Donne in medicina. Il futuro è nostro
Uno speciale di Quotidiano Sanità

Uno speciale molto interessante su Quotidiano Sanità. Sull'onda di una serie di articoli di Ivan Cavicchi (2) (3) si è sviluppato un dibattito molto articolato sull'essere donna in medicina. Quasi tutto al femminile. Gli interventi di: Sandra OrruGiuseppina SarobbaAnnarita Frullini (2); Antonella CalvisiRita NonnisTeresita MazzeiAlberta FerrariSandra MoranoAntonella MonastraMarcella GostinelliSara PatuzzoAntonio Panti.

Quale presente e quale futuro per le donne in medicina? Il tema non è nuovo ma forse poche volte si era entrati così nel merito. A partire da esperienze dirette di donne medico impegnate ogni giorno in prima linea.   L'occasione ci viene da un bello speciale realizzato da Quotidiano Sanità. Un giornale web molto letto tra gli addetti ai lavori e che abbiamo pensato utile riprendere integralmente con tutti gli interventi apparsi negli ultimi mesi.   Tutto è iniziato da un articolo di Ivan Cavicchi, scrittore ed esperto di sanità che aveva raccontato, sempre su Quotidiano Sanità, la sua esperienza come relatore ad un convegno dedicato al tumore al seno.   Da quella testimonianza si è per l'appunto sviluppato un dibattito molto articolato e spontaneo (molte sono lettere al direttore) dal quale emerge con chiarezza il punto di vista delle donne in una tematica, quella del loro ruolo e del loro "essere donne" in medicina che, come scopriremo, ha ancora molti lati da far emergere.   La domanda li sorprese. Me ne accorsi dalle loro facce. Patologi, oncologi, chirurghi, radiologi, senologi, associazioni di donne, donne, erano venuti da tutta la Sardegna a discutere di neoplasia della mammella. La sala dell’assessorato era piena. “Di cosa stiamo discutendo” chiesi in modo provocatorio “di carcinoma della mammella” o di  “mammella malata di carcinoma”? Silenzio e grande attenzione. “Insomma qual è il sostantivo che comanda e decide i predicati della cura  e quindi della sanità che serve e delle professioni coinvolte? La malattia o la mammella metonimia della donna? Quale ontologia? Di questi tempi si parla solo di sostenibilità parlare di ontologia è da pazzi.   Spiegai che se il sostantivo che comandava la cura  era il carcinoma allora non ci sarebbe stato bisogno di romperci la testa con la multidisciplinarietà, con i percorsi condivisi. Sarebbe bastato  integrare meglio i servizi e le giustapposizioni  professionali esistenti. Ma se il sostantivo era il “malato di carcinoma” allora  sarebbe stato diverso e avremmo dovuto cambiare il modo di curare. Ogni singola razionalità professionale andava armonizzata cioè ridefinita  dentro nuove relazioni cooperative. E questo implicava un  nuovo discorso di organizzazione del lavoro.   “Se  discutiamo di mammella come  dovremmo considerarla?” chiesi ancora incalzante. “Un organo? Un pezzo anatomico? O qualcosa  di più”? Spiegai  che nel caso avessimo considerato la mammella qualcosa di più di un organo, filosoficamente  avremmo dovuto considerarla  un “superoggetto” o se si preferisce un “quasi soggetto” cioè: un organo, un organismo, una specificità genetica, persona e  un fenomeno (la malattia) dentro una società che con i suoi bisogni si rivolgeva  ad una sanità sempre più definanziata. Il superoggetto è una coestensione tra biologia clinica  storia  esistenza  società economia. Quindi qualcosa di complesso.   