Ecco il testo dell'interrogazione al Ministro della Giustizia e al Ministro della Salute presentata dall’on. Delia Murer e dall’on. Roberta Agostini
Per sapere – premesso che:
In Italia il 70% dei medici e degli infermieri sono obiettori di coscienza, ma ci sono Regioni dove l’obiezione è ancora più alta. I picchi sono al centro sud, con percentuali di obiezione tra i ginecologi superiori all'80%: in Molise (93.3%), nella provincia autonoma di Bolzano (92.9%), in Basilicata (90.2%), in Sicilia (87.6%), in Puglia (86.1%), in Campania (81.8%), nel Lazio e in Abruzzo (80.7%). Per il personale non medico i valori impennano in Molise (89.9%) e in Sicilia (85.2%);
la relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per le tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78), presentata in Parlamento il 26 ottobre 2015, afferma che per la prima volta in Italia il numero annuale di interruzioni volontarie di gravidanza è inferiore a 100.000. Nel 2014, si legge nel rapporto, sono state notificate dalle regioni 97.535 IVG, con un decremento del 5.1% rispetto al dato definitivo del 2013 (102.760 casi), e un dimezzamento rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto di interruzioni volontarie di gravidanza nel nostro Paese;
questi dati vanno tenuti insieme alla quantificazione degli aborti clandestini. L’Istituto Superiore di Sanità ne ha fatto una stima inclusa tra i 12.000 e i 15.000 casi per il 2012, riscontrando una sostanziale stabilizzazione del fenomeno negli ultimi anni. Si tratta di cifre comunque sempre molto alte se si considera che tra le cause potrebbe esserci proprio la difficoltà nell'accesso ai servizi;
le donne che ricorrono più spesso all'interruzione volontaria di gravidanza hanno un'età compresa tra i 20 e i 29 anni. Inoltre, negli ultimi dieci anni, è aumentato il peso delle cittadine straniere (il 34.0% nel 2013, nel 1995 era il 7%);
praticare l’interruzione di gravidanza è diventato per le donne in Italia un percorso ad ostacoli e contro il tempo, con l’eventualità di percorrere anche 800 chilometri per trovare una struttura pubblica dove abortire. Per questo motivo l’Italia è già stata condannata da tempo dalla Corte europea dei diritti umani per la mancata piena attuazione della legge 194;
nel marzo del 2015 il Parlamento Europeo ha approvato la Risoluzione dedicata alla Parità tra donne e uomini all'interno dell'Unione europea e redatta dall'eurodeputato belga Marc Tarabella, del Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici. In particolare il testo insiste sul fatto che "le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all'aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l'accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare";
la legge 194 all’art. 19 stabilisce che chi pratica l'aborto clandestino, ovvero un'interruzione di gravidanza che non risponde alle modalità indicate negli artt. 5 e 8 della medesima legge, sia punito con la reclusione fino a tre anni, mentre per la donna che vi si sottopone prevede, sempre all'articolo 19, comma 2, una multa fino a 51 euro. Una multa simbolica, che consente alle donne sottoposte a pratiche clandestine, di recarsi in ospedale a chiedere aiuto prontamente, e magari anche denunciare chiunque avesse praticato l'aborto in clandestinità;
con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2016 del decreto legislativo n. 8 approvato lo scorso 15 gennaio dal Consiglio dei Ministri, in materia di depenalizzazioni, si prevede all’articolo 1, comma 1 che “ Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda”. Tra queste fattispecie rientra l’aborto clandestino e, quindi, alla donna che si sottopone ad una interruzione di gravidanza che non rientra negli artt. 5 e 8 della legge 194, verrà ingiunta una sanzione dai 5.000 ai 10.000 euro, così come previsto dal comma 5 dell’articolo 1 del medesimo decreto legislativo:
quali misure urgenti il Governo intenda adottare per modificare in tempi rapidi questa norma e consentire così alle donne di poter continuare a ricorrere alle cure ospedaliere in caso di complicanze e salvarsi la vita anche in seguito un aborto clandestino;
quali misure il Governo intenda adottare per promuovere campagne di sensibilizzazione e, soprattutto, rendere più accessibile l’aborto farmacologico in regime di day hospital o possibile nei consultori familiari e nei poliambulatori, poiché la RU486 viene utilizzata solo nel 10% negli ospedali, in quanto i costi di tre giorni di ricovero, previsti solo nel nostro Paese, sono altissimi.
18 marzo 2016