di Flavia Piccoli Nardelli
Filomena Delli Castelli, Memena per i suoi amici, nasce nel 1916 a Monte Sant’Angelo in provincia di Pescara, il padre emigra presto in America per poter mantenere la famiglia e lei cresce con la madre e il fratello nel piccolo paesino abruzzese. Frequenta le magistrali ed è attiva fin da ragazza nell’Azione Cattolica di cui diventa segretaria regionale. Incoraggiata dal parroco del suo paese, Don Nicola De Luca, si trasferisce con la madre a Milano dove studia lettere e filosofia all’ Università Cattolica, mentre lavora come insegnante per mantenersi.
Si laurea nel 1940 con una tesi sulla mistica Caterina da Bologna e in particolare su un suo testo dal titolo “Le armi necessarie alle battaglie spirituali”. La Rerum Novarum di Leone XIII, il pensiero di Toniolo, il lavoro con la FUCI, sono centrali nella sua formazione, profondamente radicata nel cattolicesimo sociale.
Filomena Delli Castelli è una delle 21 “madri” della nostra Costituzione.
Il suo ruolo nella politica femminile della DC è di primaria importanza, e di primaria come lo è il suo lavoro in Abruzzo: a Sulmona, a Pescara, a Montesilvano e di nuovo a Monte Sant’Angelo.
Di quel periodo la Delli Castelli ricorda, in alcune interviste, la sua esperienza diretta sui territori: nell’istituto Magistrale di Sant’Angelo dove insegna e dove riesce a coinvolgere i ragazzi nella nascente sezione della DC, delle riflessioni politiche che porta in ogni piccolo paese dell’Abruzzo, dove viene accolta con grande interesse dalla gente e in particolare dalle donne.
E sono proprio le donne abruzzesi ad ascoltarla con più attenzione, per loro è importante non solo quello che la Delli Castelli dice ma la sua figura che offre un modello di donna diverso da quello che da vent’anni il fascismo aveva imposto.
Erano gli anni in cui in Italia una donna su quattro non sapeva leggere e nemmeno scrivere il proprio nome. Nel sud del Paese la percentuale delle analfabete saliva fino ad arrivare al 58% in Calabria.
Alla donna era riservato il focolare e la cura della vita domestica.
I racconti della Delli Castelli sugli anni dei comizi in Abruzzo sono entusiasmanti e delineano una personalità risoluta nella sua volontà di migliorare la condizione femminile. Molti testimoni hanno raccontato come le prime “uscite pubbliche” delle donne abruzzesi , dopo la fine della guerra, fossero state quelle per andare ad ascoltare la Delli Castelli. Ricordano come si affrettavano a esporre dal balcone il lenzuolo più bello, la coperta ricamata, il tappeto o la tovaglia scampati miracolosamente alla guerra e custoditi in casa, per renderle omaggio; gesti semplici ma significativi di un legame importante con le donne.
Questo lavoro minuto fatto sui territori è una parte molto importante della sua opera politica. Così come il suo impegno nella resistenza dove presta assistenza ai profughi e svolge attività di propaganda clandestina. Viene apprezzata presto dai dirigenti nazionali della Democrazia Cristiana e Mario Cingolani la incarica di occuparsi, a Roma, del Movimento femminile, del voto alle donne e dell’ufficio stampa del Presidente del Consiglio. Viene proposta la sua candidatura all’Assemblea Costituente e svolge un intensissima campagna elettorale in tutto l’Abruzzo.
Il 2 giugno del 1946 viene eletta alla Assemblea Costituente, con 24 mila preferenze, un numero altissimo.
Il numero delle elette non era alto: 21 su 226 candidate, la lista con il maggior numero di presenze femminili, quella del PCI, aveva 68 candidate. Vengono elette nove donne del Pc, nove della DC, due del PSI e una dell’Uomo qualunque. Per la DC sono: Maria Federici, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Maria Nicotra e Vittoria Titomanlio.
Nella costituente la Delli Castelli conferma la sua determinazione nel sostenere la causa dei diritti femminili, che come lei stessa ricorda, è stata una volontà trasversale che ha unito tutte le costituenti indipendentemente dallo schieramento politico.
