Storie nella storia. D’amore e di politica
di Sara Ventroni da l’Unità del 23 giugno 2013
La biografia di Iotti firmata da Luisa Lama Il racconto di una vita a testa alta: lo studio duro la militanza, l’adesione al «partito nuovo», la consapevolezza del ruolo e della statura morale. Il libro contiene le lettere appassionate e fino ad oggi inedite tra la giovane donna e il segretario del Pci.
"Loro sanno", diceva suo padre Egidio alludendo, senza troppi complimenti, alla borghesia. Lo studio è l'unica arma a disposizione per essere padroni della propria vita. Così, il ferroviere di Reggio Emilia, un socialista prampoliniano, fa prendere alla figlia il diploma di maestra. Poi, con una borsa di studio per orfani (nel frattempo Egidio è morto) Leonilde si iscrive a Magistero, alla Cattolica di Agostino Gemelli.
Nilde Iotti, una storia politica al femminile di Luisa Lama la prima biografia, a quattordici anni dalla scomparsa comincia da qui. Da un’opposizione morale alle macerie umane del fascismo. Perché il riscatto di una ragazza di Reggio Emilia non è una questione privata, ma riguarda il destino del Paese.
31 ottobre 1942. Con il motto di suo padre in testa, a pochi giorni dal bombardamento di Milano, le ventiduenne Nilde attraversa le rovine di piazza della Scala e va a discutere la tesi di laurea: «L’attuazione delle riforme in Reggio Emilia nella seconda metà del secolo XVIII»
Da tempo Nilde segue con attenzione i discorsi di Dossetti, di La Pira, di suo cugino Valdo Magnani, un militante dell’azione cattolica che nel 1936 diventa comunista. Tutti riferimenti destinati, in futuro, a gettarla nel cono d’ombra del sospetto agli occhi di Secchia, responsabile dell’Organizzazione e premuroso confidente di Stalin sullo stato emotivo del segretario del Pci.
Ma Nilde, nel 1944 come ricorda Livia Turco è attenta soprattutto alla voce delle donne che protestano contro il carovita e sono già, di fatto, protagoniste della Resistenza; ed è attenta alla voce metallica, «gracchiante», di Palmiro Togliatti, quando alla radio, da Napoli, annuncia il «partito nuovo».
Sotto queste stelle lo studio, l’emancipazione delle donne e un partito capace di rimettere insieme i cocci dell’Italia si compie il battesimo politico di una giovane ancora acerba, ma con le idee chiare in testa.
Intanto, il Segretario si mostra consapevole: dal 2 al 5 giugno Togliatti incontra a Roma, in un teatrino di piazza Fontanella Borghese, le donne comuniste. A loro raccomanda ma l’auspicio è rivolto a tutto il partito: abbandonate qualsiasi tentazione settaria.
Prima ancora di conoscersi, dunque, Iotti e Togliatti condividono una visione. Non si tratta solo del dialogo con i cattolici («compromesso» è parola riduttiva, dice il Migliore, riferendosi all’accordo con Dossetti sull’articolo 7) o di una fiducia nell’alleanza delle forze antifasciste.
In ballo c’è qualcosa che va oltre le ragioni di parte: è la fibra di cui dovrà essere intessuta la democrazia.
Il racconto di Luisa Lama segue la parabola 1945-1979. Non si tratta di una narrazione adagiata sulla scansione biografica (1920-1999) quanto piuttosto di una ricostruzione dei nessi tra la «progressione» (parola che Nilde preferiva a «carriera») di una donna, un’intellettuale, una militante dell’Udi, una parlamentare comunista, una Costituente, e la nascita della Repubblica.
La ventura di Nilde Iotti è indissolubilmente legata a quella della Carta. Le due biografie si scrivono a vicenda: i Gruppi di Difesa della Donna; il primo incarico ufficiale per l’Udi quando, su mandato del prefetto Pellizzi, Nilde si occupa della distribuzione dei viveri a Reggio; l’acco-
glienza di 1500 bambini di Milano da sfamare e da vestire, lo sfollamento a Cavriago, dove nasce per Nilde «l’ispirazione politica».
