E' un dato di fatto che si facciano sempre meno figli in Italia, come per altro in tutti i paesi avanzati ed in generale nel mondo.Ed è forse esagerato parlare, come molti fanno, di suicidio demografico, quanto meno in un contesto di territori sovraffollati e di disoccupazione, come il nostro. Spesso si dimentica, però, che ai valori statistici declinanti della fertilità e della natalità si affiancano altri fenomeni, di carattere sociale e antropologico e di valenza qualitativa, di gran lunga più preoccupanti, anche se subdolamente nascosti e sottostimati, che configurano un quadro di società agenerativa e con forti difficoltà ad affrontare il futuro.
Innanzitutto si accentua, invece di ridursi, la polarizzazione tra dimensione privata e dimensione pubblica della esistenza, che significa separatezza, ed in alcuni casi conflitto, tra vissuti ed approcci femminili prevalenti nella sfera del privato -, e vissuti ed approcci maschili dominanti nella sfera del lavoro e della politica -. Quella contrapposizione che già alcuni anni fa Adriano Sofri ha tematizzato in un volume dal titolo Il nodo e il chiodo: i nodi della accoglienza, della inclusione, della cura da parte delle donne, negli ambienti privati di vita; i chiodi della competizione, dell’economicismo, della verticalizzazione maschile del potere, negli ambienti della vita pubblica.
Di fatto i due ambiti si configurano sempre più come due sistemi separati e tendenzialmente non comunicanti tra loro: lavoro e famiglia, pubblico e privato, denaro e affetti, solidarietà e competizione, ed anche procreazione e produzione, riproduzione e produzione, non si integrano, ma anzi si contrappongono, determinando tra le altre cose quella particolare fatica esistenziale che caratterizza la vita delle tante donne che desiderano avere un proprio ruolo in ambedue i contesti. I dati della sofferenza femminile nel mondo del lavoro e nei luoghi del lavoro sono noti. Meno noti, anche se oggi più analizzati che in un recente passato, sono i dati della femminilizzazione dei vissuti familiari, che significa in parte contagio di ruoli tra uomini e donne, con padri più materni di una volta, ma soprattutto crescita esponenziale delle responsabilità di figlie, mogli e madri nei confronti dell’allevamento dei bambini, della educazione, della cura dei malati, della salvaguardia della convivialità e della socialità, e di tutte le altre funzioni tipiche della sfera privata. E troppo poco sono considerati i risvolti sociali ed antropologici negativi dovuti al mancato sviluppo ed incontro armonico tra identità maschile e identità femminile e relativi ruoli e funzioni, rispetto alla possibilità di una fecondazione reciproca e della costruzione di nuova vita, come di nuovo lavoro, o di nuova cultura.
In questo senso si può dire che il valore della generatività, insomma della fiducia nel futuro e del desiderio di costruire nuova vita, viene progressivamente meno non solo e non tanto perché i figli costano, le famiglie con bambini sono le più penalizzate economicamente e socialmente, o la rete degli aiuti per i malati e gli anziani si fa sempre più stretta e lunga con la conseguenza di un assottigliamento sempre più pesante delle potenzialità e delle risorse che fino ad oggi per decenni hanno sostenuto e dato vita al cosiddetto welfare familiare all’italiana -, ma molto più per l’appesantirsi, fino a spegnersi, per sovraccarico e mancato sostegno culturale e sociale, di quella che dovrebbe essere considerata una funzione essenziale nel quadro dello sviluppo integrato della collettività, appunto la creazione di nuova vita, di nuovo lavoro, di nuovo sociale.
Un secondo importante aspetto, di carattere più trasversale, ha molto a che fare con la perdita di valore della generatività: l’escalation dell’individualismo e della solitudine. Si pensi al ruolo crescente di alcune tecnologie moderne nella vita di ciascuno di noi, dalla automobile fino al telefono cellulare e ai social network: strumenti formidabili di liberazione e potenziamento delle possibilità umane, ma al tempo stesso meccanismi di tendenziale isolamento e spesso brodo di coltura della solitudine e della povertà di relazioni significative. Si pensi all’aumento dei cosiddetti single (le famiglie mononucleari), che rappresentano ormai quasi il 30% dei nuclei, e non si tratta più solo di vedo vi ed anziani, ma anche di molti giovani uomini e donne. Si pensi ancora alle coppie senza figli, pari al 22% dei nuclei, che sono tali non più solo per oggettive difficoltà riproduttive (oggi peraltro spesso superabili), né solo per problemi economici, ma in molti casi per la scelta di una «solitudine a due». È in questo contesto che si assiste alla diminuzione di status ed alla svalutazione di ruolo degli insegnanti, come anche alla crisi della normatività all’interno della famiglia con le note conseguenze di disorientamento della adolescenza e di devianza giovanile. Trasmettere cultura e valori per la società del futuro sembra non costituire più una priorità né un obiettivo importante nella vita. La frattura tra scuola e famiglia e tra scuola e società è un ulteriore sintomo in tal senso. Il valore dell’insegnare e dell’apprendere lascia il posto ad un acritico primato del procedere solipsisticamente nel percorso di crescita formativa e di istruzione scolastica e universitaria.
La cosa più importante è forse rimarcare che una deriva di questo tipo mette a serio repentaglio l’insieme dei processi di sviluppo e di rilancio sociale ed economico di un Paese, in quanto, come anche gli operatori finanziari ben sanno, non vi è crescita senza fiducia nel futuro e nelle nuove generazioni, e senza che i processi sociali in corso siano alimentati da un sentimento, individuale e collettivo, di speranza e di impegno prospettico, oltre che relativo al presente.
Carla Collicelli, Vicedirettore Censis
30 novembre 2012