Questo impegno delle prime donne elette al nostro Parlamento troverà riscontro in vari articoli: il n.3 che non solo enuncia il diritto d’uguaglianza ma ribadisce anche il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che si frappongono fra i cittadini e questo inalienabile diritto; il n. 29 per il quale il matrimonio è basato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi; il n.30 che stabilisce i diritti e i doveri dei genitori; il n.37 che stabilisce i diritti delle donne lavoratrici e il principio che il lavoro deve consentire alla donna l’adempimento della sua funzione familiare; il n. 48 in base al quale sono elettori tutti i cittadini che hanno compiuto il diciottesimo anno d’età e il n. 51 che afferma che tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
La Delli Castelli ricordando il clima di totale accordo con le altre donne in Parlamento scrive: “La pattuglia femminile della Costituente serrava i ranghi quando erano in discussione e da risolvere i problemi inerenti il lavoro, la famiglia, la scuola(…)”
Negli interventi delle costituenti è costante e puntale il riferimento alle condizioni concrete delle donne nel Paese, si evitano le discussioni più astratte e di principio e si cerca di mantenersi sempre aderenti alle reali necessità femminili, alle condizioni di vita dei bambini, degli orfani, di quanti erano tornati dalla prigionia o dai campi di concentramento. Se ne trae un quadro complessivo di grande coesione e di unità d’intenti.
Accanto a questa vi era poi la sensazione vivissima, per parte delle costituenti, di dover fare squadra contro i pregiudizi maschili. Nonostante tutto, infatti, i pregiudizi erano vivissimi, non tutti erano pronti all’ingresso delle donne in Parlamento e alle novità che intendevano portare nella Carta Costituzionale e nella vita del Paese.
Nella Commissione dei 75 a quei costituenti che opponevano dei limiti all’ingresso delle donne nei pubblici uffici rispondeva Maria Federici ricordando come l’uguaglianza fosse già stata da tempo raggiunta in altri paesi europei, e come si dovesse stabilire come elemento discriminatorio esclusivamente la preparazione ed il merito, perché motivazioni come le facoltà, le attitudini erano argomenti che offendevano la giustizia.
Alle parole della Federici si associano tutte le costituenti. Nella seduta plenaria del 22 maggio 1947, un ordine del giorno viene presentato dalle costituenti Federici, Cingolani, Noce, Jotti, Delli Castelli, Nicotra, Gotelli, Gallico Spano, Titomanlio, Mattei ,Montagnana per chiedere che fosse accettata la formulazione: “Tutti i cittadini di ambo i sessi possono accedere agli uffici pubblici in condizione di eguaglianza”. L’ordine del giorno viene approvato.
Filomena Delli Castelli viene eletta Consigliera Comunale e poi sindaco di Montesilvano dal 1951 al 1955. Un incarico che lei considera strettamente legato al ruolo di cura e quindi adatto ad una donna. Non abbandonava mai gli interessi della sua regione. Ricorda che la realtà abruzzese dopo la guerra: “si presentava come un deserto, solo povertà e arretratezza, niente”.
Viene eletta nella prima e nella seconda legislatura. Rifiuta le logiche di corrente e non viene rieletta. Nel suo lavoro in Parlamento si occupa con passione di cultura.
Nella seduta parlamentare del 22 ottobre 1952 chiede al Governo di introdurre l’insegnamento della storia dell’arte in tutte le scuole medie superiori proponendo, come docenti, gli artisti, i pittori e gli scultori locali.
Nell’intervento del 19 dicembre 1952, si proclamò favorevole all’insegnamento della cinematografia nelle scuole come valido aiuto per gli insegnanti, nella convinzione che con la tecnica cinematografica gli allievi avrebbero potuto apprendere di più e meglio. Firma, sempre a sostegno della cinematografia, il progetto di legge per istituire presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri “il Comitato nazionale per la cinematografia per i ragazzi” con il compito di studiarne i problemi e promuoverne lo sviluppo.
Ritenne la cinematografia un veicolo importante per la cultura, per la preparazione e la formazione dei giovani alla vita moderna e di confronto con i popoli del mondo, paragone che stima fondamentale allo sviluppo di una società democratica e aperta.
Continua a lavorare e a fare politica in campo culturale. Prima all’istituto Luce poi alla Rai dove si occupa della TV dei ragazzi fino al 1975. Torna a Pescara dove muore nel dicembre 2010. Il Presidente Napolitano le aveva conferito, quattro anni prima, la massima onorificenza della Repubblica, quella di Cavaliere di Gran Croce.
18 luglio 2016