La sua candidatura alle elezioni del 2 giugno è un esordio discreto. E discretamente orgoglioso. La formazione è tutto. E non si improvvisa in un giorno. Eletta con altre ventuno donne, Nilde fa il suo ingresso ufficiale nella Commissione dei 75 per la Costituente. Ha solo ventisei anni e un sorriso fermo ed elegante. Non teme il confronto con le altre, perché la passione politica è una ragione di vita. L’epopea delle «rivoluzionarie di professione» come Teresa Noce o Rita Montagnana, moglie del segretario, non la mette in soggezione. E così sarà, lungo tutta la sua «progressione»: la Commissione femminile; la battaglia per la pensione alle casalinghe; il dialogo, non sempre facile, con altre compagne, come Marisa Rodano, quando le donne dell’Udi e del Pci provano a misurarsi sui temi delle giovani, dalla fine degli anni Cinquanta: la contraccezione, l’aborto, il divorzio, la pillola o un libro di Simone de Beauvoir non ancora tradotto in Italia.
Non sorprende allora che il capitolo «Amore e lettere», dove si presenta il carteggio inedito Iotti-Togliatti, sia cucito nella filigrana della storia. Lo scambio epistolare è ficcato nella scansione di giorni concitati, quando l’Italia decide del proprio destino. I due innamorati ne sono protagonisti. Nilde, messa alle strette dai ricatti o la carriera o l’amore sceglierà di scegliere tutto: il suo uomo, e il suo partito. Si tratta, d’altronde, di un amore scritto su carta intestata «Assemblea Costituente».
Dell’esistenza del carteggio aveva accennato la stessa Iotti, durante una festa dell’Unità a Correggio, nel 1993. Dell’epistolario si era poi persa traccia, fino a che Marisa Malagoli Togliatti (figlia adottiva della coppia) non ha deciso di aprire il cofanetto di legno intarsiato. Nella scatola sono contenuti i biglietti e le lettere (anche quelle non spedite) che Nilde e Palmiro si scambiano dal 5 agosto 1946 al 26 agosto 1947. Dal loro primo incontro all’inizio della convivenza al sesto piano di Botteghe Oscure.
Se l’aneddotica è nota Palmiro, scendendo le scale di Montecitorio, carezza in silenzio i capelli di Nilde a leggere le spigolature colpisce la ferma determinazione a vivere l’amore dentro la storia ufficiale. Perché non c’è scampo: il loro incontro è «una vertigine davanti a un abisso», scrive Togliatti il 5 agosto.
Il segretario sa che non può, e non vuole, più fare a meno di lei, per questo scrive biglietti ultimativi a Eugenio Reale. Va sistemata la questione con la compagna Rita, perché Palmiro vuole andare a vivere con Nilde. E non importa se il concubinato è un reato.
Nel vai-e-vieni dell’estate ’46 (Togliatti è a Parigi, Nilde a Reggio) i due si rincorrono nel pensiero. Palmiro spera di trovarla a Roma, al suo ritorno, il 19 agosto, e ne resta deluso: «Non credevo che avrei tanto sofferto, di non ritrovarti, di non sapere quando ti ritroverò, di non avere nulla di te, di non sapere quando l’avrò. Ora mi pare che non potrò vivere così».
I due si rassicurano. Sono determinati. Scrive Togliatti il 28 settembre 1946: «Quanto ho fatto verso di te e con te non è mai stata un’intenzione frivola (... ) ho seguito un impulso più forte della mia volontà (... ) Mi pare che possiamo e dobbiamo solo andare avanti, come in certi passi difficili di montagna (... ) questa è la lettera più seria che ti ho scritto, cara, stracciala, bruciala, rendimela. Ma voglimi bene».
Chi legge oggi il carteggio rischia di venire sopraffatto dal titanismo di un amore fuori misura, e fuori paragone, scandito sui tempi della grande storia, dove perfino gli antagonisti hanno una parte da protagonista. L’ostacolo primo è, manco a dirlo, il partito: la Federazione di Reggio Emilia che non vuole ricandidare la Iotti; oppure quel Pietro Secchia che informa Stalin di una «crisi personale del segretario»; che insinua dubbi sull’ortodossia di Iotti; che vorrebbe spedire Togliatti al Cominform, a Praga, lontano dall’Italia. Ma Togliatti non ci sta.
La biografia si ferma alle soglie del 1979, quando arriva il riconoscimento di una vita. Nilde ha sempre saputo ottenere, con ferma eleganza, ciò che le spetta. Come quando, nel 1952, prende carta e penna e scrive a Longo, perché vede uno stallo nella sua «progressione politica».
Oggi molti la figurano solenne, serafica, sullo scranno più alto di Montecitorio. Nilde Iotti: una regale istituzione in tempi democratici. La prima donna presidente della Camera. Una madre della Repubblica. L’ultima scena del libro inquadra le scale di Montecitorio. Dove tutto inizia e avvolge, a ritroso, il nastro della vita: una mano nei capelli, scendendo le scale. Mentre insieme si rifa l’Italia.
