"Conversazioni" di Nicla Vassallo, illustrazioni Francesca Biasetton, Mimesis Edizioni
un breve estratto dal volume della filosofa italiana

Il volume tratta del ruolo e dei doveri della filosofia, di cosa significa conoscere, della verità e della menzogna, dell’attendibilità o inattendibilità dei media, di politica, di scuola, di pregiudizi, di certi equivoci di alcune teorie e movimenti, del confronto con le altre culture, di preferenze sessuali, d’amore, del conformismo ipocrita che ci impedisce di voler costruire nuovi scenari privati e pubblici ispirati alla consapevolezza e all’onestà. Non filosofia della vita quotidiana, ma filosofia per la vita quotidiana, benché non solo. Una filosofia democratica. Non chiacchiere, ma conversazioni.

Nel volume Conversazioni (Mimesis Edizioni, Milano 2012) si rilancia il metodo del dialogo e dell’ascolto dell’altro, nel segno della filosofia. La buona filosofia che ci aiuta a ragionare, a valutare le situazioni, a evitare pregiudizi e stereotipi, a orientarci nel mondo. Un volume che si propone, dunque, come il tentativo di avvicinare un pubblico vasto ai temi complessi del discorso filosofico, senza indulgere alla banalizzazione, e in cui la dialettica costruttiva, metodo stesso del far filosofia, si coniuga con riferimenti a fatti di cronaca e con qualche divagazione inattesa e spiazzante.
Nel dialogo con la giornalista Anna Longo, arricchito dalle illustrazioni di Francesca Biasetton (http://www.biasetton.com), dalle quali il tema del dialogo e della sua necessità risulta articolato e potenziato, Conversazioni propone i temi specifici del pensiero della filosofa Nicla Vassallo (http://www.niclavassallo.net), prima filosofa italiana presente nella collana “Volti” e terzo volto femminile in assoluto, dopo quello di Marìa Zambrano e di Martha C. Nussbaum.
Il volume tratta del ruolo e dei doveri della filosofia, di cosa significa conoscere, della verità e della menzogna, dell’attendibilità o inattendibilità dei media, di politica, di scuola, di pregiudizi, di certi equivoci di alcune teorie e movimenti, del confronto con le altre culture, di preferenze sessuali, d’amore, del conformismo ipocrita che ci impedisce di voler costruire nuovi scenari privati e pubblici ispirati alla consapevolezza e all’onestà. Non filosofia della vita quotidiana, ma filosofia per la vita quotidiana, benché non solo. Una filosofia democratica. Non chiacchiere, ma conversazioni.
Difatti, Nicla Vassallo scrive in Conversazioni scrive: «Credo in un tipo di filosofia. Comunque, in un solo modo comune di fare filosofia, il modo argomentato e dialogato, in cui ci sono premesse, argomentazioni e conclusioni. Come funziona? In poche parole, se le conclusioni cui si giunge non soddisfano, dobbiamo controllare l’argomentazione, per verificare la correttezza o la scorrettezza del ragionamento, oppure contestare le premesse. Ovvio che nel caso in cui non riusciamo a rivolgere obiezioni né contro l’una né contro le altre, non possiamo – per onestà intellettuale – che accettare le conclusioni. Questo è il modo di filosofare che prediligo, un modo nato con Socrate: una filosofia per obiezioni e risposte, una filosofia in cui si dialoga, una filosofia democratica. Si cresce dialogando con qualcun altro, così, per esempio, invio sempre a più di un collega la prima stesura di un mio articolo scientifico o di un mio volume, affinché sollevi ogni obiezione possibile, a cui tento poi di rispondere nella seconda stesura. Un mio ideale? Le Meditazioni metafisiche di Cartesio, volume dedicato per la maggior parte alle obiezioni e risposte, in cui le Meditazioni si concentrano, invece, in poche pagine» (p. 13).
Sui cinque capitoli in cui si articola il volume, due sono di particolare interesse per l’attualità socio-politica in una visione (o più visioni) delle e sulle donne: il quarto capitolo intitolato “Donne, uomini, stereotipi” e il quinto capitolo intitolato “Sessualità”. Da “Donne, uomini, stereotipi”, estrapoliamo una breve parte, ben poco ovvia nelle sue implicazioni, a differenza di quel che potrebbe sembrare a prima vista, in cui Nicla Vassallo scrive: «Noto una pratica perseguita da molti organi di informazione: si insiste su alcuni casi proprio al fine d’incrementare audience e vendite. Ovvio che il danno è maggiore quanto maggiore è la diffusione della testata, dunque anche la responsabilità. Partiamo da casi drammatici. Sulla notizia di una madre che uccide il proprio figlio o la propria figlia ci si ostina con tenacia ossessiva. Perché, appunto, la donna non può non concretizzare lo stereotipo della donna-materna, e lo stereotipo non contempla l’infanticidio – infanticidio praticato, però, in alcune società del passato, senza venir considerato un crimine: quando, per esempio, si riscontravano alcune deformità nei bambini, o sotto forma di sacrificio rituale. Se lo stereotipo rimane quello della donna–materna (della donna-madonna, insomma, non della donna–maddalena a cui, invece, gli atti sadici vengono consentiti, a tratti richiesti), si spendono pagine e pagine. Si sono spese parole e parole, immagini e immagini su Lynndie England, soldatessa americana, tra le aguzzine di Abu Ghraib, sottolineando con costanza la sempre data per scontata contraddizione tra il suo essere donna e il suo essere torturatrice. Non intendo difendere le donne violente; solo evidenziare che si prova orrore nei loro riguardi non tanto perché, caeteris paribus, le violenze vanno biasimate in se stesse, quanto perché vengono commesse da donne, a cui un certo stereotipo nega la possibilità della donna-violenta. Di donne violente e crudeli non è esente la nostra storia: basti pensare, ad alcune regine di Francia, a Maria Tudor e al suo appellativo “Sanguinaria”, alla sorella Elisabetta I, tanto glorificata, quanto crudele, alle kapò. Tornando a noi e ai media, questi ci propongono stereotipi, oltre che di fronte ai drammi, pure di fronte a situazioni che potrebbero non aderire ad alcun cliché. Per esempio, quale cliché contiene la nudità in se stessa? C’è una bellezza intrinseca a ogni corpo nudo, o seminudo (giovane o anziano) che viene stritolata, omologata, da immagini scontate, osservate, ammutolite, anoressiche, immagini sulle passerelle delle sfilate di moda e sulle copertine di certe riviste, riviste di tutto rispetto. Del resto, certa televisione ci propone lo stereotipo della donna–maddalena, la donna belloccia–silente–provocante–stupida. Si vendono più abiti, più riviste – o più donne? – e aumentano i riscontri quantitativi di pubblico. Si pongono le tante donne reali in condizioni sgradevoli – volendo usare un eufemismo. A quale stereotipo adeguarsi? Uno stereotipo vale l’altro nel suo condensare in sé una molteplicità di pregiudizi? Perché tentare di adeguarsi a un qualche stereotipo? Già, quando non lo si fa, non si viene considerate “vere donne”» (pp. 62-63).
Nicla Vassallo

27 febbraio 2013