanza. Poiché la pista non è tutta rettilinea, ma ha delle curve, i blocchi di partenza vengono posizionati in modo tale che l’atleta che parte nella posizione più arretrata percorrerà la parte della curva interna quindi più breve e viceversa, l’atleta in posizione più avanzata compenserà in tal modo la maggiore ampiezza della curva, quindi il percorso più lungo. Il Sud si troverebbe a correre lungo la corsia più lunga, partendo però dalla posizione più arretrata, impossibile in queste condizioni arrivare al traguardo nei primi posti, non è pertanto possibile in questa condizione prevedere né un podio né una medaglia,
Al momento l’Italia è già palesemente differenziata, il Mezzogiorno è da anni in una situazione critica, così come, al contrario, alcune regioni del Centro-Nord sono stabilmente, da anni, in una posizione di eccellenza. La problematica è complessa, ma l’AD non può essere considerata una soluzione, anzi. In questo mio breve contributo tratterò esclusivamente dei danni che ne deriverebbero nell’ambito dell’assistenza sanitaria e quindi della salute di intere comunità e non solo al Sud.
Nel 1978 con la Legge 833 viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale, basato su tre principi: Universalità, Uguaglianza ed Equità. Ed è proprio il concetto di Equità che costituisce la vera, grande, antesignana intuizione di questa legge, che come altre leggi degli anni ’70 ha rappresentato un momento importante di crescita civile e sociale del nostro Paese. Equità e non solo Uguaglianza, la seconda infatti viene già riconosciuta nell’art. 3 della Costituzione, l’Equità tiene conto delle differenze all’interno delle comunità ed è solo nel superamento delle diversità che si può sperare in una vera e completa realizzazione dell’uguaglianza.
Ma nel 1992, in un momento di grandi difficoltà finanziarie e di una incombente crisi politica che colpisce il Paese, questi principi fondanti vengono cancellati dalla legge di riordino del SSN, la Legge 502 sotto il governo Amato, Ministro della Salute, Francesco Di Lorenzo. Non solo viene modificato il meccanismo di finanziamento del sistema sanitario, dalla spesa storica si passa alla quota capitaria, ma altri due cambiamenti hanno maggiormente minato il SSN e la filosofia alla base della sua legge istitutiva: i Comuni vengono privati del loro ruolo in ambito sanitario, ciò si traduce in una pericolosa dicotomia tra sociale e sanitario; ed ancora la trasformazione delle USL cioè Unità Sanitarie Locali in ASL Aziende Sanitarie Locali. Non è solo un cambio di vocale, dietro si nasconde la definitiva trasformazione del SSN.
L’Articolo. 3.1-bis della Legge 502, recita “In funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le Unità Sanitarie Locali si costituiscono in Aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”.
Come dice Moretti nel film Palombella Rossa, “le parole hanno un senso”.
Il dato è tratto, non si tornerà più indietro. Dal Comitato di Gestione, organo plurale, si passa al Direttore Generale, l’uomo solo al comando, la cui “mission” non sarà più la tutela della salute della collettività, bensì il pareggio di bilancio.
La salute diviene a tutti gli effetti una merce.
Capita di ascoltare sempre più spesso persone comuni che dichiarano quasi con una nota di orgoglio di -non volersi occupare di politica-, sarebbe bene informarli che, comunque, -la politica si occuperà di loro-.
Di solito sono le fasce più deboli della popolazione a pagare il prezzo più alto se si attuano politiche che non hanno come obiettivo l’equità ma perseguono, piuttosto, finalità che tendono a salvaguardare gli interessi di pochi che sono già privilegiati.
Esempio di una programmazione che non mira all’ equità è rappresentato proprio dal definanziamento della Sanità Pubblica: in tal modo si svuotano i servizi, si demotivano gli operatori, si riduce drasticamente l’offerta di salute, si depotenziano i centri pubblici di tecnologie avanzate e si propone/impone in maniera prepotente il privato. Il problema è ulteriormente aggravato dal fatto che il contesto nel quale la Sanità Pubblica opera è profondamente cambiato. È aumentato ad esempio il numero degli over 65, con tutto ciò che questo comporta in termini di interventi di diagnosi, cura e riabilitazione. Ed è aumentato il numero dei poveri.
Secondo i dati OCSE la spesa sanitaria pubblica in Italia nel 2020 è risultata essere pari a 2.043 euro pro capite, contro i 4.418 in Germania e i 3.523 euro in Francia. Per il futuro le previsioni sono ancora più cupe. Secondo il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, commentando il DEF 2024, ha dichiarato:«attesta la mancanza di un cambio di rotta e ignora il pessimo “stato di salute” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), i cui principi fondamentali di universalità, equità e giustizia sono stati traditi, con conseguenze sulla vita delle persone, soprattutto delle fasce socio-economiche più deboli e delle popolazioni del Mezzogiorno».
