Sostenibilità e Sanità. Intervista a Grazia Labate: “Non bastano risparmi e lotta agli sprechi. Per evitare il naufragio occorre governare la spesa privata dei cittadini con i fondi integrativi”

In attesa che la crescita economica possa far tornare a salire gli investimenti occorre lavorare su due piani: rimuovendo i nodi strutturali e ottimizzando il sistema. Ma anche facendoci carico del cambiamento dei bisogni di salute, delle innovazioni, delle polipatologie, dell’invecchiamento. Il sistema preme con una domanda nuova e in questo senso è assurdo che non s’intervenga sulla spesa out of pocket che è arrivata a 33,3 mld. Occorre governarla 


“Oltre ad ottimizzare il sistema dobbiamo fare i conti con le novità e il cambiamento dei bisogni di salute, le innovazioni, le polipatologie, l’invecchiamento. Non vale e non basta solo la logica della lotta agli sprechi e non basta il recupero di efficienza. Il sistema preme con una domanda nuova e in questo senso è assurdo che non s’intervenga sulla spesa out of pocket che è arrivata a 33,3 mld. Occorre governarla”. È quanto sostiene l’ex sottosegretario alla Salute e ricercatrice in economia sanitaria, Grazia Labate che in questa lunga intervista entra nel vivo nel tema sostenibilità economica e sanità pubblica. 
 
Un nodo che il nostro Ssn non riesce a sciogliere. Labate commenta anche la recente indagine sulla sostenibilità della commissione Igiene e Sanità del Senato e sottolinea: “Il punto non è che il sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia, ma che il sistema è sostenibile per quanto ci è dato ed è possibile, se riusciamo a riconfigurarlo secondo un processo condiviso di responsabilità e partecipazione individuale e collettiva”. E in questo senso la ricetta dell’ex sottosegretario è quella di puntare sui fondi integrativi. “Qualcuno si chiede come mai nella contrattazione sindacale il primo benefit richiesto è la tutela della salute? Urge un timoniere o la nave andrà a bagno nella nostra incosapevolezza”. E ai detrattori ribadisce: “Non esiste sistema dove l’integrativo abbia scalzato il pubblico”.  
 
Dottoressa Labate, è in atto un ampio dibattito sulla sostenibilità della sanità italiana con seri rischi per la sopravvivenza del Ssn. Che idea si è fatta?
È evidente che il Ssn esiste ma il punto sono le differenze al suo interno a partire da quelle regionali soprattutto tra Centronord e Centrosud. Una dualità che produce disuguaglianze cui ancora non siamo riusciti a dare risposte, anzi il tutto si è aggravato con la crisi economica a partire dal 2007. Di questo dobbiamo prenderne atto e dobbiamo sempre ricordarci che siamo il Paese europeo con il più alto debito pubblico, con il più basso tasso di crescita, da ormai vent’anni, con un sistema fiscale che è un colabrodo dal punto di vista dell’evasione. Certo ci sono stati i tagli e tutto è più difficile ma in questo periodo di crisi tutti i paesi hanno adottato misure di rigore e soprattutto hanno cambiato l’approccio verso una nuova gestione della spesa pubblica per i sistemi di protezione sociale. E questo si è verificato ovunque sia per i sistemi sanitari misti che per quelli universali. Perciò non mi affascinano i ragionamenti auto compiacenti, che partono dalla stessa liturgia: noi spendiamo meno degli altri paesi europei, il nostro sistema è eccellente e così via. Spendiamo quel che le condizioni generali ci consentono di spendere, spendiamo male, l’eccellenza vi è solo in alcune parti del paese, il diritto alla salute è razionato, con la tassazione regionale e comunale che si è inasprita, paghiamo due volte soprattutto nelle regioni in piano di rientro, in cui non riceviamo servizi adeguati.
 
In Italia abbiamo avuto il Patto per la Salute che però ad un anno dalla firma stenta a decollare. 
Ci avevo creduto nel Patto per la Salute. Detto ciò, però, la maggior parte degli atti sono in ritardo e, soprattutto, la questione delle risorse umane sta pesando molto. Non abbiamo i nuovi Lea, la revisione del sistema di compartecipazione, un efficace sistema di controllo e non c’è ancora la riorganizzazione territoriale adeguata a mettere al centro il cittadino il suo percorso di cura personalizzato. Ecco, sento un po’ sviliti gli strumenti che dovevano dare forza al Patto. Se guardo a questo e getto uno sguardo sui nuovi tagli ovviamente mi preoccupo ancora di più. Il sistema può implodere. La nostra sanità ha dei nodi strutturali irrisolti. Non esiste una programmazione seria delle risorse economiche, umane e delle tecnologie, una politica di investimenti anche a lungo termine. E poi c’è un’elevata inefficienza organizzativa. Margini ci sono, lo ha detto anche il Ministro Lorenzin che si possono recuperare 10 miliardi. Il punto è che a un anno dal Patto non vediamo risparmi reinvestiti ma tagli, dentro una differenziazione territoriale non più tollerabile.
 
