di Graziella Falcone
Tra le macerie e le miserie lasciate dalla dittatura e dalla guerra, non si aggirava un fantasma, ma una forte voglia di ricominciare. Ovunque si discuteva di politica, del costituito Governo di Liberazione Nazionale. Per le donne è iniziata una stagione eccezionale. Esse, oltre a combattere nella Guerra di Liberazione, si erano organizzate , nel novembre del 1943, nei Gruppi di Difesa della Donna, aperti ad ogni donna senza discriminazioni sociali o politiche.
I Gruppi sono la prima grande organizzazione femminile, la cui caratteristica fondante è l'unitarietà; organizzano scioperi contro i nazifascisti; creano una rete di assistenza solidale alle famiglie dei deportati, incarcerati e dei caduti; propagandano la Resistenza dando vita a giornali, contribuendo attivamente nella vita quotidiana nelle fabbriche, per il sabotaggio della produzione di guerra, nelle scuole, nelle campagne per boicottare la consegna di viveri all'ammasso.
I Gruppi di Difesa vengono ufficialmente riconosciuti dal Comitato di liberazione dell'Alta Italia nella primavera del 1944: "Il Comitato di liberazione per l'Alta Italia, riconoscendo nei Gruppi di difesa della donna e per l'assistenza ai combattenti della libertà un'organizzazione unitaria di massa che agisce nel quadro delle proprie direttive, ne approva l'orientamento politico e i criteri di organizzazione, apprezza i risultati sin ora ottenuti nel campo della mobilitazione delle donne per la lotta di liberazione nazionale e la riconosce come organizzazione aderente al Comitato di liberazione nazionale." Provengono dai Gruppi le donne che premono sul Governo con la richiesta - la prima è dell'ottobre 1944 - per entrare a far parte del corpo elettorale.
Esse vogliono ottenere non solo il diritto di voto attivo, ma anche quello passivo, vogliono essere eleggibili. Quando ancora l'esercito tedesco in rotta risaliva il territorio italiano, si era stabilito , con il decreto legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, che alla fine della guerra si dovesse eleggere una Assemblea Costituente a suffragio universale diretto e segreto, per scegliere la nuova forma di Stato e preparare la nuova Carta costituzionale. La vita istituzionale italiana riprende ed i partiti concordano nel dar vita ad un organismo che, anche se non elettivo, affianchi il Governo provvisorio con pareri su questioni normative di particolare rilevanza, che assumesse insomma il potere legislativo, ancora nelle mani dell'Esecutivo. Con il decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 146, si istituì così la Consulta nazionale.
Essa fu un organismo tipico dei periodi di transizione, creata al fine di ovviare alla mancanza di organi parlamentari ai quali si poteva dar vita solo dopo la riorganizzazione dello Stato. La Consulta nazionale predispose, tra l'altro, la legge elettorale per l'Assemblea Costituente. Tredici (su 430 membri) le donne designate per la Consulta , per il Pci vengono nominate Teresa Noce, Rita Montagnana, Rina Picolato, Elettra Pollastrini, Gisella Floreanini, quest'ultima era stata ministro del governo della Val d'Ossola. la prima donna in Italia a ricoprire un incarico così alto e significativo. Il secondo governo Badoglio , su proposta di De Gasperi e Togliatti, (contrari i laici, compreso Benedetto Croce) il 1 febbraio 1945 emana il decreto luogotenenziale n. 23 per l' "estensione alle donne del diritto di voto".
Si afferma, così, il solo diritto attivo, il diritto di eleggere. Alle donne non era stato riconosciuto, a partire dall'Unità d'Italia, il diritto di accesso alla vita politica a causa di una loro supposta organica emotività, generatrice solo di turbamento nella gestione degli affari di stato. Esse, pur in presenza di alcune voci che ne avevano reclamato il diritto, furono escluse dalla riforma elettorale italiana del 1882, e da quella del 1912 che introduceva il suffragio elettorale maschile. Con il decreto del 1946 cadono definitivamente le norme restrittive previste dalla legge del 1925 con la quale Mussolini aveva ammesso le donne nel solo elettorato amministrativo , legge comunque sospesa con l'abolizione , nel 1926, di tutti organismi rappresentativi locali. E' con il decreto del 10 marzo 1946 relativo alle "Norme per l'elezione dei deputati all'Assemblea Costituente", emanato in estremis , prima della indizione dei comizi elettorali, che le donne vengono incluse tra gli eleggibili.