“Fino a quando mi amerai?” La passione Togliatti-Iotti
di Simonetta Fiori da La Repubblica del 23 giugno 2013
L’aria è particolarmente frizzante, in parlamento e nel Paese. Si costruisce una nuova Italia, e i vecchi capi comunisti — quelli che avevano subito le vessazioni del fascismo e temuto le purghe staliniane — cominciano ad assaporare il gusto della libertà, anche il piacere delle comodità borghesi. Non c’è più spazio mentale per le antiche compagne, quelle di taglia forte e scarpa 41, che gli erano state accanto nelle tante battaglie della clandestinità. Succede a Togliatti, ma anche a Longo e Terracini. E nell’estate del 1946 i rapporti tra Palmiro e la moglie sono incrinati da tempo, sin dagli anni del Comintern trascorsi a Mosca. Li divide anche la grave condizione fisica e psichica del figlio Aldo, che il padre fatica ad accettare. È in questa «situazione intollerabile», come lui dice, che arriva il sorriso di Nilde.
Il nuovo amore costringe Palmiro a un viaggio dentro di sé, lo stesso che loporterà a sfidare il partito e perfino il Cremlino. È tempo di bilanci affettivi, che non lo soddisfano. Fino a quel momento è stato un uomo in fuga dalle emozioni, «non sai tu quante immagini di donne ho respinto dal mio cuore». Addirittura una volta, pur di resistere alla seduzione femminile, aveva rischiato di morire per gli alti sentieri di montagna. Lui, il gran capo temuto e adorato, che scappa davanti a un’amica richiedente. Sempre a Parigi rivede Carmen, la comunista spagnola che dieci anni prima l’aveva amato nelle traversie della Guerra civile. Improvvidamente, rievocando l’antico sodalizio, vi fa cenno in una lettera per Nilde: «È commovente come una donna possa amare senza chiedere nulla». Poi ne straccia platealmente l’indirizzo, ma Nilde non è un’amante gretta né sprovveduta: «Ho pensato con un po’ di compassione a quella donna che certo ti ha amato. Quando non amerai più me, ti prego, non cancellarmi così».
È una storia d’amore «dolce e terribile », quella tra il segretario e la giovane parlamentare. Incontri furtivi, strette di mano in pubblico. Ma in novembre la stampa satirica comincia a bersagliarli, ritraendoli sul divanetto di Montecitorio in pose ridicole. A Botteghe Oscure i pettegolezzi si caricano di tinte velenose. E certo non resta a guardare la “marquisa” Montagnana. Alla Camera Nilde ne incrocia lo sguardo «duro, pieno di rancore e odio, appena filtrato dalle palpebre socchiuse ». Ma il nemico più temibile è il partito, un’entità entusiasmante e crudele che per mille motivi non accetta questo amore irregolare. In un momentodi malinconia Togliatti arriva a evocare «il povero Gramsci, anch’egli ha amato e voluto essere amato, e ha cercato tramite l’amore di essere compreso ». Chissà quante volte in passato la fragilità emotiva di Nino l’aveva indispettito. Ora no, perfino l’antico amico- avversario gli appare sentimentalmentevicino. Nel febbraio del 1947, una pausa inaspettata rallenta l’intensità del carteggio. Palmiro non risponde alle lettere, e Nilde scopre che è a casa ammalato, per giunta accudito dalla legittima moglie. «Sono certa che tu guariresti prima se potessi curarti io», incalza Nilde con modi quasi infantili. Sembra disposta a tutto, perfino a chiedere notizie all’autista-custode Armandino, che non le mostra grande simpatia. «Solo allora ho rinunciato a venire a casa tua», scrive a Palmiro in toni sommessamente minacciosi. In una lettera successiva accenna anche a un desiderio di maternità, «a volte vorrei davvero che qualche cosa di te restasse in me, forse allora capiresti ciò che sei per me». Dopo qualche anno quel figlio desiderato sarebbe stato concepito, ma il triste epilogo resta avvolto nel mistero.
In quegli stessi mesi, in parlamento, le sinistre combattono per una famiglia moderna, fondata sull’eguaglianza tra coniugi e sulla parità legale dei figli, nati dentro e fuori del matrimonio. Fortificata dalla sua stessa esperienza privata, Nilde resterà sul fronte a difendere i nuovi diritti. E il divorzio? No, su quel terreno non può battersi. C’è il rischio di una rottura con i cattolici, e Togliatti preferisce lasciar cadere. Ma nel privato — come già Longo e Terracini— prova a ricorrere alla “Sacra Rota Comunista”. Nel dicembre del 1953 fa domanda per risiedere almeno un anno a San Marino, dove il divorzio è cosa lecita. Ma sarà costretto a rinunciarvi, scoraggiato dal clamore mediatico che colpisce Longo. Sono i paradossi della doppia morale.