Tornando al tema della sostenibilità recentemente è stata pubblicata l’indagine del commissione Igiene e Sanità del Senato, che è seguita a quella dell’Affari sociali alla Camera. Che ne pensa? 
Ho letto le indagini delle due Camere e dico che di per sé è un lavoro prezioso. Ma alla base di tutto c’è un equivoco.  La sostenibilità economica è data dalla capacita del sistema paese di produrre e redistribuire  le risorse. Mentre la sostenibilità finanziaria del SSN è altra cosa e impatta con dati macroeconomici non positivi per il nostro Paese come le dicevo prima. Ebbene, noto però che intorno a quest’equivoco si annidano anche differenze culturali. Mi ha fatto sorridere poi che nell’indagine del Senato si facesse riferimento alle parole di Roy Romanow del 2002 a proposito delle conclusioni della Commission on the Future of Health Care in Canada: “Il sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia”.
 
Perché la fa sorridere?
Perché non si tratta di un problema economico (quante risorse sono necessarie), ma si tratta di definire i principi che consentono di specificare i termini della sostenibilità di un sistema sanitario. Un sistema deve essere sostenibile per cosa? Quali tipo di servizi e prestazioni devono essere incluse? Cosa concorre alla sostenibilità del sistema sanitario? Troppo spesso la salute e la spesa per salute sono state considerate solo un tema di sanità, dimenticando gli impatti sul sistema economico e produttivo del Paese. La sostenibilità del sistema sanitario è prima di tutto un problema culturale e politico. La verità è che definiti i principi, il sistema sanitario canadese ha ricevuto da allora il 50% in più delle risorse economiche, ma i molti miliardi di dollari supplementari hanno prodotto molto poco per migliorare i risultati sanitari. 
 
Cioè ci sta dicendo che con il 50% di risorse in più la sanità canadese non è migliorata?
Come riportato dall'OCSE, il Canada è al 7° posto per il costo del sistema, in termini di spesa sanitaria totale pro capite, significativamente al di sopra della media OCSE.  Ma il Canada è ben al di sotto della media in termini di risorse disponibili pro capite, come medici, letti ospedalieri, assistenza sanitaria di base, scanner CT, unità di risonanza magnetica. Nella  classifica dei risultati sanitari il Canada va dal 5° al 25° posto per indicatori chiave. Ad esempio, il Canada si classifica 13° nella speranza di vita e 18° per la mortalità per neoplasie (che includono il cancro e tumori benigni). Nel 2014, i canadesi, in media, sono di fronte a quattro mesi e mezzo di attesa per il trattamento medicalmente necessario previsto da un medico di medicina generale. Questo tempo di attesa è quasi il doppio del tempo come lo era nel 2002.
Una recente ricerca del Commonwealth Fund  dimostra costantemente che il Canada ha più tempi di attesa di un certo numero di altri paesi con l'assistenza sanitaria universale. Ad esempio, nel 2012, il 41% dei pazienti canadesi ha aspettato da due o più mesi per una visita specialistica rispetto a solo il cinque per cento in Svizzera. Inoltre, il 25 per cento dei canadesi ha aspettato per quattro mesi o più per la chirurgia elettiva rispetto ad appena il cinque per cento nei Paesi Bassi. Vi sono anche le analisi dell’OCSE che mostrano che alcune nazioni, Belgio, Francia, Germania, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svizzera hanno tempi di attesa ragionevoli dettati da linee guida sicure per il paziente.
Lunghi tempi di attesa in Canada sono stati osservati anche per tecnologie di base di diagnostica per immagini, che sono cruciali per determinare la gravità della condizione del paziente. Nel 2013, il tempo medio di attesa per una risonanza magnetica è stato più di 3 mesi, mentre i canadesi che necessitano di una TAC aspettato per quasi 2 mesi. Questi tempi di attesa non sono semplicemente “piccoli inconvenienti”.
 
