Penso la Resistenza come un grande ombrello che contiene generazioni diverse queste ultime su un crinale pericoloso: quello delle verità che sono uguali al loro contrario, delle libertà di cui si ignora il prezzo, della primazia del corpo rispetto all’elaborazione, dell’io rispetto al noi. La Resistenza è un antidoto.
Donne, Resistenza, 25 aprile trinomio plurale, una ricorrenza singola sul calendario, un nome collettivo, un mosaico esperenziale, evocativo di tante diversità, che va scritto con la maiuscola appunto perché comprende persone reali che hanno avuto nomi e cognomi; si sono messe in gioco pesantemente, e talvolta per loro è esistito un tardivo lessico diminutivo: eroine.
Le donne della Resistenza non sapevano allora, quando sognavano e insieme facevano, quale evoluzione sarebbe seguita, oggi invece possiamo seguire il percorso che hanno tracciato, conoscendo i tranelli, le lusinghe, le deviazioni da un percorso democratico. Resistere era allora così connaturato alla vita quotidiana delle donne che il passaggio è stato facile e forse anche da questo è dipeso il sentimento più volte da loro espresso di aver fatto solo il loro dovere, ritornando alla vita fuori dall’eccezionalità, con eccessiva modestia; eccessiva perché in realtà hanno cambiato il corso della storia, soprattutto per noi che possiamo misurare quello che loro non potevano sapere: i pregi e i pericoli della democrazia.
Non si può fare carico solo alle generazioni di partigiane oggi quasi del tutto scomparsa, che mi pare abbiano fatto più che abbastanza, di mantenere ancora viva la memoria: spetta a chi viene dopo resistere in altro modo. Intanto ricordare, scavare ancora nelle fessure della storia non raccontata, celebrare, perché le donne sanno bene oggi quale violenza abbia significato la cancellazione del loro genere, la censura, l’irrilevanza, la rimozione cui sono state condannate, cui hanno cercato appunto di resistere nei secoli passati, come potevano. Del resto, la cancellazione è proseguita anche con le donne della Resistenza, partigiane sì, ma solo quelle con il brevetto e meglio ancora con il fucile; comunque sottostimate numericamente tanto da dover continuare a correggere il loro numero.
La Resistenza femminile esprime una continuità di genere che parte secoli prima, continuando con le 21 Madri della Repubblica e il suo filo ininterrotto è già educativo rispetto alla istantaneità che veicola il web; il passato è frantumato nell’eterno presente, il futuro è prospettato ai giovani come negativo procurando fratture generazionali, di comunicazione, valoriali e soprattutto disgregative. La forza della Resistenza è stata invece il noi, diversamente dalla malattia dell’individualismo che non a caso è ritenuta una malattia della democrazia. La Resistenza femminile si è prodigata in cure per tutti di ogni tipo, mediche, morali, e per quelli che morivano; il lascito di oggi è che se le donne sono di nuovo chiamate a curare un corpo malato che è quello politico non lo faranno con il senso della cura privata e doverosa, ma come scelta pubblica e politica.
La distopia di una forma di governo pericolosa le Resistenti l’avevano vissuta, mentre nella nostra contemporaneità l’individuazione è più difficile, stante anche la guerra mossa alla storia, strategia necessaria per chi intende riscriverla. La riduzione degli insegnamenti nelle scuole, insieme alla recente riforma dei programmi, privilegiando l’eterno presente legato al web è un ottimo combinato disposto per far sì che la tradizione resistenziale diventi una delle tante pagine neanche tanto conosciute. È da lì invece che è partito il riscatto, il sogno tradotto in realtà di una Italia libera e paritaria, con il voto delle donne, non a caso passato allora piuttosto sotto silenzio, un non evento come è stato definito. La democrazia non prevede cittadini e cittadine in armi, ma neanche giovani disarmati dalla propria ignoranza.
