La carta delle Donne letta da occhi e cuore maschili di Achille Occhetto

Ho riletto con grande interesse la Carta delle donne È   un documento bellissimo e attuale. In questa definizione segnalo un merito e  un demerito. 

Il merito consiste nella sua profondità e che lo si legge ancora con grande interesse.

Il demerito, che non è del documento bensì della situazione, è di essere ancora attuale, perché molte di quelle intuizioni e proposte non si sono avverate.

Certo, sono stati fatti molti passi avanti, che non richiamo. Ma quanto ancora da realizzare !


Le due parole chiave sono emancipazione e liberazione.

Sul terreno dell'emancipazione ci sono stati indubbi progressi, anche se non sono stati realizzati alcuni capisaldi. Come quello dell'obiettivo della convivenza e cooperazione.

In realtà  abbiamo vissuto gli anni più selvaggi della competizione, della vittoria per la vittoria,anche con le idee degli altri, purtroppo con la partecipazione straordinaria del socialismo europeo ai modelli culturali delle società neo conservatrici .

Notevoli passi in dietro sono stati compiuti sulla centralità del lavoro, sulla flessibilità dell'età pensionabile, per non parlare dell'esigenza di nuove regole del mercato del lavoro e di nuovi orari del lavoro.

L'intuizione più importante della Carta è quella che riguarda i tempi, perché rappresenta lo snodo, il punto di passaggio dall'emancipazione alla liberazione, alla valorizzazione della diversità; che è la chiave di volta del superamento del vecchio emancipazionismo.

Sul tema della  liberazione i passi in dietro  sono stati. catastrofici.

In modo particolare su due punti decisivi della Carta: la visione del potere e la funzione dell'intellettualità femminile.

Per ciò che riguarda ilPotere,  a mio avviso sarebbe decisivo passare dalla funzione di comando -  in cui si innervano il liderismo, l'idolatria dei capi carismatici - alla funzione di servizio.

Per realizzare tale obiettivo sarebbe decisiva la forza delle donne per costruire la società umana, come è scritto nella Carta.

Purtroppo molte donne sono state inserite nel processo di disumanizzazione in corso, si sono fatte ferventi sostenitrici del successo, dei muscoli della politica, dell'idolatria del capo e del potere.

Io continuo a credere che l'assunzione del potere come servizio si fondi sulla più grande speranza di cui dispone: quella della liberazione della donna.

Ciò corrisponderebbe all'ipotesi, come ho già avuto modo di affermare, due anni prima del diciottesimo congresso,in un mio intervento a una conferenza femminile, per la verità ancora prevalentemente emancipazionista, che non bisognava perseguire l'ipotesi

della equiparazione della donna in un mondo maschile che si è costruito sul presupposto della sua subordinazione; né quella di fare della diversità femminile un orpello del vecchio potere maschile, ma una leva per il mutamento di quel mondo e dei suoi presupposti materiali, sociali e culturali.

Se abbiamo avuto un merito come partito, come donne e uomini, è che solo con il diciottesimo congresso non ci siamo limitati a porre la questione femminile a latere della linea generale o come utile avvicinamento alle masse, ma l'abbiamo innervata in modo organico nel contesto delle innovazioni generali del " nuovo Pci", che riguardavano la questione ambientale, il limite della politica, la ridefinizione del modello di sviluppo e la ridefinizione del rapporto tra pubblico e privato. Il merito è stato quello di essere stato il primo partito che ha posto in modo organico il tema della diversità nel contesto di una visione volta a por fine non solo allo sfruttamento ma anche al dominio dell'uomo sulla natura.

Tutti temi che andavano oltre la sinistra tradizionale del  '900.                                   

Alla luce di questo significato programmatico più generale, abbiamo intravisto la liberazione della donna come la base essenziale di una diversa percezione del potere.

Invece, nella rivoluzione conservatrice prodotta dalle ricette neoliberiste , abbiamo assistito al risorgere di un  limitato emancipazionismo, volto a inserire la donna dentro i meccanismi del vecchio  potere.

In questo modo, una parte delle classi dirigenti, ha accolto, per quanto parzialmente, il tema delle quote in modo distorto, come mera cooptazione in un universo ostile all'autentica liberazione della donna.

Per questo una prospettiva non meramente emancipazionista, non può accontentarsi della acquisizione di qualche posto, ma deve muovere decisamente verso la riappropriazione del proprio io,della propria vocazione al di là dell'io universale maschile, da cui nasce l'attuale concezione del potere.

