In Francia Audun Lybakken sarebbe considerato un uomo politico piuttosto originale. Nell'autunno del 2010, dopo la nascita della figlia Aurora, il ministro norvegese dell'infanzia e dell'eguaglianza ha preso un congedo di paternità di quattro mesi. Per sedici settimane, Lybakken ha cambiato pannolini, fatto la spesa e preparato pasti, mentre sua moglie è tornata al lavoro. " Volevo passare del tempo con mia figlia e dimostrare che il lavoro, per quanto importante, non deve farci rinunciare alle responsabilità familiari. Stare a casa significa occuparsi di piccole e grandi cose: sapere quando i bambini hanno mangiato, conoscere le loro abitudini, sistemare i vestiti, essere presenti quando sorridono per la prima volta." Quello di Lybakken, però, non è un caso eccezionale. Qualche settimana dopo il suo congedo, anche il ministro della giustizia, Knut Storberget, ha preso un permesso di paternità di tre mesi per occuparsi della figlia Ingrid. " Solo qualche anno fa questi congedi avrebbero suscitato nolte polemiche", sorride Lybakken, " Oggi è il contrario: le polemiche arrivano se uno non li prende. In vent'anni la mentalità è cambiata completamente. I norvegesi considerano normale che i padri passino del tempo con i figli. Se vogliamo che nel mondo del lavoro ci siamo uguaglianza tra uomini e donne, allora dobbiamo condividere meglio le nostre responsabilità domestiche.".In Norvegia questa piccola rivoluzione familiare ha un nome: pappapermisjon.Quando nasce un bambino, i genitori – che dopo il parto hanno diritto entrambi a un congedo di 15 giorni – si dividono un periodo di permesso di 46 settimane, indennizzato al 100 per cento, o di 56 settimane, in questo caso pagato all’80 per cento. I piccoli norvegesi, quindi, passano il loro primo anno con la madre o con il padre. E per incoraggiare gli uomini a occuparsi dei figli, ai papà è obbligatoriamente riservato un periodo di dieci settimane: se non vengono utilizzate vanno perdute, con un danno per l’intera famiglia. L’iniziativa ha avuto un grande successo: il 90 per cento dei padri norvegesi prende almeno 12 settimane di congedo. Quando la legge sul pappapermisjon è stata approvata da un governo socialdemocratico nel 1993, il ministro dell’infanzia era Grete Berget. Oggi Grete sorride ripensando alle battute che all’epoca aveva suscitato la riforma, ispirata al modello svedese. “Siamo partiti da una semplice constatazione”, spiega. “All’epoca nella nostra società la divisione dei ruoli era molto marcata: gli uomini si occupavano del lavoro, le donne della famiglia. Ora che le donne sono sul mercato del lavoro, gli uomini devono assumersi la loro parte di responsabilità familiari. Questa è la vera uguaglianza”. Prima dell’approvazione della legge, solo il 3 per cento dei padri prendeva il congedo. Due anni dopo la percentuale è salita al 70 per cento, e oggi raggiunge il 90 per cento. “È una rivoluzione”, osserva Elin Kvande, sociologa all’università di scienza e tecnologia di Trondheim (Ntnu) e autrice di un libro sulla paternità. “Oggi i padri sono più vicini ai igli e partecipano attivamente alla vita familiare durante, ma anche dopo, il congedo di paternità. È un fatto positivo: le ricerche dimostrano che più le coppie rispettano l’uguaglianza di genere, meno numerosi sono i divorzi. Molte separazioni sono legate alle tensioni generate dalle diseguaglianze interne alla famiglia”. L’uguaglianza in famiglia Petter Merok, direttore tecnologico della Microsoft norvegese, è uno di questi “nuovi padri” che s’incontrano il pomeriggio per le strade di Oslo mentre portano a spasso i figli. Quando è nato Olav, il iglio più grande, Petter ha smesso di lavorare per nove mesi; per Erik e Astrid, i due più piccoli, ha preso due congedi di tre mesi. Quando sua moglie, che fa la chirurga, ha ripreso a lavorare, è rimasto da solo con i igli. “All’inizio si pensa di poter fare un sacco di cose straordinarie, ma poi s’impara semplicemente a godersi il tempo passato con i bambini”, dice Petter. “Durante il periodo trascorso a casa ricordo che dovevo fare delle assunzioni per la Microsoft. Convocavo i candidati a casa e facevamo i colloqui nei giardini pubblici, andando a spasso con i bambini”. Oggi Petter è tornato in