Dopo Colonia, nulla è più come prima. Ha ragione Lucia Annunziata, ci vuole chiarezza, profondità e coraggio nell’analisi. Non possiamo consegnare ai nostri figli e figlie un mondo in cui la violenza sulle donne sia considerato strumento per combattere la nostra civiltà. Dobbiamo essere intransigenti nei confronti dei nostri uomini e fermare stupri e violenze altrimenti non saremmo autorevoli nel pretendere severità inflessibile verso tutti. La libertà femminile deve diventare il paradigma di ogni civiltà e deve orientare le politiche di governo dell’immigrazione e della convivenza.
Fino ad ora questa consapevolezza e questa scelta, nel nostro Paese, non è stata compiuta anche se le politiche attuate dal centrosinistra hanno promosso pari diritti e doveri tra italiane ed immigrate e proponevano un modello di integrazione innovativo. Ma le leggi e le politiche non sono tutto, contano prima di tutto la cultura, i messaggi culturali e simbolici, i fatti politici che si costruiscono, contano le relazioni umane.
Ed allora mi sia consentito sollevare una questione prima di tutto alle donne progressiste, di sinistra, femministe (di ogni generazione a partire dalla mia). L’Italia è ormai un paese di immigrazione e fin dall’inizio essa è stata quasi per metà composta da donne. Le donne italiane nella società son state eccellenti autrici della convivenza: le insegnanti nelle scuole, le mediche ed infermiere negli ospedali, le religiose salvando le donne sfruttate sulle strade, autorevoli studiose che hanno aiutato a costruire buone politiche, donne nei sindacati e nelle associazioni, imprenditrici. Ma la politica delle donne e le donne nella politica hanno ignorato questi processi.
Poche hanno scelto di battersi in modo esplicito per cercare di imporre nella dimensione pubblica un altro alfabeto rispetto a quello martellante e perdurante nel tempo che ha creato tanti danni al nostro Paese: siamo invasi dai clandestini. Basta guardare all’associazionismo femminile: rigorosamente organizzato su base etnica, tranne rare e belle eccezioni, da una parte le associazioni femminile italiane dall’altra quelle delle donne immigrate. Se vogliamo che la libertà femminile diventi paradigma delle politiche di governo dell’immigrazione e di integrazione dobbiamo esserci con il massimo di impegno in prima persona. Fare la fatica di andare a cercare le immigrate invisibili, quelle che hanno raggiunto i loro mariti ma sono chiuse in casa e non conoscono la lingua italiana.
Costruire una relazione con le donne di religione islamica per conoscere da vicino i loro pensieri, le loro vite, le loro differenze ed i conflitti che attraversano la loro comunità. Il fatto politico nuovo che dobbiamo costruire è una alleanza tra italiane, europee ed immigrate nella scena pubblica per imporre finalmente nell’agenda politica del nostro paese ed in quella europea il tema cruciale: “Come stiamo insieme noi e loro? Come costruiamo convivenza?”. Nella consapevolezza che dobbiamo costruire strade nuove rispetto alle esperienze del multiculturalismo e dell’assimilazionismo.
L’alternativa non è tra un Europa con gli immigrati ed un Europa con i soli europei. Avremo bisogno degli immigrati perché abbiamo smesso di fare figli e questo non sembra essere un problema per molte di noi e non è un problema per la politica. La nostra economia avrà bisogno di giovani e verranno in tanti soprattutto dall’Africa. Dunque dobbiamo avere il coraggio della verità.
Servono pene severe per chi delinque e meccanismi di espulsione più rapidi ed efficaci. Ma al nostro sentimento di insicurezza dobbiamo anche dire che la scelta vera che dobbiamo compiere è tra un Europa popolata da europei ed europei con il trattino (Italo–marocchino, italo-cinese ecc..) che non solo rispettano le nostre regole ma si innamorano dei nostri valori ed un Europa composta da tribù di popoli e culture, l’uno accanto all’altro, che non si parlano, non si conoscono, offrono le loro braccia ed il loro lavoro perché solo questo noi gli chiediamo ed in cambio utilizzano le nostre opportunità.
Quest’ultima è in gran parte l’integrazione fino ad ora realizzata. Per costruire la nostra sicurezza dobbiamo costruire l’Europa abitata da europei ed europei con il trattino che si innamorano dei nostri valori e rispettano le nostre regole. Il tema è come garantire i diritti fondamentali della persona, esigere pari doveri ed al contempo garantire uno spazio pubblico in cui i soggetti portatori di una identità culturale diversa da quella del paese ospitante possano mettere a confronto le loro rispettive posizioni in modo pacifico, e soprattutto possano trovare il consenso attorno ai limiti in cui possono esprimerle.
L’accettazione da parte di chi è portatore di una particolare cultura del nucleo fondamentale di valori del paese ospitante è la soglia al di sotto della quale non è possibile accogliere alcuna richiesta di riconoscimento a livello istituzionale, cioè pubblico, di quella cultura. Al di sopra di quella soglia il compito da assolvere da parte delle istituzioni e dei corpi intermedi è quello di discernere ciò che di una cultura è tollerabile, da ciò che è rispettabile, da ciò che è condivisibile e può, dunque, essere accolto dal nostro ordinamento.
La strada da seguire credo sia quella “dell’integrazione politica”, promuovendo il coinvolgimento attivo delle persone immigrate nella polis per sollecitarle ad assumersi delle responsabilità verso la vita della nostra comunità. Costruire insieme obiettivi comuni per migliorare la vita di tutti. Attraverso la discussione pubblica ed il reciproco confronto in cui ciascuno porta il suo patrimonio di valori ed il suo differente punto di vista. Lo sottopone al setaccio dei nostri valori irrinunciabili, per costruire nuove sintesi sui temi concreti del governo della comunità.
Per fare questo ci deve essere uno spazio pubblico in cui tutti possano dialogare tra di loro e tutti siano chiamati all’esercizio della democrazia. Le persone immigrate devono essere coinvolte nella dimensione pubblica, non essere considerate semplice forza lavoro ma, persone, con diritti e doveri e con la possibilità di esercitare la partecipazione politica. Questo è il vero terreno che costruisce insieme l’inclusione sociale e la sicurezza perché attiene all’esercizio della responsabilità.
Avanzo una proposta. Dopo essere andate tutte a Colonia a manifestare con le donne tedesche il valore della libertà femminile, sarebbe utile ed interessante che le donne Parlamentari attivassero un “tavolo di lavoro permanente” cui invitare le più importanti associazioni di donne italiane e di donne migranti. Per esercitare concretamente la convivenza. Per discutere e confrontare le politiche da scegliere per realizzarla.
Livia Turco
Pubblicato su Huffington Post il 13 gennaio 2016
18 gennaio 2016