Nel Rapporto di monitoraggio ISEE 2023 del Ministero del Lavoro relativo all’anno 2021, si legge “La variabilità territoriale è comunque notevolissima: nel Mezzogiorno le famiglie ISEE in cui nessuno lavora sono pari al 46,6% contro il 25,8% del Nord ed il 32,7% del Centro; quelle a piena occupazione rappresentano nel Mezzogiorno il 21,6% contro il 38,7% del Centro ed il 43,9% del Nord. Non sorprende quindi il dato riportato da Nino Cartabellotta, cioè che «nel 2021, 900.000 mila persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per motivi economici.
È a rischio la salute di oltre 2 milioni di famiglie indigenti».
Poiché l’equazione è “più povertà meno salute” è evidente che il Mezzogiorno rappresenta, in un’ottica perversa, che percepisce la povertà come una colpa e la disoccupazione come una scelta, una sorta di zavorra di cui liberarsi, e la riforma proposta da Calderoli risponde a questo bisogno. Altro che Universalità, Uguaglianza ed Equità! Si accentuerebbe la competizione piuttosto che il reciproco sostegno tra le regioni.
Ma è vero che «Nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità» frase attribuita ad Albert Einstein. Infatti paradossalmente il decreto Calderoli sembra aver risvegliato le coscienze e quindi la consapevolezza soprattutto degli abitanti di quei territori in cui le condizioni di disagio durano da tanto tempo da essere date per scontate nella loro realtà e vissute come irreversibili nella loro soluzione. A questo punto la parola disuguaglianza è diventata argomento di dibattito ed è oggetto di approfondimento in molte inchieste e servizi giornalistici. Finalmente un grosso faro si è acceso sul Mezzogiorno ad illuminare tante, troppe condizioni che hanno negato, e continuano a farlo, una vita dignitosa ad intere comunità e soprattutto a reprimere, nelle nuove generazioni, il sogno, legittimo, di una vita migliore. Se consideriamo solo Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Molise e Abbruzzo, escludendo le isole, parliamo di più di 13 milioni di persone. Statistiche elaborate da Agenzie la cui serietà, trasparenza, nonché oggettività e indipendenza, confermano che il Sud è in una situazione critica da vari anni e che tale criticità peggiorerebbe con l’attuazione della AD.
Se analizziamo infatti quelli che vengono definiti i Determinanti di Salute Reversibili cioè i Determinanti Sociali, il quadro che appare è di un Paese tragicamente e ingiustamente diviso.
I più importanti determinanti sociali di salute sono rappresentati da:
Livello di istruzione
Reddito
Occupazione
Abitazione
Contesto sociale
Per quanto riguarda il livello di istruzione, nel 2019 è stato pubblicato sulla rivista “Epidemiologia e Prevenzione” un lavoro curato dai più grossi esperti italiani e stranieri di epidemiologia sociale, da cui risulta, in maniera inequivocabile, il nesso tra aspettativa di vita e livello di istruzione .
“Le persone meno istruite di sesso maschile mostrano ovunque una speranza di vita alla nascita inferiore di 3 anni rispetto alle persone più istruite;
Nelle regioni del Mezzogiorno, indipendentemente dal livello di istruzione, i residenti perdono un ulteriore anno di speranza di vita.
Le disuguaglianze sociali nella mortalità sono presenti in tutte le regioni, ma sono più marcate in quelle più povere del Mezzogiorno”.
Ciò dipende dall’effetto moltiplicatore che si viene a determinare a causa del Contesto. Un contesto di deprivazione incide anche sulle persone più istruite.
Le regioni in cui è più elevata la mortalità attribuibile a un basso livello di studio sono tra le donne: Liguria, Molise, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia
Tra gli uomini: Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Molise. Regioni dove però il contesto di riferimento è diverso.
Il livello di istruzione è utilizzato come indicatore della condizione socioeconomica, in quanto fortemente correlato con altre misure di posizione sociale, quali la condizione occupazionale.
Altrettanto inquietanti sono i dati pubblicati ogni anno dallo Studio portato avanti dal Gruppo NEBO sulla Mortalità Evitabile (ME) dai quali risulta, in maniera inquietante, che dal 2010 le comunità del Mezzogiorno perdono anni di vita rispetto alle popolazioni del Nord. Per ME si intendono i decessi che intervengono entro i 74 anni di età per cause di morte contrastabili con adeguati e tempestivi interventi di prevenzione primaria e secondaria e cure adeguate, e di conseguenza i giorni di vita persi in mancanza di questi interventi.
Anche la ME risente del livello di istruzione e della marginalità sociale.
