La questione della lingua si mostra del resto prepotente già a partire dal titolo di questa riflessione, che recupera, nella prima parte, quello del volume miscellaneo del 2012 edito dalla Fondazione Nilde Iotti aggiungendovi però parentesi e, ancor più consapevolmente, virgolette a incastonare lo specificatore di leggi, quel “delle donne“ che in realtà include ipso facto anche gli uomini poiché le une e gli altri elementi complementari di un unicum chiamato società; un “delle donne“ la cui sparizione da futuri titoli dovrà un giorno, si spera non lontano, costituire motivo di giubilo o anzi non dovrà notarsi affatto, giacché significherebbe il venir meno della necessità di focalizzare l’attenzione su ciò che dovrebbe invece essere scontato: in quanto (macro)struttura di strutture, la società e la famiglia, unità di riferimento di una delle strutture contenute nella macrostruttura società, costituisce il risultato delle relazioni funzionali e ancor meglio se funzionanti tra tutti i membri che la costituiscono.
Forti di questa convinzione, degli strumenti e delle molteplici e non escludentisi prospettive analitiche che le scienze del linguaggio offrono a chi le pratichi, le autrici intendono proporre una lettura dei testi normativi raccolti in quel volume interessata all’enucleazione di parole e forme utilizzate da giuriste e giuristi che hanno lavorato alla definizione del dispositivo giuridico.
Una lettura che già a una prima scorsa non ha potuto fare a meno di rilevare come le fatiche delle donne (per le donne) si siano condensate in testi legislativi costruiti intorno a nuclei prima concettuali, poi semantici e quindi testuali, definibili “femminili”, o che come tali dal parlante italiano oggi vengono individuati.
Tematiche legate alla cura, alla famiglia, ai più deboli, al lavoro e ai diritti di donne e figli.
Tra tutti questi ambiti risulta di interesse ancora maggiore quello della famiglia, nel cui campo semantico, già a partire dal termine capolista, famiglia, per l’appunto, si sedimenta un complesso intreccio di dottrina giuridica, antropologica e culturale che solo grazie alla pratica della ricostruzione etimologica da una parte e dell’analisi morfologica e semantica dall’altra si può sperare di rendere evidente.
Ciò solo secondariamente per ragioni connesse alla lingua – e alla linguistica –, essendo qui più che altrove evidente, una volta ripercorsa l’analisi, che intorno alla famiglia linguistica e ai suoi membri si è consumato un abuso che in epoca moderna e soprattutto oggi è funzionale a ritagliare e cristallizzare un modello unico di riferimento per questo istituto che probabilmente mai è stato e mai sarà unico.
Stefania Cavagnoli e Francesca Dragotto
Università di Roma Tor Vergata
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08 novembre 2016