La Resistenza è stata la scelta di una parte, partigiana appunto, di riscatto, di cambiamento, di rivolta morale, ma appiattirne il senso occulta la rivoluzione del gesto collettivo, che mutava di segno rispetto alle manifestazioni di massa del regime ed era anche in contro tendenza rispetto alla conoscenza delle lotte emancipazioniste e femministe dell’Italia liberale, che era stata interrotta e non tramandata, se non all’’interno delle famiglie; il nuovo calendario dell’era fascista significava contribuiva a cancellare il pregresso e a ricominciare da capo. Per le donne in realtà ricominciare non aveva molto senso, diritti ne avevano guadagnati pochi, nel fascismo affatto. Il sesso, che nei secoli precedenti era stato chiamato devoto, era chiamato all’obbedienza, riproduttiva, familiare, sentimentale, a sedare i contrasti, come si diceva a riportare la pace, e solo tenendo presente questo possiamo misurare l’abbraccio con la Resistenza; anche silenziosa, anche non eclatante, anche fatta di semplici gesti, ma ugualmente pericolosi; il gesto di rottura rappresentava una rivoluzione interiore ed esteriore di segno diverso rispetto agli uomini.
Come sempre la libertà desiderata e agita ha avuto un suo prezzo: immorali sono state considerate quelle che hanno vissuto in promiscuità mai viste con gli uomini, ma per moltissime di loro l’arresto non significava solo interrogatori, minacce ai familiari, carcere, condanne, ma era da mettere in conto anche la violenza sessuale. Le figure simbolo delle staffette partigiane, sono evocative nella loro fisicità anche di quello che veniva chiamato il vento del nord, che poi solo del nord non era; un vento che portava nuovi valori, quelli che sarebbero serviti a ricostruire il cumulo di macerie del dopoguerra, e a diventarne la spina dorsale: la voglia di impegnarsi, di vivere onestamente, e di considerare qualunque lavoro come nobile, un po’ immuni dal considerare la furbizia a qualunque costo come il maggiore dei pregi. Quando il vento del nord ha cominciato a non soffiare più la scala dei valori si è imbastardita ed è arrivato il vento del conformismo, dell’affarismo a ogni costo, della politica da basso impero. I figli del ’68 hanno tratto ispirazione da quel vento, dei nonni, e non dai padri per i quali quel vento si era affievolito.
Le ragazze figlie della Resistenza hanno dato inizio ad un’altra rivoluzione, quella femminista, in cui la nominazione ha avuto un grande peso, e da allora siamo impegnate a renderla ogni volta dicibile; oggi quella resistenza al patriarcato assume sì nuovi volti, ma camminando su quella tradizione che allora ragazze e donne certo meno colte, ma molto coraggiose hanno immesso sulla scena pubblica.
Per una società di pace le donne hanno combattuto durante la Resistenza e anche nella società del dopoguerra, avendo intuito che dall’uso nucleare non si tornava indietro, ma anche in questo senso la Resistenza è più che mai viva; Nonostante le riflessioni femministe sulla necessità del limite, il cosiddetto secolo breve il Novecento, secondo una celebre definizione per l’intensità e l’importanza di cambiamenti avvenuti molto rapidamente, è stato straordinariamente violento. Lo potremmo invece definire lungo, per il primato assai poco invidiabile di eventi sanguinosi e violenti che ha accumulato; è riuscito a passare alla storia come un concentrato di atrocità: campi di concentramento, olocausto, pogrom, atomica passando per gli stupri civili come le marocchinate a guerra finita con i tedeschi in ritirata in Italia, per finire con la pulizia etnica nei Balcani. In questo sanguinoso elenco, manca spesso la menzione di una rivoluzione, quella femminile, che ha grondato poco sangue e prodotto molti frutti.
Anche oggi occorre resistere ai decisori che ignorano, o fingono, che c’è un altro modo di fare la rivoluzione, sulla scia della Resistenza, una rivoluzione femminile che certo non manca di asprezza, ma non è sanguinosa. Ai sentimenti dei decisori di guerre e povertà e disuguaglianze, impastati di odio, ostilità, ambizioni, sfruttamento, arroganza, razzismo, che sono nati di donna, ma non lo sembrano, la Resistenza femminile oppone un altro tipo di passioni; costruttive; la Resistenza di donne e uomini è tessuta di sentimenti che nulla hanno a che fare con l’epoca delle passioni tristi come una parte della sociologia ha definito i tempi odierni.
Penso la Resistenza come un grande ombrello che contiene generazioni diverse queste ultime su un crinale pericoloso: quello delle verità che sono uguali al loro contrario, delle libertà di cui si ignora il prezzo, della primazia del corpo rispetto all’elaborazione, dell’io rispetto al noi. La Resistenza è un antidoto.
Fiorenza Taricone
16 aprile 2025