Cioè?
Per i pazienti l'esperienza del dolore fisico e la sofferenza, l'angoscia mentale, la perdita di produttività economica in attesa del trattamento, diventano anche un aggravio economico costante. Una recente stima (2013) ha rilevato che il valore del tempo perso a causa dei tempi di attesa in Canada è pari a circa 1200 dollari per paziente. Dati recenti della Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo indicano che la quantità di spesa privata per la salute è maggiore in Canada che in paesi simili, come il Regno Unito, Belgio e Nuova Zelanda. La spesa privata per la salute in Canada ha raggiunto 58,6 miliardi dollari nel 2012, cioè oltre il 30% della spesa totale. 
La recente Conference Board, sullo sviluppo sostenibile di salute e sanità, tenutasi nell’ottobre 2014 a Toronto   ha messo a fuoco una realtà di crisi esistente nel sistema sanitario canadese, ed ha affrontato alcune "verità scomode". Il sistema sanitario deve essere trasformato. Il vertice con a capo il ministro della Salute Fred Horne, alcuni dei pensatori più importanti in Canada per la salute della popolazione e la riforma sanitaria hanno affermato: “L'assistenza sanitaria rimane una priorità assoluta per i canadesi, dopo decenni di dibattito, aumenti significativi dei finanziamenti pubblici e tentativi intermittenti di riforma da parte delle giurisdizioni in tutto il paese, occorre imprimere una svolta. Il dibattito sul sistema sanitario ed il suo finanziamento deve affrontare come facciamo un nuovo compromesso nella società e con i cittadini. I costi sanitari sono in aumento del 50 per cento nei bilanci provinciali, i fattori sociali ed economici e i conseguenti comportamenti individuali sono i driver primari. In quanto tale, un dollaro investito nel miglioramento dei fattori economici e sociali che incidono sulla salute della popolazione ha più impatto di un dollaro investito nel nostro sistema sanitario, in particolare quando il sistema rimane focalizzato sull'aspetto delle cure per acuti e le terapie intensive di assistenza sanitaria .
Il sistema per essere "duraturo" non può continuare a fare quello che sta facendo, con maggiori risorse, perché ciò  che esiste non porterà alla sua sostenibilità ma solo ad una moltiplicazione dei costi. L'ideologia, ed il peso degli interessi acquisiti, impedisce una reale trasformazione. Dobbiamo scindere la nostra identità e i valori di riferimento, dal dialogo intorno al reale funzionamento dei servizi di assistenza sanitaria, se vogliamo realizzare un vero cambiamento”.
 
Quindi anche chi ha investito parecchio si pone il problema di trasformare il proprio sistema e ne mette in discussione il funzionamento.
La  trasformazione necessaria nell'erogazione di servizi di assistenza sanitaria e la creazione di una maggiore innovazione e flessibilità del nostro sistema sanitario non deve essere vista come un attacco ai nostri valori. Le risorse pubbliche possono, tuttavia, essere convogliate attraverso meccanismi di erogazione pubbliche o privata (a scopo di lucro e senza fini di lucro) per raggiungere gli obiettivi di assistenza sanitaria della società. La responsabilità pubblica non può essere scissa dalla responsabilità individuale del cittadino sulla propria salute.
Questa riflessione, condivisa, significa che il funzionamento del sistema sanitario non è configurato o azionato in modo da raggiungere la massima efficacia e l'efficienza. Stiamo lottando per offrire moderna assistenza sanitaria nei limiti di più sistemi obsoleti: infrastrutture fisiche, modelli di erogazione dei servizi, incentivi al fornitore, contratti di lavoro, il flusso di informazioni, per citarne solo alcuni. 
Il "sistema", come si è sviluppato negli anni precedenti, è stato progettato per proteggere i cittadini finanziariamente quando sono colpiti da eventi sanitari catastrofici, dove si verifica la maggior parte del costo del trattamento a causa di interventi medici acuti che si svolgono in ospedale. E in questo senso il sistema sanitario ha fatto abbastanza bene nel fornire i risultati desiderati per i primi decenni. Ma gran parte della cure oggi disponibili, che una volta hanno avuto luogo solo negli ospedali può essere consegnato nella comunità e anche in casa. Tuttavia, l'attuale sistema è mal equipaggiato per supportare in modo efficace questa nuova concezione delle cure sanitarie.
Il Sistema Sanitario ha bisogno di questa grande trasformazione e i pazienti dovrebbero avere il potere e la fiducia per guidare questa Change.
“L'assistenza sanitaria dovrebbe mettere meno enfasi sul conteggio del numero degli interventi effettuati e molta attenzione se questi interventi fanno la differenza nella vita dei pazienti. Migliorare la qualità dei servizi di assistenza sanitaria in rapporto al valore crescente dei costi richiede una trasformazione fondamentale,  nelle pratiche di lavoro degli operatori sanitari e degli amministratori, nonché delle politiche di incentivi che si mettono in campo. Questo cambiamento nella pratica dovrebbe essere sostenuto dalla misurazione dei risultati e dalla creazione di quadri di responsabilità che legano questi risultati a obiettivi di performance. 
Gli ospedali non sono come i negozi di riparazione auto, con personale meccanico: i pezzi di ricambio non sono sempre disponibili o non sempre è possibile averli, e i problemi causati da patologie complesse e interconnesse, non possono sempre essere sempre riparati. Inoltre, gli individui e le loro famiglie devono riconoscere che vivere più a lungo comporta un’assunzione di responsabilità individuale con i propri cari,  perché tutto non potrà essere fornito dall’assistenza sanitaria pubblica”.
 