Le donne diventano libere, nel segreto dell'urna. Il primo risultato è che alle elezioni amministrative della primavera 1946 vengono elette duemila donne nei consigli comunali. Esse, che erano sempre state sotto podestà di un maschio, padre o marito, che rischiavano il licenziamento se volevano sposarsi, che a parità di lavoro ricevevano un salario inferiore a quello degli uomini, che anche all'interno della famiglia non godevano di parità (l'uguaglianza tra moglie e marito come anche tra genitori nei confronti dei figli verrà stabilita solo con il Nuovo Codice di Famiglia del 1975) , possono scrollarsi di dosso moniti e minacce e finalmente scegliere di far rappresentare, e sperare di vedere realizzati, i loro desideri di emancipazione, i loro ideali, le loro aspettative.
L'arrivo del certificato elettorale, è una festa , entrarne in possesso è stringerli " come biglietti d´amore", racconta la giornalista Anna Garofalo. I partiti, le parrocchie, le associazioni debbono insegnare alle donne come si fa, come si esprime una preferenza, molte imparano a scrivere. Fino ad allora le donne erano rimaste escluse da ogni tipo di dibattito politico e molte candidature finiranno per rivelarsi solo di bandiera. Ma i partiti nella formazione delle liste mettono in campo ogni loro risorsa: Pci e Psi pescano tra le partigiane, i quadri di partito e del sindacato, tra le militanti perseguitate durante il fascismo o esiliate. Mentre la Dc indica esponenti dell'´Azione cattolica e donne legate ai movimenti popolari.
L'attenzione , a destra e a sinistra, è incentrata sulla creazione di un gruppo di donne di diverse generazioni, garanti di un'alleanza, senza rotture fra vecchie e giovani, e rappresentative dell'unità nazionale. Il 2 giugno del ´46 le donne , un fiume di oltre dodici milioni (12.998.131 donne e 11.949.056 uomini.) , arrivano ai seggi con il vestito buono della festa, con i bambini in braccio, con il fazzoletto sui capelli. Un'emozione che percorre donne di ogni strato sociale. "Avevo - ricorda la scrittrice Anna Banti - il cuore in gola e avevo paura di sbagliarmi fra il segno della Repubblica e quello della Monarchia. Forse solo le donne possono capirmi e gli analfabeti....quando i sentimenti neri mi opprimono penso a quel giorno e spero". Decise ed emozionate, molte con sgabelli pieghevoli infilati al braccio per timore di stancarsi nelle lunghe file dinanzi ai seggi. "E - annota Anna Garofalo - le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari".
Dei 556 deputati eletti, 21 sono donne: nove dc, nove comuniste, due socialiste e una della lista "L´Uomo qualunque". Nel Parlamento eletto nel 1948 esse saranno 41, numero che sarà raggiunto nuovamente, e leggermente superato, solo nel 1976.
Risultano elette: Adele Bei ( PCI); Bianchi Bianca (PSI), Binachini Laura (DC); Conci Elisabetta (DC), De Unterrichter Jervolino Maria (DC) , Delli Castelli Filomena (DC) , Federici Agamben Maria (DC) , Gallico Spano Nadia (PCI), Gotelli Angela (DC), Guidi Cingolani Angela Maria (DC), Iotti Nilde (PCI), Mattei Teresa (PCI), Merlin Angelina (PSI) , Minella Molinari Angiola (PCI), Nicotra Verzotto Maria (DC) , Noce Longo Teresa (PCI) ,Penna Buscemi Ottavia ( uomo qualunque), Pollastrini Elettra (PCI), Rossi Maria Maddalena (PCI), Titomanlio Vittoria (DC).
Le Costituenti erano quasi tutte laureate, molte di loro insegnanti, qualcuna giornalista-pubblicista, due sindacaliste e una casalinga; tutte piuttosto giovani e alcune giovanissime. Molte avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso personalmente e a caro prezzo le loro scelte. Due le trentine, tre torinesi, due lombarde, due liguri, una emiliana, una marchigiana , due abruzzesi, una romana, una pugliese, due siciliane, 1 sarda di adozione. Il 25 giugno 1946 sulla piazza di Motecitorio comincia a sfilare questo gruppetto, il 4% circa degli eletti al Parlamento.