ufficio, ma i suoi ritmi di lavoro sono cambiati: anche se fa parte del consiglio di amministrazione di Microsoft-Norvegia, continua ad accompagnare i figli a scuola, mangia rapidamente un panino a pranzo e lascia l’ufficio verso le 16.30. Non sembra aver dimenticato le buone abitudini prese durante il pappapermisjon. “Se mi chiede qual è il mio contributo al lavoro domestico, direi più del 50 per cento. Se lo chiede a mia moglie, le dirà senz’altro di meno”, dice scherzando Petter. “Mio padre e mio nonno hanno sicuramente avuto una vita più facile, ma non ho rimpianti. Anche il lavoro più appassionante è meno importante del tempo passato con i figli”. Quando Petter ha chiesto il congedo di paternità, la Microsoft non ha battuto ciglio: si è adattata alle nuove regole, come la maggior parte delle imprese norvegesi, e nel 2011 ha ottenuto il bollino “Great place to work”, in particolare proprio grazie alla gestione dei congedi di paternità. “Il congedo di paternità è entrato nei costumi locali”, dice Liv Ragnhild Teig, dirigente dell’Nho, la conindustria norvegese. “Le imprese non possono riiutarlo. La soluzione è ripartire il carico di lavoro supplementare tra gli altri dipendenti o assumere un sostituto per qualche mese. Non è complicato”. Le imprese che non rispettano la nuova legge sono poche: nel 2010 la mediatrice per l’uguaglianza e contro le discriminazioni, Sunniva Orstavik, ha ricevuto solo dieci denunce riguardanti il pappapermisjon. “C’era, per esempio, il caso di un uomo che si è visto rifiutare un posto di lavoro perché aveva dichiarato che avrebbe preso il congedo di paternità”, spiega la donna. “Alcune imprese rimangono reticenti, ma in generale non ostacolano le richieste. In ogni modo non possono farlo: il congedo di paternità è garantito per legge. La mentalità è cambiata: i norvegesi sono convinti che per i neonati sia positivo passare del tempo con il padre. E un padre che sta con i figli durante l’infanzia, gli rimarrà accanto tutta la vita”. Questo sistema di congedi costa caro, ma per la Norvegia non è un problema: grazie al petrolio, il paese non sa cosa sia il debito pubblico. Del resto non sono i costi a preoccupare i rari oppositori del pappapermisjon. Per i partiti di destra il problema sta proprio nel principio stesso a cui è ispirata l’iniziativa. “Ogni famiglia è unica. Spetta a lei, non allo stato, organizzare la vita dei figli”, afferma Julie Brodtkorb, del partito conservatore Hoyre. “Con il pappapermisjon la politica s’intromette nella vita familiare. Il sistema è troppo rigido: agli obblighi imposti dal femminismo di stato preferiremmo gli incentivi fiscali pensati dal femminismo di destra. Bisogna dare fiducia alle famiglie”. Il primo ministro laburista Jens Stoltenberg, però, è intenzionato a proseguire sulla strada tracciata dalla legge del 1993: il 1 luglio 2011 la quota di congedo riservata ai padri è passata da 10 a 12 settimane e nel 2012 dovrebbe raggiungere le 14 settimane. La confederazione sindacale norvegese (Lo, Landsorganisasjonen i Norge) e l’Nho vorrebbero andare oltre. Chiedono infatti un congedo di paternità diviso in tre: un terzo per la madre, un terzo per il padre e un terzo a scelta. “È un sistema un po’ rigido”, osserva Lysbakken. “Vogliamo che ogni famiglia possa sedersi intorno a un tavolo, discutere e suddividere il congedo come preferisce. Stiamo assistendo a una trasformazione culturale. E non è necessario dividere il permesso in tre parti uguali per spingere i padri a passare più tempo con i figli”. Ovviamente il pappapermisjon non è bastato a cancellare tutte le diseguaglianze tra uomo e donna. In Norvegia il divario salariale è ancora del 15 per cento e le donne lavorano soprattutto part-time e nella pubblica amministrazione. “Siamo una società con un’uguaglianza ‘light’”, sintetizza Sunniva Orstavik. Tuttavia il sistema norvegese ha lanciato una piccola rivoluzione, che comincia a fare proseliti in tutta Europa: l’Islanda, la Germania e più di recente il Portogallo hanno scelto di riservare una parte del congedo parentale ai padri. E anche la Francia potrebbe seguire questa strada, come ha proposto di recente la ministra della solidarietà e della coesione sociale Roselyne Bachelot.
22 luglio 2011