Ovvero?
Il punto non è che il sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia, ma che il sistema è sostenibile per quanto ci è dato ed è possibile, se riusciamo a riconfigurarlo secondo un processo condiviso di responsabilità e partecipazione individuale e collettiva. Non vorrei che il tema della sostenibilità si riducesse al solo tema etico e culturale o al quanto vogliamo che sia. Nel nostro paese la sanità a base universalistica è legata a stretto giro con crescita e fiscalità ed  il Ssn dovrebbe garantire a tutti la stessa opportunità d’accesso. Ma il sistema fiscale la cui pressione non è più agibile al rialzo e basandosi su prelievo irpef in maggioranza, quindi su lavoro dipendente e pensionati, con un forte tasso di evasione ed elusione, rende iniqua nei fatti l’agibilità del sistema negando proprio a chi ne avrebbe bisogno la gratuità e l’accessibilità.
 
Insomma, riforme al palo e finanziamenti che sono scarsi. Dove arriveremo?
Il Ssn come le dicevo ancora resiste ed esiste, ma ci sono dei nodi strutturali che vanno risolti pena l’accumulo di iniquità e di irrazionalità del sistema: penso al sistema dei ticket dove c’è bisogno urgentemente di una riforma, alle garanzie per uniformità dei trattamenti sanitari, compresi quelli farmacologici e non solo alla triste vicenda legata alla cura dell’epatite C, ma penso al variegato modo di usare i farmaci antitumorali, non solo a quelli di ultima generazione ma agli anticorpi monoclonali per cui è possibile che nella stessa città un ospedale li adoperi ed un altro no per questione di budget.
Del resto faccio una riflessione su quello che accade in altri paesi Ue: in Svezia per esempio si fanno pagare 18 euro ogni volta che si entra in ospedale e noi invece carichiamo tutto su ticket farmaceutici e analisi specialistiche, ed abbiamo un regime unico in tutta Europa, l’intramoenia allargata, che genera iniquità del sistema. Vogliamo parlare poi per esempio dei cesarei e del parto indolore. Il problema è rivedere i costi dei Drg. È evidente che se la tariffa del cesareo è più elevata il sistema per mettere in equilibrio i conti continuerà a fare più cesarei. Per non parlare poi delle iniquità per esempio sull’epatite C dove siamo arrivati al razionamento dei malati. Bisogna dire basta a questo sistema anarchico e renderci conto che la conferenza Stato-Regioni non può solo essere camera di compensazione sulle risorse se non  riesce ad essere un elemento di verifica, dell’attuazione e del controllo del sistema. Abbiamo linee d’indirizzo magnifiche ma senza verifiche e controlli, perché poi non si riesce a tirare le fila sul chi fa o non fa, chi merita e chi no e tutto finisce in formali accettazioni o in virtù della conclamata autonomia, a linee di accomodamento, che di fatto ci hanno portato a 21 sistemi regionali salute, ad essere curati con appropriatezza a seconda di dove si risiede, ed oltre a pagare le tasse a spendere circa 33,3 miliardi di tasca propria per accedere con efficienza e tempestività al sistema di cure.
 
Cosa fare allora?
In attesa che la crescita economica possa far tornare a salire gli investimenti che ci servono occorre lavorare su due piani: da un lato rimuovendo i nodi strutturali. Ma questo non basta, perché sì, c’è margine di recupero, però non mi schiero con chi dice che fatta questa operazione il sistema può andare avanti. Per cui oltre ad ottimizzare il sistema dobbiamo fare i conti con le novità e il cambiamento dei bisogni di salute, le innovazioni, le polipatologie, l’invecchiamento. Non vale e non basta solo la logica della lotta agli sprechi e non basta il recupero di efficienza. Il sistema preme con una domanda nuova e in questo senso è assurdo che non s’intervenga sulla spesa out of pocket che è arrivata a 33,3 mld. Secondo i dati CENSIS. Occorre governarla.
 
