Nadia Gallico Spano

di Vasco De Cet


Era mia nonna.
E' stata la mia "più giovane amica", quella con la mente più aperta. E' stata la mia maestra di vita e di politica, anche perché condiva la sua apertura mentale con un'esperienza unica ed irripetibile.
Era nata il 2 giugno 1916, nella trentaquattresima ricorrenza della morte di Garibaldi, 30 anni esatti prima del riconoscimento del diritto al voto per le Donne in Italia e della nascita della Repubblica della quale fu costituente.
Nacque in un mondo senza neanche la radio (la prima trasmissione diffusa con voce e musica è del 1919) ed è morta, nel 2006, usando il telefono cellulare e la posta elettronica, scrivendo la sua autobiografia col computer.
Era curiosa, e mi ha insegnato anche questo.
Era "un'inguaribile ottimista" come sceglie di scrivere nel sottotitolo della sua autobiografia.
Se non lo fosse stata non avrebbe amato e sposato mio nonno nel 1939, nella Tunisia soggetta al regime collaborazionista di Vichy che li perseguitava entrambi per il loro impegno antifascista. Non avrebbe con lui messo al mondo due figlie, in quegli anni anni in cui la Tunisia dov'era nata, come l'Italia ed il mondo non vedevano certo un luminoso e sereno avvenire. In un tempo in cui loro – i miei nonni – facevano parte di una minoranza ribelle e perseguitata dalla forza degli Stati, con poche certezze e poche risorse.
La miscela tra i valori ereditati dalla famiglia, l'esempio della madre – la prima Donna a laurearsi in Nord-Africa -, lo sguardo lungo e forse la gioventù le diedero, invece, la certezza di essere dalla parte giusta, quella che alla fine avrebbe prevalso, il coraggio di impegnarsi e ad un tempo di vivere la sua vita di ragazza, moglie e madre.
A me sembra che sia stata una Donna pienamente del e nel suo tempo, del tutto figlia della sua storia, ma con lo sguardo rivolto al futuro.
Dopo la Costituente fu parlamentare comunista sino al 1958. In quegli anni, tra gli altri incarichi parlamentari, ha fatto parte della commissione incaricata di esaminare la legge per la "sistemazione" della Sardegna. L'isola fu sempre al centro dei suoi interessi, tanto che vi si trasferirà facendovi nascere la sua terza figlia. Si impegnò con grande lena nel tentativo di far superare alla sua "terra adottiva" lo stato di arretratezza in cui versava. Si dedicò in particolare al miglioramento della condizione femminile, quale membro della presidenza dell'Unione Donne Sarde, convinta che l'emancipazione femminile fosse la conditio-sine-qua-non per l'emancipazione della società nel suo insieme.
L'esperienza alla Costituente, dove entrò il giorno del suo 30° compleanno, fu probabilmente significativa per questa visione. Sottolineava spesso la forte trasversalità che unì tra loro le 21 costituenti, perché esse si sentivano, più che rappresentanti delle elettrici o degli elettori comunisti, democristiani o socialisti, le rappresentanti delle Donne. Lucidamente notava, che tipicamente femminili furono "gli argomenti che paternalisticamente i Costituenti lasciarono al nostro impegno", perché "altrimenti sarebbero stati scarsamente affrontati".
Non fece parte della Commissione dei Settantacinque, ma quando l'Assemblea discusse articolo per articolo la stesura del testo definitivo della Costituzione, prese la parola, diceva "per tener fede al mandato ricevuto dalle Donne". La famiglia e l'uguaglianza dei coniugi, il diritto al lavoro e alla parità salariale, la tutela dei figli anche illegittimi (…), ma soprattutto "il concetto che la Donna non doveva più avere soltanto dei doveri ma d'ora in poi dei diritti di pari opportunità e dignità in ogni campo della vita del paese".