Le donne campane pagano il tributo più alto per mortalità legata a cause prevenibili, ad esempio mediante gli screening oncologici, o modificando stili di vita errati. Mentre, per quanto riguarda gli uomini, è tra gli abitanti del Molise la più alta incidenza di mortalità per cause prevenibili e trattabili.
Il dato preoccupante sta nel fatto che, nonostante questa criticità sia oggetto di attenzione da anni, purtroppo accade che, mentre in alcune Regioni il numero di giorni di vita persi va diminuendo, in altre questo dato non si modifica, anzi.
Considerando la media annua di ME nel biennio 2020-2021 e confrontandola con la media annua triennio 2017-2019, si osserva che ad esempio a Modena si passa da 5.3 giorni di vita persi in un anno nel triennio 2017-19, a 4.8/anno nel biennio 2020-21; purtroppo nella Città di Napoli mentre nel triennio 2017-19 si perdevano 8.6 giorni/anno, nel biennio analizzato 2020-21 i giorni di vita persi sono saliti a 9/anno.
«La salute, la malattia e la morte non sono uguali per tutti, di fronte alla malattia e alla morte gli uomini sono ineguali per le condizioni materiali di esistenza, che hanno un'influenza tanto sullo stato di salute quanto sulla possibilità di curarsi. In questo modo le diversità di status e ricchezza si iscrivono nei corpi trasformando il sociale in biologico». Così Didier Fassin , medico e sociologo francese, già nel 1996, descriveva chiaramente la responsabilità del contesto sociale nel determinismo della malattia e della morte.
Prima di lui, molto prima, nel 1845 Friedrich Engels in un suo saggio parla di «malattia sociale» e afferma «Ma se la società pone centinaia di proletari in una situazione tale che debbano necessariamente cadere vittime di una morte prematura… se toglie a migliaia di individui il necessario per l’esistenza… questo è un assassinio che non sembra un assassinio perché l’assassino sono tutti e nessuno, perché la morte della vittima appare come una morte naturale, e perché essa non è tanto ‘un peccato di opera quanto un peccato di omissione».
L’Autonomia Differenziata sarebbe per il Mezzogiorno un “peccato d’opera”.
Inoltre, ancora più allarmante è quanto riportato nell’”Atlante dell’infanzia a rischio in Italia 2022” curato da Cristiana Pulcinelli e Diletta Pistono in cui si legge: “L’infanzia oggi in Italia è sempre più schiava delle diseguaglianze. Diseguaglianze sociali, economiche, educative, di genere. Ad oggi la speranza di vita in buona salute è in media di 61 anni, ma andando a vedere cosa significa la lotteria della nascita, si va dai bambini più “fortunati” che in provincia di Bolzano vedranno questa soglia alzarsi a 66,6 anni, a quelli che nascono in Calabria, per i quali questo traguardo si ferma a 55 anni. Oltre 11 anni di buona salute in media, a fare la differenza.”
In altre parole un bambino che nasce in Calabria porta con sé una disuguaglianza “congenita” legata al contesto di nascita. Si può accettare tutto ciò?
La storia siamo noi recita il testo di una canzone di De Gregori, siamo noi infatti qui ed ora, e a noi è toccato questo tempo in cui siamo chiamati a lottare per opporci a queste ingiustizie tanto pervasive quanto delittuose.
Sta a noi decidere da che parte stare, e come scriveva Arundhati Roy durante la pandemia «sta a noi decidere se trascinarci dietro le carcasse dei nostri pregiudizi e del nostro odio, della nostra avarizia, delle nostre banche dati e delle nostre idee morte, dei nostri fiumi inquinati e cieli fumosi. Oppure possiamo …camminando leggeri, con pochi bagagli, pronti a immaginare un altro mondo. E pronti a lottare per esso».
Rosa Papa
Ginecologa. Docente Master Integrazione Sociosanitaria Dipartimento Scienze Sociali della Università Federico II di Napoli
Note: 1. Gavino Maciocco, Quando Ciampi salvò il Servizio sanitario nazionale Saluteinternazionale.info- Scaricato da 2. AA.VV., Atlante Italiano delle disuguaglianze di Mortalità per Livello d’Istruzione, in «Epidemiologia & Prevenzione» XLIII, 2019. 3. NEBO Mortalità Evitabile con Intelligenza, Ricerche PA- MEVi www.mortalitaevitabile.it , 2022. 4. D.Fassin, L'espace politique de la santé: Essai de généalogie, Edizioni Presses Universitaires de France, Paris 1996. 5. F.Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra In base a osservazioni dirette e fonti autentiche, Collana I Classici del marxismo n.13, Edizioni Rinascita, Roma, 1955. 6. A.Roy, The pandemic is a portal, in «Financial Times», 2020, https://www.ft.com/content/10d8f5e8-74eb-11ea-95fe-fcd274e920ca31 luglio 2024