Nell’album della famiglia comunista, Nilde dovrà aspettare ancora molti anni prima di trovare ufficialmente posto accanto a Palmiro. Accadde nell’agosto del 1964. Ai funerali di Togliatti le viene concesso un ruolo d’onore, prima fila dietro il feretro. Se come sposa era rimasta invisibile, in qualità di vedova poteva ottenere l’agognato riconoscimento. La coppia, finalmente, non c’era più. La morale del partito salva per sempre.
La voce di Togliatti è contenuta in uno scrigno intarsiato, di quelli antichi dell’artigianato sorrentino. Non solo la sua voce, ma anche la sua emotività, la scoperta di sé, il tempestoso viaggio interiore di un uomo passato alla storia per la glaciale razionalità. Il mitico totus politicus alle prese con un sentimento terrorizzante quale l’amore. Quando credevamo di saper tutto di quella storia sentimentale, già consegnata ai polverosi annali del comunismo, affiorano quaranta lettere scambiate tra Palmiro e Nilde al principio della relazione. Il racconto del primo anno di segreta passione, dall’incontro a Montecitorio nell’estate del 1946fino alla convivenza nell’abbaino di Botteghe Oscure. Una vicenda che intreccia clandestinità, ostilità del partito e nascita dell’Italia repubblicana.
Amore e politica, per la prima volta parla Palmiro. E alla testimonianza di Nilde, arricchita negli anni con riserbo, si affianca quella del compagno. La loro storia sentimentale — gli affanni, il gioco e le gelosie, il lento scivolare l’uno nel bisogno dell’altro — ci viene raccontata anche da lui, il gran capo del comunismo italiano, allora ancora legato alla moglie Rita Montagnana. Una confessione a tratti sorprendente che si può leggere nella nuova e bellissima biografiaNilde Iotti. Una storia politica al femminile scritta da Luisa Lama, che ha avuto accesso al carteggio inedito ritrovato da Marisa Malagoli Togliatti, figlia adottiva della coppia.
Tutto cominciò da una «piccola carezza » azzardata sui capelli di Nilde, lungo lo scalone di Montecitorio. È il 30 luglio del 1946, da due settimane fervono a Roma i lavori per la nuova Carta Costituzionale. Ma nel retrobottega della grande Storia sta maturando la storia più minuta tra il mitico segretario comunista e la giovane deputata di Reggio Emilia. Li separano ventisette anni — 53 lui, 26 lei — e una gran quantità di cose: radici famigliari, formazione, status ed esperienza. Però lei è brillante, colta, di naturale eleganza. Chiacchierano di tutto, Ariosto, Boiardo e naturalmente politica. «Sei come una striscia di sole in una stanza buia», la corteggia lui in una delle prime lettere. Il tono è lieve, quasi allegro. Ma presto subentra il «sentimento di vertigine, come davanti all’abisso». Unosperdimento che lo abbaglia, Palmiro se ne ritrae piacevolmente spaventato. Non aveva mai provato quell’«impulso più forte della sua volontà», e teme di perderne il controllo. Da Parigi — dove è volato in agosto per parlare con Molotov del confine jugoslavo — arrivano i primi segni di resa. «Ho abbandonato me stesso a te come mai avrei pensato». E ancora: «Nec tecum vivere possum nec sine te». Né con te né senza di te. Pagine di block notes e fogli dell’Assemblea Costituente vanno riempendosi di parole d’amore, scritte a matita o a penna, mai con il leggendario inchiostro verde usato per il partito. «Nina mia». «Non posso più vivere così». No, questa è davvero un’altra storia.
Il ricordo di Nilde Iotti, lo stile femminile della Repubblica
di Bruno Gravagnuolo da l’Unità del 25 giugno 2013
Con Boldrini e D’Alema la presentazione della biografia, che contiene anche le lettere d’amore scambiate con Palmiro Togliatti.