La prima a varcare la soglia di Montecitorio, alle tre e mezza, è Bianca Bianchi, socialista, fiorentina professoressa di filosofia , che ha avuto 15.000 voti di preferenza e che ricorda come nel proprio cuore e nella mente si aggirasse costante la richiesta di una nuova concezione della politica. Sulle colonne di Risorgimento liberale il 26 giugno, si legge che la giovane Bianchi , dai biondi fluenti lucenti capelli, sciolti sulle spalle che "le conferivano un aspetto d'angelo , vestiva un abito color vinaccia. Vista sull'alto banco della presidenza dove salì con i più giovani colleghi a costituire l'ufficio provvisorio, ingentiliva l'austerità di quegli scanni. Era con lei (oltre all'Andreotti, al Matteotti e al Cicerone) Teresa Mattei, di venticinque anni e mesi due, più giovane di tutti nella Camera.
La foto della Camera ci presenta un volto di ragazza dai tratti marcati, capelli acconciati un po' in ondulazioni anni Quaranta, un po' ribelli, vestitino estivo, scuro, a quadretti chiari, scollo piccolo e ricamato". "Più vistose altre colleghe: le comuniste in genere erano in vesti chiare (una in colore tuorlo d'uovo); la qualunquista Della Penna in color saponetta e complicata pettinatura (un rouleau di capelli biondi attorno alla testa); in tailleur di shantung beige la Cingolani Guidi, che era la sola democristiana in chiaro; in blu e pallini rossi la Montagnana; molto elegante, in nero signorile e con bei guanti traforati la Merlin; un'altra in veste marmorizzata su fondo rosa".
Cinque delle ventuno neo-deputate - Angela Gotelli (Dc), Maria Federici (Pci), Nilde Iotti (Pci), Angelina Merlin (Psi) e Teresa Noce (Pci) - entrano a far parte della "Commissione dei 75" incaricata dall'Assemblea Costituente di formulare la proposta della Costituzione, da dibattere e approvare in aula. Qui, le donne avevano ottenuto una rappresentanza di circa il 7%, superiore rispetto alla loro consistenza numerica parlamentare ( il 4%). Tuttavia il loro lavoro ha avuto sicuramente, tanto nella Commissione che in Aula, un peso maggiore di quanto le percentuali possono indicare.
Rispetto agli uomini, esse rappresentavano non solo le istanze del partito nelle cui liste erano state elette, ma anche le "istanze femminili" che si presentavano decisamente "trasversali" e portavano ad un radicale mutamento "giuridico" della condizione femminile in Italia. Donne che conoscevano la forza e il valore dell'unità, che giocheranno di sponda dai diversi partiti. Alle donne vengono affidati temi sui quali esse avevano sicuramente più da dire rispetto agli uomini, ovvero la famiglia, la maternità e l'infanzia.
La famiglia, comunque, in quanto culla della società civile, veniva considerata dai partiti il punto di partenza per ricostruire il Paese fortemente disgregato dagli eventi degli ultimi anni e le donne avevano, rispetto ai colleghi uomini, un quadro più chiaro dei problemi delle famiglie e si adoperarono per sostenere e difendere i diritti femminili, a partire dall'uguaglianza dei coniugi. Di questo si occuparono direttamente le cinque deputate nella Commissione dei 75, al cui interno buona parte sosteneva la necessità di un sistema gerarchico all'interno della famiglia, con l'ovvia conclusione che al vertice si dovesse trovare il marito. Le Costituenti sostennero compatte le loro posizioni, tranne che per qualche sfumatura, come per esempio sull'opportunità di definire nella Costituzione 'indissolubile' il matrimonio, principio che venne poi escluso dal testo definitivo.