Ma la sanità integrativa stenta a decollare e manca di regole
Vorrei avere una discussione pubblica e franca sul tema. Il Sistema sanitario nazionale costa 111 mld e ci sono spese private per altri 33,3 mld, di cui solo il 13,4% è intermediato da forme collettive di copertura del rischio. Il sistema quindi già si regge sulla spesa privata. Ecco credo che abbia senso parlare di governance anche di queste fonti economiche. È un delitto non affrontare questa partita. Farlo significa darci tempo per la riorganizzazione dei servizi, e non stressare il processo riorganizzativo con la pressione continua della domanda inevasa, i lunghi tempi di attesa e al tempo stesso evitare che si generi una altra forma di iniquità incontrollata, cui però lo stato riconosce una meritorietà attraverso la deducibilità di 3615.20 euro per i contributi versati a fondi, casse e mutue, ponendo una serie di obblighi regolatori cui da oltre 15 anni non si dà attuazione.
 
I detrattori vedono nella sanità integrativa lo spettro del sistema privato assicurativo…
È una sciocchezza. E non esiste sistema dove l’integrativo abbia scalzato il pubblico. In Francia, la patria dell’assicurazione complementare che convive da molti decenni con l’assicurazione obbligatoria, ci si è resi conto che l’assicurazione obbligatoria non bastava più e addirittura si è potenziato il sistema integrativo obbligando tutti ad avere le polizze complementari. Ecco, se sistemi più strutturati le potenziano noi ci siamo fermati dopo due decreti (Turco e Sacconi). Ma a parte ciò vedo che qualcosa si sta muovendo. Per esempio a fine 2014 l’Asl di Cuneo, CN1, ha stipulato convenzioni in forma diretta con due fondi: Unisalute (che gestisce anche l’assistenza, tra gli altri, per il Fondo Est e Sanarti, con almeno 50 mila iscritti in provincia di Cuneo) e Faschim, fondo specifico per i lavoratori dell’area chimica. Ed è diventata quindi una realtà, presso la più grande azienda sanitaria cuneese, l’attivazione, dal 1 gennaio, di un canale di attività extraistituzionale dedicato, nel quale convogliare le richieste per prestazioni professionali coperte, interamente o parzialmente, da un fondo sanitario integrativo.Molti altri esempi si potrebbero citare dall’istituto tumori di Milano al Policlinico universitario di Verona al policlinico Gemelli di Roma, ecc. Inoltre nel 2014 sono entrati in vigore alcuni nuovi fondi integrativi derivanti dalla contrattazione aziendale e nuove mutue territoriali: Sanarti, Metasalute, Sanifonds, Saninveneto, Sanapi, Fasda, cui  si sono aggiunte Mutua ligure, Sms Torino, Fondo Trentino Alto Adige.
 
E se si proseguirà senza interventi? Anche questa partita rischia di sfuggirci di mano e di dar vita all’ennesimo episodio di frammentazione del sistema?
Il rischio è alto e proprio per questo nel 2006 avevamo deciso di lavorarci, anche perché ci eravamo resi conto delle iniquità esistenti. Ma tutta l’attività regolatoria, di vigilanza e controllo è rimasta nei cassetti, anche se l’ordinamento giuridico che governa questa materia lo impone. Mentre l’adesione ai fondi aumenta in costanza della crisi, e chi è assistito da essi ha potuto meglio reggere l’impatto dei maggiori costi da tickets e i lunghi tempi d’attesa. Qualcuno si chiede come mai nella contrattazione sindacale il primo benefit richiesto è la tutela della salute? Urge un timoniere o la nave andrà a bagno nella nostra incosapevolezza. L’equilibrio può essere raggiunto governando domanda e offerta di salute e chiamando alla responsabilità collettiva non solo una spesa che fino ad oggi è sostenuta singolarmente dai cittadini ma anche quegli oltre 300 fondi sanitari integrativi, le varie forme di mutualità, a fare la propria parte per raggiungere obiettivi salute comuni per tutta la popolazione. Senza un welfare integrato non si governa una domanda di salute sempre più complessa e così permeata da responsabilità individuale e collettiva, cui le sole risorse pubbliche impiegate in una vasta opera di reingegnerizzazione del sistema, da sole non riescono a far fronte contemporaneamente a variabili così complesse come l’allungamento della vita, le fragilità croniche conseguenti, la costosità delle innovazioni scientifiche e tecnologiche. La protezione dal rischio malattia nel 21° secolo ha bisogno di maggiore integrazione e sinergia tra le diverse forme di copertura attualmente esistenti, altrimenti il declino o la consunzione andranno avanti nei fatti.
 
Luciano Fassari

Da Quotidiano Sanità del 22 giugno 2015

22 giugno 2015