C’è una lettera bellissima del 7 novembre 1946, di Togliatti a Nilde Iotti, che dice testualmente: «Una sola cosa mi guiderà...e voglio che tu lo sappia: il proposito di evitare a te che per l’affetto che tu mi porti, la tua vita possa essere più meschina di quella che la tua intelligenza e la tua devozione al partito promettono». Ecco, in queste parole c’è tutto, o almeno una parte rilevante del legame d’amore che legò il fondatore del «Partito nuovo» alla giovane deputata di Reggio Emilia. Totale autonomia e rispetto dell’altro. Stima, e promessa di autonomia reciproca, tra due persone che militavano per una grande causa ma non erano disposte a sacrificare i sentimenti sull’altare delle convenienze e delle ipocrisie, pur dovendoci fare i conti a quell’epoca. Dentro e fuori il Pci, e «un Pci persino più puritano del resto d’Italia», come ha ricordato Massimo D’Alema alla presentazione romana alla Camera del volume Donzelli da cui la lettera è tratta: Luisa Lama, Nilde Iotti. Una storia politica al femminile. Introduzione di Livia Turco (e il nostro giornale ne ha datto ampio conto in anticipo).
Non è un «siparietto» quella lettera, come tante altre, riscoperte da Luisa Lama nel volume, grazie al ruolo della «Fondazione Iotti» e di Marisa Malagoli Togliatti, figlia adottiva di Nilde e Palmiro. Ma è uno spiraglio per intravedere il destino, l’aura e la forza di una grande italiana, che poi sono i veri temi del libro, nonché quelli emersi nella serata alla Sala della Regina di Montecitorio. Con Laura Boldrini, Presidente della Camera, Livia Turco, D’Alema, Marisa Malagoli Togliatti, Rosa Russo Jervolino e l’autrice. Ma in che senso «grande italiana», di là dello stile e dell’autorevolezza che la giovane Iotti seppe via via conquistarsi, in un dopoguerra non certo amico dell’intelligenza femminile?
Bene, almeno su quattro fronti incide la Iotti, come hanno ricordato tutti i partecipanti e le partecipanti all’incontro. Centralità del Parlamento, e fissazione di un «canone» della democrazia fra opposizione e governo. Il che le verrà riconosciuto da tutti. Tenacia sulle battaglie di emancipazione femminile, sulle quali, a partire da «famiglie irregolari» e «divorzio» fu sempre tosta, malgrado la prudenza del suo compagno e del suo partito. E poi ancora, aggiunge d’Alema: costruzione sul territorio da cui veniva del «partito nuovo», «nel vivo di un scontro al calor bianco con l’estremismo del triangolo rosso erede di una Resistenza combattente e radicale» (nella quale cui la Iotti fu staffeta partigiana). Infine c’è il rapporto con i cattolici, di cui ha parlato Rosa Russo Jervolino, evocando la biografia della Iotti figlia di un ferroviere antifascista e socialista, e allevata da una madre che la manda a studiare alla Cattolica di Milano. Dove conoscerà La Pira e Dossetti, all’ombra dell’ormai filofascista Padre Agostino Gemelli, socialisteggiante nella prima gioventù. Quei La Pira e Dossetti che la Iotti reincontreà alla Costituente nella Commssione dei 75 dove sarà giovanissima protagonista redigente della Costituzione repubblicana, con posizioni avanzatissime per l’epoca. Dunque biografia politica completa, che riassume il meglio del Pci all’incrocio delle grandi ragioni che ne hanno fatto la forza nella storia d’Italia: emancipazione dei ceti subaltreni e diritti civili.
Ben per questo Nilde Iotti, come dicevano Laura Boldrini e Livia Turco, fu un modello femminile ineludibile per le donne italiane. Per lo charme, l’esperienza e la cultura con diresse da presidente la Camera dei deputati, e per tre volte tra il 1979 e il 1987. Insomma, impossibile non ammirarla. E soprattutto perché malgrado il «peso» che la relazione con Togliatti rappresentarono in quell’Italia la Iotti seppe fare grande politica senza mai stare all’ombra di nessuno, fosse anche quella di un grande leader amato (e odiato) italiano e internazionale come Togliatti. Perciò niente gossip nel libro che semmai usa le memorie private per far luce su una storia collettiva di civiltà democratica e che trovò in Nilde Iotti una cifra originale e altamente incisiva sul costume degli Italiani. E a proposito di tenacia, annota D’Alema, la Iotti duellò fino all’ultimo anche con Berlinguer: non condivideva la guerra civile col Psi e tentò di moderarla. Chiude Marisa Malagoli Togliatti: «Eravamo allegri in famiglia e non solenni. Amavamo, gatti, cani, animali ed escursioni. E soprattutto ci divertivamo». Già, chi ha detto che la «grande politica» voglia dire tetraggine?
25 giugno 2013