Riteneva che fosse stata una scelta giusta dare "rilievo alla famiglia nell'ordinamento costituzionale italiano. L'aver inserito la famiglia nella Costituzione è un elemento di progresso, tanto valido se si considera che lo Statuto Albertino, il quale non prevedeva nessun dovere dello Stato verso la famiglia, sanciva – con il suo ordinamento economico e sociale – l'inferiorità della Donna."   
Nel suo intervento alla Costituente sulla famiglia non ha mai pronunciato le parole "indissolubile", "indissolubilità".
Ricordava spesso il dibattito circa l'ammissibilità delle Donne alla Magistratura e come colleghi, peraltro anche illuminati, fossero contrari con argomentazioni che correlavano l'equilibrio nel giudizio alla ciclicità della fisiologia femminile. Ma volle ricordare e sottolineare che "è giudizio comune che i costituenti seppero separare il confronto politico, anche aspro, dal dibattito per la stesura della Costituzione che si voleva fosse approvata a grandissima maggioranza".
Infatti la Costituente superò anche questa controversia, riconoscendo la parità tra Donne e Uomini nell'accesso alle professioni ed ai pubblici uffici, senza meglio specificare la questione relativa alla Magistratura. Così, nel 1963, la legge che attuava il principio enunciato come lungimirante compromesso dai costituenti, rese possibile il primo concorso a seguito del quale 8 Donne indossarono poi la toga nel 1965.
Assieme ai più autorevoli costituenti partecipò con giovanile umiltà alla scelta del Capo provvisorio dello Stato. Raccontava con trasporto quella vicenda. I costituenti consideravano con sensibilità l'esito del voto popolare che aveva visto la Repubblica prevalere di misura ed erano molto attenti all'esigenza di preservare l'unità nazionale. Per questo - insieme - cercarono una personalità di grande rigore morale e non compromessa col regime fascista; lo vollero monarchico, per rassicurare quella parte di elettorato soccombente al referendum che era quasi la metà del Paese; lo scelsero meridionale, perché era al sud che il voto monarchico era stato prevalente. Questi criteri resero Enrico De Nicola tanto gradito ai tre grandi partiti di massa da assicurargli una maggioranza larghissima. Egli, non senza qualche riottosità di maniera, accettò per questo di essere il primo Capo dello Stato repubblicano e resse quella carica con esemplare sobrietà e misura.
Tutti i costituenti furono impegnati fondamentalmente ed a tempo pieno di fatto solo al momento della discussione e della votazione dei diversi articoli (quando non di diverse frasi o addirittura parole). Lei, in quel periodo, si occupò anche dei problemi di Roma, lavorando alla Federazione del PCI, nelle borgate, occupandosi di infanzia; organizzò i famosi "treni della felicità" di cui ha scritto con Angiola Minella e Ferdinando Terranova una cronaca commovente ("Cari bambini, vi aspettiamo con gioia", ed. Teti, 1980). Fu in prima linea nel movimento delle Donne, all'UDI (Unione Donne Italiane), alla rivista "Noi Donne" e fu protagonista della questione femminile nella società italiana, di cui pure ha lasciato una testimonianza letteraria scritta con Fiamma Camarlinghi ("La questione femminile nella politica del PCI" ed. Donne e Politica, 1973).
E' stata una combattente per la libertà e la pace. Quella del mondo, nell'adesione al Partito Comunista, nella lotta antifascista, nella clandestinità. Quella degli italiani, nella militanza di una vita, nel lavoro costituente prima e parlamentare poi. Quella delle Donne, praticata forse più che declinata. Quella dei popoli africani nel suo impegno alla Sezione Esteri del PCI. Quella dei giovani, nell'impegno che ha segnato l'ultima parte della sua vita, nelle scuole, con ragazzi e ragazze cui spiegava con commovente semplicità lo spirito, la logica facile e stringente, il senso della Costituzione, pretendendo dolcemente che loro – non senza qualche imbarazzo – le dessero del "tu".
Questo – e non solo questo - era Nadia Gallico Spano, mia nonna.

13 settembre 2016