E’ questa nuova visione della complessità a  costringerci a cambiare una intera organizzazione sanitaria, a ridefinire le strategie e le metodologie operative, gli approcci professionali. Solo se ci si ripensa nella complessità si ha  il vantaggio di essere più bravi professionalmente, di costare di meno e di curare meglio. Chissà se i primari oncologi (Cipomo) che sollecitano giustamente una legge sull’oncologia ci hanno pensato? Come si fa a personalizzare le cure se non si ripensa l’impersonalità della clinica quella che considera gli organi come semplici macchine biochimiche? E come si fa ad essere “sostenibili economicamente” se prima non si è “sostenibili culturalmente”  cioè se  non si risolvono certe regressività  che continuano a orientare intere organizzazioni sanitarie? Le Commissioni di indagine  del Parlamento  sanno che la regressività culturale del sistema è funzione della sua sostenibilità economica? Intanto  gli anatomo patologi  ci bombardarono  con le slide, i loro vetrini…  istotipi…fenotipi… dicendoci in sostanza che il carcinoma della mammella parlava, cioè aveva un suo linguaggio.   Azzardai una interpretazione (ero stato chiamato per fare un discorso sui discorsi): chi parlava  in realtà  non era l’organo tout court  ma  il sistema  “fenomeno (malattia) superoggetto (ontologia) medicina e sanità”(organizzazione e conoscenze), con dei discorsi fatti da cellule, metastasi, valori biochimici  ma anche altro. L’organo in sostanza  si proponeva come se fosse un “ipertesto” da interpretare. Quindi oltre l’ontologia pure l’ermeneutica. Cavolo sempre più difficile! Tutti gli intervenuti senza rendersene conto  avevano posto tuttavia importanti problemi ermeneutici, cioè di interpretazione, ma non solo, tutti a diverso titolo, giustamente abbinavano il problema ermeneutico della malattia a quello della  comunicazione con il malato.   Ma comunicazione tra chi? Potevamo dialogare con il superoggetto avvalendoci solo dei nostri significati scientifici? Sarebbero bastati? Sapevamo tutti che non bastava spiegare ad una donna il significato scientifico del carcinoma mammario…e allora? Allora la sparai grossa: “Oltre al problema del “significato” esiste il problema del “senso”, cioè un supersignificato che va oltre la clinica e che coinvolge la vita delle persone  i problemi organizzativi e economici della sanità e quelli  problemi professionali degli operatori. Qual è il senso della medicina? Di una organizzazione sanitaria? Delle procedure condivise, dei percorsi terapeutici delle cure integrate?   Mentre il significato delle cose riguarda  le cose Il senso riguarda il mondo delle cose, nel nostro caso tanto chi cura  quanto chi è curato. Malati e operatori hanno un comune problema di senso. Ma questa è una storia antica. Migliaia  anni prima di Cristo si usava  studiare gli organi per ricavarne “responsi diagnostici”…Il presupposto razionale: vi  era un “microcosmo”, l’organo, che corrispondeva ad un “macrocosmo”  l’universo. Leggere o parlare con l’organo significava leggere o parlare con l’universo. Mutatis mutandis tutti avevano lo stesso problema. C’è un microcosmo che si chiama mammella  da interconnettere con un  macrocosmo che si chiama donna, vita, società, sanità, economia, azienda. Tutti quegli operatori  si ponevano il problema  di  come organizzare tali  interconnessioni per essere semplicemente migliori.   Me ne tornai a casa rimuginando tra me e me. Pensavo alle due Commissioni di indagine sulla sanità decise dal Parlamento e all’intero apparato istituzionale  che governa la sanità. Mi sembrava  di avere a che fare con una gigantesca arretratezza culturale . La sanità si potrebbe rivoltare come un calzino. Ma come diavolo  faccio  a spiegare  a gente che in testa ha solo i costi standard, i fondi integrativi, la sostenibilità, che per cambiare la sanità prima di ogni cosa si tratta di decidere i sostantivi che comandano i predicati della cura?   Ivan Cavicchi   (Cagliari 18 giugno 2013. Corso teorico-pratico multidisciplinare. Condivisione del miglior percorso per la cura integrata della neoplasia della mammella).

05 settembre 2013