Non meno importanti le richieste di intervenire in modo forte, anche in nome della modernità dell'intero Paese, sul tema del lavoro per difendere e affermare i diritti delle donne, la tutela della maternità, la parità dei salari e le pari opportunità nell'accesso a tutte professioni. Anche in questo caso gli interventi delle donne furono fondamentali tanto nei lavori della Commissione dei 75 quanto, successivamente, nel dibattito plenario. Particolarmente accesa fu la discussione relativa alla Magistratura e alle regole che ne stabilivano l'accesso: era questa una carriera che bisognava limitare se non escludere alle donne, troppo emotive e sensibili per svolgere il ruolo di giudice.
Le elette all'Assemblea, pur partendo da posizioni ideologiche diverse, riuscirono a trovare soluzioni comuni grazie alla condivisione di un profondo senso di giustizia che voleva dire tutela dell'uguaglianza e solidarietà. Con il collante della necessità di ricostruire l´Italia, le elette, sebbene avversarie, non sono mai state nemiche. Esse sono state, come dice Marisa Rodano, Marta e Maria, stimolo per la riflessione, l'innovazione, e concrete , pratiche , nelle indicazioni. Non limitarono il loro contributo alle tematiche della famiglia e del lavoro, esse intervennero anche in altri dibattiti, più generali, non specificatamente legati alla condizione femminile. In particolare, la Bianchi e la Bianchini presero parte alle discussioni sulla scuola; la Iotti e la Titomanlio a quelle sulle Regioni, mentre la Guidi e la Minella si occuparono anche dell'organizzazione internazionale del lavoro e dei problemi connessi all'aumento in Italia dell'emigrazione di tipo economico. Ciascuna di esse ha una storia privata e pubblica di grande interesse che in questo sito vogliamo ricostruire. Per presentare il loro lavoro ed il loro profilo iniziamo da Teresa Noce Longo (Torino, 1900 – Bologna, 1980).
Nata nel 1900 a Torino, da famiglia operaia, costretta ad abbandonare molto presto la scuola, Teresa continua la sua istruzione da autodidatta, leggendo sempre, anche mentre svolgeva vari mestieri. Essa è tra le donne che scendono in piazza a Torino nel 1916 per protestare contro la guerra e la fame. Della sua infanzia e giovinezza assiderata Teresa Noce parla nel suo libro "Gioventù senza sole". Nel 1921 è fra le fondatrici del Pci. Moglie di Luigi Longo, espatria nel gennaio 1926 , stabilendosi prima a Mosca e poi a Parigi, da dove ella viene in Italia, clandestinamente per portare nelle fabbriche le idee e le proposte dei comunisti.
A lei che si era autodefinita povera, brutta e comunista, Togliatti dà il nome di battaglia di Estella. Quando il Segretario del Partito glielo comunica, Teresa si schernisce, arrossisce ed allora Togliatti le dice ridendo " Va bene. Così nessuno risalirà a Voi". Ma nella clandestinità e nell'esilio, la sua materia 'stellare' venne ampiamente riconosciuta dagli esiliati e dai combattenti per i quali fu prima madre e amica, che dirigente di partito. Infaticabile, madre di tre figli ( di cui falciato da una delle periodiche epidemie di malattie infantili), Teresa Noce per vent'anni non ha fatto che andare su e giù per l'Europa, avida di imparare e di dare. Partecipa, a Parigi, alla fondazione del giornale Noi donne. Inviata in Spagna, nel corso della guerra civile, cura la redazione de Il volontario della libertà, giornale degli italiani combattenti nelle Brigate internazionali.
Nel 1943 viene arrestata e, dopo alcuni mesi di carcerazione, deportata in Germania, prima nel campo di concentramento di Ravensbruck, poi a Holleischen in Cecoslovacchia, dove viene destinata a lavoro forzato in una fabbrica di munizioni fino alla liberazione del campo da parte dell'esercito sovietico. Anche di questa esperienza, delle lotte condotte all'interno di un campo di concentramento, Teresa ne farà un bel libro dal titolo "Ma domani farà giorno". Nel 1974 pubblica anche la sua autobiografia, Rivoluzionaria professionale, dove racconta, insieme alla sua storia personale, le vicende del Paese e del Partito comunista italiano dalla sua fondazione. Nella sua autobiografia, Teresa narra come avesse, fin dalla sua nomina nella Consulta, scelto di far parte della commissione lavoro e di occuparsi dei problemi sindacali.
