Ho firmato con convinzione la petizione per proclamare il 10 marzo, giornata nazionale del diritto al voto delle donne. Ricordare la storia di qualcosa è uno dei modi non solo per non dimenticare la memoria di un evento, ma per farlo esistere nel contesto e nell’attualità del presente.
La storia del suffragio universale ed in particolare del voto alle donne in Italia, raramente viene raccontata a scuola e neanche all’università. Invece, forse più di altri argomenti, il lungo cammino delle donne italiane verso la cittadinanza politica, ancor meglio se contestualizzato e comparato con quanto avveniva e avviene in altre realtà europee, meriterebbe di essere raccontato ai giovani, perché riguarda questioni ancora aperte e attuali, come quella dell’affermazione piena dei diritti di cittadinanza, nonché del nodo ancora da sciogliere tra “donne e politica”.
Comprendere il persistere dell’anomalia, tutta italiana, della sottorappresentazione delle donne nei parlamenti e nelle assemblee legislative a tutti i livelli, scavare quanto ancora occorre fertilizzare il terreno della democrazia e della qualità della politica è questione sostanziale della vitalità democratica della società.
Nel raccontare e far comprendere sul piano storico le ragioni del voto tardivamente conquistato dalle donne italiane, occorre oggi affrontare il significato profondo della cittadinanza politica femminile.
Votare significa diventare cittadine, incrociare e vivere le contraddizioni della modernità e, con essa, della democrazia.
Mi chiedo allora: nelle democrazie occidentali, come la nostra, che significato e valore si dà alla cittadinanza politica femminile? Occorrono approfondimenti su diversi piani, con diverse competenze per affrontare un argomento così intricato e complesso.
Affrontare la questione della cittadinanza politica femminile non implica, infatti, solo la ricostruzione di una storia, ma anche il ripensamento continuo di un concetto e la possibilità di percorrere nuove strade per il suo pieno inveramento, alle soglie del terzo millennio.
Le donne non sembrano essere soggetti politici a pieno titolo, nemmeno nei tempi più recenti, che vedono formalmente riconosciuta la loro cittadinanza, ma non pienamente raggiunta, al punto da farla apparire ancora incompiuta.
Penso alla parità nei luoghi di lavoro, alla parità di retribuzione, al Welfare familistico che tutt’ora limita l’agibilità della cittadinanza femminile.
La tenuta della democrazia ed il suo sviluppo si scontra con la sottorappresentazione di uno dei due generi in Italia è più accentuata che altrove ed è rivelatrice dello stretto legame tra democrazia e cittadinanza.
Se democrazia significa «governo del popolo», che democrazia è quella in cui più della metà del popolo, rappresentato dal genere femminile, non riesce pienamente ad avere posto nei luoghi delle decisioni politiche, a tutti i livelli? Se cittadinanza è «la condizione giuridica di chi appartiene ad un determinato Stato ed è perciò titolare di un’ampia gamma di diritti e di doveri», quale cittadinanza per le donne è quella in cui l’affermazione dei diritti è spesso meramente formale e la quantità di doveri è maggiore? E ciò vale ancor più oggi che, con la crisi del Welfare State e dello Stato-Nazione, la tenuta del legame sociale dipende in gran parte da quel lavoro non riconosciuto, né remunerato che viene ancora addossato per la stragrande maggioranza alle donne.
L’asimmetria sostanziale tra diritti formali e sostanziali permane con forza e democrazia e cittadinanza continuano ad essere declinate al maschile e nella relazione tra i generi permane e si genera e rigenera un conflitto una sorta di difetto permanente che sta nella democrazia monca e si riproduce nella cittadinanza.
La prospettiva storica può aiutarci non solo a ricordare ma a capire come e perché nonostante i tanti progressi ottenuti con la partecipazione, le lotte la maggior presenza oggi più di ieri nei luoghi decisionali, come e perché il difetto permane e quanto pesi sulla cittadinanza.
