da: 27esimaora.corriere.it (24/10/2014)
Ripartite dall’utopia. Livia Turco te lo dice subito. L’utopia di un tempo a misura di donna, a misura di persona. Perché oggi tutti corriamo troppo, per inseguire gli orari del lavoro, gli orari dei servizi, gli orari sempre più lunghi imposti dalle nuove tecnologie (quanto lavoro sbrighiamo di notte sottraendo ore al doveroso riposo?) e siamo vicini alla “rottura” dell’equilibrio voluto – per fortuna – dalla natura.
Il tempo, un giusto tempo. “Era la base della legge 53 (quella legge nata nel 2000 per promuovere la conciliazione, per intenderci) oggi va riportato al centro dell’attenzione”, dice spiegando il filo conduttore di Prendere tempo Tempi di vita e tempi di lavoro in Italia ed in Europa intorno al quale la Fondazione Iotti, di cui l’ex ministra è presidente, e la Lega delle cooperative hanno riunito oggi a Bologna giuristi e politici locali per ragionare su come la conciliazione non sia solo un bisogno femminile ma una necessità di rimettere in gioco l’organizzazione delle città e del lavoro per rispristinare la normalità del vivere. Un convegno che, mettendo insieme il welfare aziendale, le reti integrate di servizi, le nuove tecnologie e le leggi, cerca anche di ristabilire un paradigma concettuale del tempo. O meglio di come “prendersi il tempo”.
Il quadro di una conciliazione “non realizzata” è fotografato Linda Laura Sabbadini, direttrice Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali Istat: La quantità di ore lavorate, gli orari disagiati, la rigidità dell’orario di lavoro sono i principali ostacoli alla conciliazione, rileva. C’è un clima sociale sfavorevole alle maternità e alle paternità. È sfavorevole l’organizzazione dei tempi delle città, la rigida divisione dei ruoli, e l’altrettanto rigida organizzazione del lavoro. Non solo i servizi che mancano, le coppie non posso più contare neppure sulle nonne: sempre più sovraccariche, non sono in condizione di garantire lo stesso aiuto in termini di ore del passato”.
“Siamo di fronte a due fenomeni distinti e con conseguenze non univoche” dice la sociologa Chiara Saraceno che punta i riflettori sulla società permanentemente attiva. “Da un lato il lavoro remunerato sembra riempire tutto lo spazio delle attività riconosciute come tali, a scapito del tempo (anche se non della necessità) del lavoro non remunerato, delle relazioni, del tempo per sé. Dall’altro lato, la possibilità (e il desiderio) di essere permanentemente connessi annulla le distinzioni spazio/temporali: tra casa e lavoro, tra lavoro remunerato e non remunerato, lavoro e tempo libero, ma anche tra qui e là”.
07 ottobre 2014