La Consulta diede a lei - che era stata praticamente (al di là della sua attività di fenicottero) , più di diciotto anni fuori del Paese - modo di conoscere le donne e gli uomini di tutta Italia, nonché gli esponenti dei diversi partiti che avevano preso parte alla Resistenza. " Fino ad allora - scrive - oltre ai compagni comunisti, avevo conosciuto solo alcuni socialisti e qualche esponente del partito d'azione". Nel frattempo Teresa aveva accettato di occuparsi dei tessili , settore in cui le maestranze erano per il 75% costituite da donne . Donne che per lo stesso lavoro percepivano dal 20 al 40 % in meno del salario maschile, inquadrate nelle categorie inferiori, anche quando facevano lo stesso lavoro, fossero operaie o impiegate, e persino le maestre.
Teresa va a scuola dai tessili, del sindacato, il cui lavoro dopo la Liberazione doveva essere tutto riorganizzato , anche in vista del primo contratto collettivo nazionale . Al centro del contratto dei tessili c'è , ad esempio, la soluzione di problemi come la mensa: le donne ( ma anche gli uomini) non volevano più mangiare pane e salame o la minestra fredda accanto ai telai. C'era , inoltre, il problema dei bambini piccoli, ed il problema del superamento dell'Omni, organizzazione creata dal fascismo allo scopo di tutelare ed assistere le madri e la loro prole nei casi di difficoltà lavorative, economiche e sociali.
Nominata alla Consulta, dove tra gli altri sedevano giuristi come Mario Berlinguer e sindacalisti come Giuseppe Di Vittorio, Teresa Noce partecipa attivamente alla definizione di due schemi di provvedimenti , uno riguardante il reclutamento straordinario di 15mila ufficiali e agenti di ausiliari delle forze di polizia ed un altro relativo alla concessione di un sussidio temporaneo a favore dei reduci disoccupati e bisognosi. Teresa conosce bene il problema dei reduci, sia perché aveva assistito alla insoddisfazione e alla inquietudine di quelli della prima guerra mondiale, sia perché è ella stessa reduce da un campo di concentramento.
Usa in difesa e a sostegno dei reduci tutta la sua energia, presto i costituenti imparano a conoscere la sua passione, il vigore delle sue prese di posizione. Chiede che i reduci siano equiparati ai lavoratori disoccupati e che sia data loro la precedenza 'assoluta' nelle assunzioni, per far riassorbire i reduci nella vita produttiva; vuole gli si dia un aumento di derrate alimentari, di vestiario. Soprattutto vuole che non si parli di sussidio ma di provvidenze, è la loro dignità che intende salvaguardare. Teresa ha un carattere forte, franco e diretto; è suo un articolo apparso sulla stampa femminile di partito, rivolto alle donne, dal titolo "Imparare a dire no", no ai mariti, ai padri, ai padroni, sostenere con forza le proprie posizioni quando se ne sia convinte. Quando Luigi Longo, vice di Togltiatti, le comunica che il Partito ha deciso di metterla in lista, lei ribatte di poter accettare solo a condizione di una candidatura in Emilia, dove aveva fatto, da clandestina, un grosso lavoro alle Officine Reggiane. Longo obietta " ma perché, sei piemontese, lavori a Milamo". Ma lei insiste, minaccia di spiegare il perché della sua ostinazione, riconducibile al processo cui il partito nel 1932 aveva sottoposto il suo lavoro alle Reggiane, dove aveva portato gli aderenti al Pci da poche unità a diverse centinaia. Naturalmente quel perché non fu posto da nessuno.
E' così che Teresa diventa capolista in due circoscrizioni Modena-Reggio e Parma-Piacenza, venendo eletta in entrambe. Campagna elettorale faticosa, sempre in macchina, sempre a parlare. Ma la votano persino le suore. Infatti in una sezione, dove queste avevano votato, il numero delle preferenze per lei avevano superato quelli degli iscritti 'civili' nelle liste elettorali. Teresa ha poche cognizioni giuridiche, legali. Alle spalle ha, sì, il lavoro alla Consulta, ma non è sufficiente per il lavoro di Costituente, e con scrupolo si mette a studiare a fondo il regolamento della Camera, gli atti parlamentari, le leggi di prima del fascismo e anche quelle del fascismo. Nel contratto dei tessili si chiedeva la protezione della maternità, il diritto al riposo prima e dopo il parto - pagato al 75% del salario pieno, invece del 66% previsto per le altre categorie -, l'istituzione di sale per l'allattamento e di asili nido in tutte le principali fabbriche. Sono tutti temi che Teresa riporterà nel suo lavoro nel comitato dei '75.
