Le leggi delle donne (che hanno cambiato l’Italia). Quali leggi e quali parole? di Stefania Cavagnoli e Francesca Dragotto

Le donne nelle leggi e le parole impiegate per rappresentarle costituiranno l’oggetto di indagine di questo contributo, concepito per tentare di dare visibilità a quella parte di contenuti del testo che, pur rimanendo sommersi perché non esplicitamente espressi, prendono non di meno forma nella mente del fruitore del testo per effetto dei meccanismi della competenza linguistica e comunicativa soggiacenti e operanti in ciascun parlante di una lingua.


La questione della lingua si mostra del resto prepotente già a partire dal titolo di questa riflessione, che recupera, nella prima parte, quello del volume miscellaneo del 2012 edito dalla Fondazione Nilde Iotti aggiungendovi però parentesi e, ancor più consapevolmente, virgolette a incastonare lo specificatore di leggi, quel “delle donne“ che in realtà include ipso facto anche gli uomini poiché le une e gli altri elementi complementari di un unicum chiamato società; un “delle donne“ la cui sparizione da futuri titoli dovrà un giorno, si spera non lontano, costituire motivo di giubilo o anzi non dovrà notarsi affatto, giacché significherebbe il venir meno della necessità di focalizzare l’attenzione su ciò che dovrebbe invece essere scontato: in quanto (macro)struttura di strutture, la società e la famiglia, unità di riferimento di una delle strutture contenute nella macrostruttura società, costituisce il risultato delle relazioni funzionali e ancor meglio se funzionanti tra tutti i membri che la costituiscono.   Forti di questa convinzione, degli strumenti e delle molteplici e non escludentisi prospettive analitiche che le scienze del linguaggio offrono a chi le pratichi, le autrici intendono proporre una lettura dei testi normativi raccolti in quel volume interessata all’enucleazione di parole e forme utilizzate da giuriste e giuristi che hanno lavorato alla definizione del dispositivo giuridico.   Una lettura che già a una prima scorsa non ha potuto fare a meno di rilevare come le fatiche delle donne (per le donne) si siano condensate in testi legislativi costruiti intorno a nuclei prima concettuali, poi semantici e quindi testuali, definibili “femminili”, o che come tali dal parlante italiano oggi vengono individuati.   Tematiche legate alla cura, alla famiglia, ai più deboli, al lavoro e ai diritti di donne e figli.   Tra tutti questi ambiti risulta di interesse ancora maggiore quello della famiglia, nel cui campo semantico, già a partire dal termine capolista, famiglia, per l’appunto, si sedimenta un complesso intreccio di dottrina giuridica, antropologica e culturale che solo grazie alla pratica della ricostruzione etimologica da una parte e dell’analisi morfologica e semantica dall’altra si può sperare di rendere evidente.   Ciò solo secondariamente per ragioni connesse alla lingua – e alla linguistica –, essendo qui più che altrove evidente, una volta ripercorsa l’analisi, che intorno alla famiglia linguistica e ai suoi membri si è consumato un abuso che in epoca moderna e soprattutto oggi è funzionale a ritagliare e cristallizzare un modello unico di riferimento per questo istituto che probabilmente mai è stato e mai sarà unico.   Stefania Cavagnoli e Francesca Dragotto Università di Roma Tor Vergata   Leggi l'articolo integrale.

08 novembre 2016