Esce di scena Ségolène, e sembra una nota a pie’ di pagina di queste primarie francesi. Ma non lo è, anche per il pubblico non francese. Non per gli italiani, che si erano abituati al suo personaggio...Per la giornalista del Corriere la sconfitta di Royal alle primarie del Partito socialista francese sono spunto per riflessioni più generali sull’immagine della donna.
Esce di scena Ségolène, e sembra una nota a pie’ di pagina di queste primarie (S. Royal, ex compagna di Francois Hollande, candidata all’Eliseo nel 2007, arrivò quarta ottenendo solo il 7 per cento dei voti; pianse in diretta mentre concedeva la sconfitta). Ma non lo è, anche per il pubblico non francese. Non per gli italiani, che si erano abituati al suo personaggio; volutamente politico-disneyano, con quel che di veltronian-giovannamelandresco che ce la rendeva familiare.
Non per gli europei occidentali, la sua sconfitta pare un segnale di fine appeal: del crollo di consensi per i politici di centrosinistra fighetti, attenti all’immagine e con qualche convinzione pret-à-porter, da adattare al momento e ai media. Anche Hollande ci sta attento, ma si propone come uomo normale, tutt’altro che ganzo. Aubry, la donna rimasta in corsa, è un’anti Ségolène anche in questo; sta attenta a non starci attenta. E nessuno osa chiamarla «Martine», e lei parla di programmi e non di sé.
La saga di Ségo era tutta un’altra storia. Facile da liquidare, dopo il risultato di domenica. Ma utile da ricordare. Perché Royal, all’Eliseo, era andata vicina, con 17 milioni di voti. E perché durante il reality della sua campagna elettorale ha dovuto combattere contro i molti maschilismi che ostacolano le donne nella vita pubblica e sul lavoro. Anzitutto, le obiezioni su chi ha famiglia: «Chi si occuperà dei suoi quattro figli?», aveva chiesto l’avversario Laurent Fabius nei giorni delle primarie socialiste, nel 2006; non la passò liscia (nonostante le esagerate interviste di Ségo sui sensi di colpa).
Poi, la tendenza a trattare le femmine come pesi leggeri, a dispetto delle loro competenze: «Se un uomo fosse stato consigliere per sette anni del presidente Mitterrand, se fosse stato quattro volte deputato e tre volte ministro, se avesse battuto il primo ministro alle elezioni regionali come ho fatto io, qualcuno metterebbe in dubbio le sue qualifiche e la sua aspirazione a governare? No», argomentò Royal. No, in effetti.
E ancora, la convenzione secondo la quale gli uomini sono aggressivi e le donne solo isteriche: «Sì, sono arrabbiata, ma la mia è una collera sana», replicò Royal a Nicolas Sarkozy durante un dibattito televisivo. Che le andò male. Forse anche per questo, in seguito, come segretario del partito socialista e come candidata, le hanno preferito la meno narcisista e più solida Aubry.
Alla quale ultimamente era più vicina, in questa campagna per le primarie si era spostata a sinistra, si dichiarava contraria al cumulo dei mandati e favorevole all’uscita dal nucleare. Però stavolta il partito, militanti ed eletti, si è diviso tra Aubry e Hollande. Molti voti di giovani e d’opinione sono andati al suo ex portavoce Arnaud Montebourg. E Royal ha corso da sola, puntando sulla passata popolarità, ma i francesi di sinistra non erano in vena di votare per un’ex diva.
Però diva è stata, per anni, forte di una storia personale molto raccontata ma interessante. Quarta degli otto figli di un colonnello reazionario, cattolicissimo e sadico, bravissima a scuola, a 19 anni fece causa al padre. Ammessa all’Ecole National de l’Administration (Ena), lì si fidanzò con Hollande, e iniziò la sua carriera genere «Come fa a fare tutto?» (come da omonimo film): un successo politico dietro l’altro, un figlio dietro l’altro, una serena bellezza tipo statue di Marianna nei municipi francesi, conservata fino a 58 anni.
Ora è un presidente di una regione, il Poitou-Charentes, con belle campagne, castelli e città d’arte, una zona ideale per vivere con calma e metabolizzare gli ultimi decenni intensi (ci sono crepuscoli politici peggiori, a pensarci).
Maria Luisa Rodotà
11 ottobre 2011