" Se il compito principale dell'Assemblea Costituente era quello di elaborare la Costituzione repubblicana, nelle discussioni di carattere generale venivamo anche preparando una serie di leggi democratiche che sarebbero poi state discusse nelle successive legislature: sulla protezione della maternità, sull'apprendistato, sulla parità di salario, sulla pensione ai vecchi che ne erano privi, sul lavoro a domicilio ecc. Tutte queste leggi, poi approvate o no, avevano il loro fondamento essenziale negli articoli della Costituzione".
"Durante tutta la legislatura della Costituente - narra nella sua autobiografia - parlai raramente in Assemblea, poco nella Commissione dei 75, molto nella Sottocommissione dei problemi economici e sociali. Questi problemi infatti mi interessavano più degli altri e inoltre mi trovavo più a mio agio tra i sindacalisti. Anche gli avversari che incontravo in questa sottocommissione, cioè i tirapiedi più o meno palesi della classe padronale, erano quelli che ero più abituata a incontrare e a contrastare nel mio lavoro sindacale". Sebbene eletti in liste contrapposte, fortemente identitarie, i costituenti svolgono in Commissione un lavoro libero, capita spesso che la Noce sia daccordo con Fanfani e con la Federici e che discuta vivacemente con Di Vittorio, al quale era anche legata da profondo affetto. Quando Teresa prende la parola, si sente irrompere fra quegli illustri giuristi la vita quotidiana sia che si discuta del diritto di proprietà e dell'intrapresa economica, o del diritto di associazione e sull'ordinamento sindacale, o che si affronti il problema della famiglia.
La Noce ha comunque ben presente che il luogo, e ciò di cui si sta parlando attengono alla sfera del diritto, e persino parlando di reduci esige che il riconoscimento economico venga definito diritto e non sussidio. L'incipit della sua relazione alla terza Sottocommissione - "Garanzie economico sociali per l'assistenza della famiglia" è : "La costituzione democratica della Repubblica italiana non può limitarsi ad affermare dei diritti: deve indicare anche come intende garantire il godimento di questi diritti a tutti i cittadini italiani...". Uscire cioè dalla pura enunciazione e definire nella concretezza questi diritti, tanto più quando si tratta della maternità, la quale, ella dice,: " è oltre che una funzione naturale della donna, oltre una missione umana, anche una funzione sociale , perché su di essa si basa la famiglia, pernio della società, perché essa crea le le nuove generazioni, avvenire dell'Italia...Il pupo roseo e paffuto o la creaturina pallida ed anemica, non sono soltanto la croce e la delizia della loro mamma: sono i lavoratori di domani sono l'avvenire della patria...", così come le ragazze che si prostituiscono e gli sciuscià che rubacchiano non sono la vergogna della famiglia, ma la vergogna del Paese che non sa aiutare i giovani.
Dopo queste premesse Teresa Noce elenca una serie di proposte, come la concessione di prestiti a giovani sposi che ne facciano domanda, l'abolizione di tutte le proibizioni, limitazioni, ostacoli riguardanti il matrimonio, che non siano di natura sanitaria o quelli relativi al minimo di età stabilito per legge, l'approvazione di misure tendenti ad impedire che per cause di lavoro impiego, carriera, ecc. i membri della famiglia possano essere separati fra di loro. Altrettanto vigorose sono le proposte relative al riconoscimento della funzione sociale della maternità , che va sostenuta con il riposo pre e post parto regolarmente pagato, con l'apertura degli asili nido nelle grandi fabbriche, ed anche con l'istituzione di un premio di allattamento. Lo stato deve proteggere la famiglia propone la Noce , facilitandone la formazione anche con aiuti economici ed abolendo tutte le proibizioni e gli ostacoli riguardanti il matrimonio e la convivenza del nucleo famigliare. Data l'ampiezza del tema e delle sue implicazioni giuridiche, qualche costituente avanza l'ipotesi di rinviare il tutto alla Prima sottocommissione, ma Teresa insiste, stabiliamo qui alcuni principi poi vederemo i nessi con la Prima Sottocommissione.