Per questo la giornata nazionale non vuole avere caratteristiche celebrative, ma di coscienza della memoria e di bisogno di nuovi strumenti per il futuro per riparare quel difetto all’altezza dei tempi delle nuove generazioni femminili, in modo da espandere la sostanza vitale della democrazia e della cittadinanza femminile.
Se facciamo solo lo schemino temporale della conquista del diritto di voto nel mondo ci accorgiamo di quanto sia stato lungo e faticoso il percorso delle donne per ottenere quel diritto. La Costituzione indiana, adottata nel 1949, nel 1950 ha istituito il suffragio. Le donne Filippine hanno ricevuto il diritto di voto nel 1947, in Giappone nel 1945, in Cina nel 1947, e in Indonesia nel 1955. Nel continente africano quasi in tutti i paesi uomini e donne hanno generalmente ricevuto il voto, ma solo recentemente in Liberia (1957), Uganda (1958), e Nigeria (1960).
Quanta parte del mondo ancora non lo ha o lo ha parzialmente. Si pensi ad alcuni stati africani, asiatici, o della penisola arabica.In alcuni paesi, come l’Arabia Saudita, non c'è il suffragio affatto, in altri, come Kuwait, è molto limitato ed esclude completamente donne.
C’è voluto più di un secolo perché nella quasi totalità dei paesi le donne raggiungessero l’uguaglianza politica ed in alcuni stati la conquista è recente.
Nuova Zelanda
1893
Paesi Bassi
1919
Australia
1901
USA
1920
Finlandia
1906
Svezia
1921
Norvegia
1913
Portogallo
1931
Islanda
1913
Spagna
1931
Danimarca
1915
Giappone
1945
URSS
1915
Italia
1946
Canada
1917
Francia
1946
Gran Bretagna
1918
Belgio
1948
Austria
1918
Grecia
1952
Germania
1919
Svizzera
1971
Liechtestein 1984
E noi, dopo la guerra di liberazione dal nazifascismo, a cui le donne hanno dato un cospicuo contributo in partecipazione e protagonismo, con un decreto luogotenenziale abbiamo avuto il nostro suffragio universale.
Eccolo:
DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE 1° febbraio 1945. Estensione alle donne del diritto di voto
Umberto di Savoia principe di Piemonte luogotenente generale del regno, in virtù dell’autorità a Noi delegata; Visto il decreto legislativo Luogotenenziale 28 settembre 1944, n. 247, relativo alla compilazione delle liste elettorali; Visto il decreto-legge Luogotenenziale 23 giugno 1914, n. 151; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri; Su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Primo Ministro Segretario di Stato e Ministro per l’interno, di concerto con il Ministro per la grazia e giustizia; Abbiamo sanzionato e promulgato quanto segue:
Art. 1. Il diritto di voto è esteso alle donne che si trovino nelle condizioni previste dagli articoli 1 e 2 del testo unico della legge elettorale politica, approvato con R. decreto 2 settembre 1919 n. 1495.
Art. 2. È ordinata la compilazione delle liste elettorali femminili in tutti i Comuni. Per la compilazione di tali liste, che saranno tenute distinte da quelle maschili, si applicano le disposizioni del decreto legislativo Luogotenenziale 28 settembre 1944 n. 247, e le relative norme di attuazione approvate con decreto del Ministro per l’interno in data 24 ottobre 1944.
Art. 3. Oltre quanto stabilito dall’art. 2 del decreto del Ministro per l’interno in data 24 ottobre 1944, non possono essere iscritte nelle liste elettorali le donne indicate nell’art. 354 del Regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R. decreto 6 maggio 1940 n. 635.
Art. 4. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno. Ordiniamo, a chiunque spetti, di osservare il presente decreto e di farlo osservare come legge dello Stato.
Roma, addì 1° febbraio 1945
UMBERTO DI SAVOIA - BONOMI - TUPINI.
Siamo andate molto avanti da allora, ma non basta: memoria e futuro ogni anno devono fare il tagliando di agibilità piena della democrazia e della cittadinanza.
Grazia Labate
14 febbraio 2016