Ecco perché Il passaggio dal dominio alla funzione di servizio richiederebbe la ridefinizione degli orari in funzione della diversità femminile

La questione dei tempi rimane pertanto un grande tema; a cui aggiungo quello della rotazione degli incarichi in un contesto di sviluppo culturale ed etico -la riforma politica e morale di cui parlava Gramsci- in cui ogni cittadino -o grande parte dei cittadini- può assumere rapidamente la caratteristica dello specialista più politico, superando la distinzione tra governati e governanti.

Ma, mentre la mera emancipazione si diffonde più facilmente sia a sinistra che a destra, l'idea di liberazione trova maggiori ostacoli tra le forze conservatrici in quanto essa richiede, per realizzarsi, un mutamento del modello di sviluppo.

E qui si pone l'altra grande questione, quella della centralità dell'intellettualità femminile e dell'esigenza di Affermarsi ai propri occhi.

Ma dirò  di più. Credo che si debba porre il tema del superamento dell'io maschile universale. Se Gege' in "Io, centomila, nessuno" di Pirandello era stanco di vedersi come lo vedeva la moglie, perché non si riconosceva in quel suo modo di considerarlo, le donne, non solo la singola donna, ma le donne tutte,                     non si riconoscono più nel modo in cui sono viste dall'uomo: anche se, per secoli, hanno interiorizzato quel modo di vederle, lo hanno rappresentato in una molteplicità di io.

La persona femminile si è presentata etimologicamente come maschera. Ora si pone a livello di genere un principio individuationis, cheimplica la volontà di recuperare non solo una propria immagine, una identità, ma un proprio io, stanche di vederlo riflesso nelle molteplici immagini degli occhi altrui.

Pertanto una prospettiva non meramente emancipazionista, gratificata delle false libertà delle società neoliberiste, non può accontentarsi della riappropriazione del proprio corpo ma deve muovere decisamente verso la riappropriazione del proprio io.

Fino ad ora l'io universale è stato l'io maschile. Ora però non si tratta di far convivere accanto all'io maschile un diverso e particolare io femminile, una sorta di diversità tollerata, apprezzata per le sue irraggiungibili qualità, ma subalterna all'io universale, bensì un io che rimette in discussione l'universalità maschile, fa affiorare

un nuovo statuto dell'io stesso.

Ciò corrisponderebbe all'ipotesi non della equiparazione della donna in un mondo maschile che si è costruito sul presupposto della sua subordinazione, ma al valore universale della diversità, che consiste nel fare della diversità non una fiorita dependanceaccanto al castello del signore, ma una leva per il mutamento di quel mondo e dei suoi presupposti materiali, uscendo da ogni forma di soggettività assoggettata al fine di ritrovarsi in un nuovo io liberato da antiche prigioni.

Naturalmente tale sforzo richiede il superamento di antiche forme di interiorizzazione del modo di essere viste dagli altri e dei modelli da loro coltivati.

Si tratta di una via verso la liberazione del proprio io, volta a costruire una soggettività libera.

Non c'è più solo l'uomo tutto d'un pezzo in rapporto con la sua libera capacità di scelta, contemporaneamente emerge un nuovo continente spirituale, quello femminile,  alle prese con la propria liberazione.                                 

Il principio di individuazione, il ritorno all'individuo nel rapporto pubblico-privato, va perseguito con coerenza.

Superando vecchie contrapposizioni tra noi e io.

Molti oggi in polemica con il moderno leaderismo, e non pochi a sinistra, fanno un acritico appello a un, sedicente democratico, ritorno al Noi contro la pervasività dell'Io.

Ritengo che tale rinnovata contrapposizione dell'Io al Noi, e viceversa, sia del tutto culturalmente inconsapevole dei drammi del novecento: i drammi del totalitarismo, all'assoggetamento dell'io allo stato o al partito.

E che, soprattutto, non sia all'altezza dei nuovi problemi che ci stanno dinnanzi.

A mio avviso, la vera strada da percorrere dovrebbe essere quella, non solo della valorizzazione dell'io, ma di una sua rivitalizzazione e riemersione dalla atrofizzazione prodotta dalle società neoliberiste, nel contesto del libero sviluppo delle diversità e di una socialità in cui si possa, come idea limite, vivere da liberi ed eguali. Non la sussunzione o assorbimento dell'io nel noi, caldeggiata a suo tempo già dal Gentile, ma una democratica inter-soggettività, in cui si riconosca la verità interna, questa sì, della impossibilità dell'individuo isolato, per risolverla in una socialità non gerarchicamente organizzata o in una individualità misticamente fusa nello Stato etico o nel Partito.

L'io femminile può produrre questa sintesi più alta.

Che questa riflessione che avete meritatamente promossa, sia d'auspicio per andare oltre vecchie polemiche e per riprendere un cammino interrotto dalle dure vicende della storia.

 

Achille Occhetto.

26 ottobre 2015