La discussione è ad ampio spettro. Nei suoi interventi sono contemplate anche le casalinghe, con una visione che supera in parte un impianto lavoristico della sua cultura politica di provenienza ."La donna operaia, dice, ha qualche diritto, ma la donna casalinga, la massaia rurale, la contadina non hanno alcun diritto all'assistenza" e a chi obietta che per queste donne esiste il salario familiare, la Noce risponde insistendo anche in nome dei diritti dei bambini e della protezione dell'infanzia, e propone, in un lavoro in tandem con Maria Federici e Agelina Merlin che siedono con lei in terza Sottocommissione, la dizione " Lo stato italiano garantisce ad ogni donna, qualunque sia la sua situazione sociale e giuridica, la possibilità di procreare in buone condizioni igieniche e sanitarie e garantisce a tutti i bambini un minimo di protezione e di cura da parte della società a cominciare dal momento stesso in cui vengono a farne parte".
L' 8 settembre 1946 interviene con forza affinché si usi una dizione da cui appaia evidente che hanno diritto all'assistenza coloro che non hanno diritto alla previdenza. Si preoccupa della sorte delle vecchie madri di famiglia che non hanno diritto a pensione non avendo fatto un lavoro salariato. Non si tratta di assistenza sotto forma di carità pubblica , sia pure sociale, ma di qualcosa che scaturisce da un diritto. Pilastri portanti che avranno una storia nella vita parlamentare e politica di questo Paese. Soprattutto però, ad Estella si deve il concetto fissato nell'articolo 3 della Costituzione : "Tutti i cittadini...sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso", parole queste ultime grazie alle quali è posta la base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna, obiettivo principale della sua attività politica. Determinanti per la formulazione dell'art.37 della Costituzione, sono le discussioni in Terza sottocommissione che contribuiranno alla dizione "La donna lavoratrice ha gli stessi diritti , e , a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino adeguata protezione". Teresa Noce è contro la riassunzione dei Patti lateranensi in quanto patti stipulati dal fascismo, voleva che essi fossero sostituiti da nuovi patti democratici con il Vaticano.
"Il giorno in cui la Commissione dei 75 doveva approvare l'articolo 7 / sui Patti lateranensi /, andai a trovare Togliatti - raccolta - e gli dissi chiaramente che io non mi sentivo di votare a favore. Se mi fosse stato imposto di votare in questo senso per disciplina di partito, avrei abbandonato la riunione. Togliatti mi guardò ( mi conosceva bene) e mi disse con il suo sorriso sornione: "In fondo non si tratta di una questione di principio, ma solo di tattica contingente. Perciò fate quello che volete" . Chiamata a votare disse forte e chiaro 'mi astengo'.
Il 4 giugno del 1948 viene presentata, prima firmataria Teresa Noce, la proposta di legge per la tutela della maternità, che prevede i permessi di lavoro retribuiti a partire dall'accertamento della gestazione in atto, il divieto di licenziamento delle donne incinte e dei lavori usuranti, nonché la protezione dei cosiddetti figli illegittimi . Insieme con Maria Federici , Teresa Noce lavora nel 1950 alla legge di eguale salario per eguale lavoro per donne e uomini. Eletta in Parlamento, vi rimase per due legislature fino al 1958, sempre lavorando alacremente. Poi chiese di non essere ricandidata preferendo di dedicarsi alla attività internazionale del sindacato. Al nipotino preoccupato della solitudine della nonna Teresa , ultrasettantenne, ella risponde: "Solo è soltanto chi vuol esserlo, chi non comunica con gli altri, chi vive esclusivamente per sé". Lei ha troppo da fare: si interessa di tutto e di tutti, non si sente in pensione, anzi sente un certo ringiovanimento non essendo legata a precise responsabilità. " Ma se è vero che ringiovanisco, chissà che tra dieci anni non chieda ancora una volta la tessera d'iscrizione alla Gioventù comunista".
18 luglio 2016