Nata a Napoli nel 1930, Bice, apparteneva ad una grande, ramificata, numerosa famiglia ebraica, testimone di una parabola che la vede in prima fila nelle battaglie risorgimentali, nella difesa della Patria durante le due guerre mondiali, colpita e sparpagliata per il mondo dalle leggi razziali, in prima fila nell’antifascismo e nella Resistenza.
“È con immenso dolore che annunciamo la morte di Bice Foà Chiaromonte, che all’inizio degli anni ‘70 partecipò alla fondazione del Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti). Donna, ebrea e comunista, così amò definirsi nel titolo della sua autobiografia (riedito recentemente da Harpo 2017). Straordinaria e generosa intellettuale, ha dato un originale e innovativo contributo alla costruzione di una cultura per una scuola di liberi ed eguali. La sua instancabile iniziativa e il suo apporto di idee hanno contribuito a rendere il Cidi un attore fondamentale nella storia della scuola italiana. Ci mancheranno la sua intelligenza, la sua cultura, la sua ironia.”
Con questo comunicato il Cidi ha salutato Bice Chiaromonte, come era nota nel mondo della scuola e dei comunisti italiani. In base al codice di famiglia in vigore fino al 1975, Bice aveva assunto, infatti, il cognome del marito Gerardo Chiaromonte, e, come lei stessa scrive nel suo libro, era stata dimidiata della sua identità, privandola del cognome con il quale era nata: ‘Foà’. Libro scritto non per vanità della memoria, ma per bucare “bolle di silenzio” riguardanti pezzi di storia e costruzione del popolo italiano, al quale apparteneva come frutto di un miscuglio incredibile, fino quasi a dimenticare la propria radice ebraica. “Tu vuoi rimuovere la tua ebraicità, vedrai che saranno gli altri a ricordartela” l’ammonisce il fratello Gualtiero, così come hanno fatto le leggi fasciste e una leggera – ma diffusa e perdurante – diffidenza culturale.
Nata a Napoli nel 1930, Bice, apparteneva ad una grande, ramificata, numerosa famiglia ebraica, testimone di una parabola che la vede in prima fila nelle battaglie risorgimentali, nella difesa della Patria durante le due guerre mondiali, colpita e sparpagliata per il mondo dalle leggi razziali, in prima fila nell’antifascismo e nella Resistenza.
Ricorda Bice, nel suo libro, l’arrivo a Napoli, appena liberata, di una brigata ebraica - sulla cui bandiera campeggiava la stella di David - formatasi nell’agosto1944, inquadrata nell’Ottava armata dopo molti rifiuti delle gerarchie inglesi e composta per lo più da ebrei residenti in Palestina. La brigata partecipò alla battaglia di Cassino dove molti furono massacrati e contribuì allo sfondamento verso Bologna.
“Molti di quei sionisti non italiani provenienti da vari paesi del mondo morirono per la libertà e la vita di noi italiani”. Dopo un’infanzia dolce ed un’adolescenza segnata dalle leggi razziali, la giovane Foà decide di iscriversi a ingegneria. Due le donne a richiedere l’iscrizione, l’altra non le piaceva, così cambia e si iscrive ad architettura. Bice vive gli studi di architettura come impegno politico; mentre frequenta il terzo anno, conduce, con altri studenti, un’indagine campione sui Sassi di Matera, per studiare una “modalità di rappresentazione di quel groviglio di stradine, grotte che fungevano da abitazione e non solo”.
All’università, dove entra come indipendente nel Consiglio interfacoltà, scopre il grande valore del dialetto napoletano unitamente al mondo del lavoro con i comunisti. Nel corso della campagna elettorale contro la cosiddetta legge truffa del 1953, mentre era in giro a far tessere per il PCI, decide di rendere concreta la sua partecipazione alla vita del Partito e vi si iscrive. Amendola la rimbrotta “adesso trovalo tu un altro indipendente”.
Non sa nulla, come molti altri, di marxismo, e men che mai di storia del Partito, ma come sosteneva Cacciapuoti (responsabile di organizzazione di Napoli) ”Voi intanto iscrivetevi, il marxismo viene dopo”. Partecipa ai Comitati per la Rinascita del Mezzogiorno, un movimento di massa che nella visione di Giorgio Amendola doveva essere capace di trasformare la plebe in popolo. Nel 1956 sposa il dirigente del Pci Gerardo Chiaromonte (1924-1993), allora funzionario, vice di Giorgio Amendola il quale considerava lui e Giorgio Napolitano i suoi dioscuri.
Non era facile essere la moglie di un funzionario di partito: pochi soldi e poco il tempo da dedicare alla famiglia, anche con le migliori intenzioni. Bice continua nel suo impegno, ma con la nascita delle due bambine (Franca, nel 1957, e Silvia tre anni dopo) si vede costretta ad interrompere gli studi di architettura, benché per la laurea le manchino solo due esami, consegue allora la maturità artistica che le permetterà di insegnare disegno tecnico.
Quando Gerardo viene nominato nel 1965 responsabile della Sezione agraria nazionale, la famiglia si trasferisce a Roma, dove Bice insegna negli Istituti per geometri di Palestrina (14 ore settimanali) e di Frascati (altre quattro ore), per poi passare, una volta laureata (1970) , all’insegnamento dell’educazione artistica nelle scuole medie della capitale.
Sempre in ombra, ma mai silente, rispetto a Gerardo Chiaromonte (in seguito direttore de l’Unità e di Rinascita, capogruppo al Senato del Pci, presidente della commissione antimafia), Bice frequenta il mondo intellettuale e tutti i massimi dirigenti del Partito, ne testimonia nel suo libro che ricostruisce, con gusto, il come eravamo.
“Negli anni sessanta molti insegnanti impegnati, o no, in organizzazioni di partito, erano insoddisfatti di come il Pci affrontava il tema dell’insegnamento “. Insieme a Luciana Franzinetti Pecchioli dà vita, quindi, al Cidi, che non era una gamba del Pci, ma un organismo autonomo, all’interno del quale Bice esercitava la propria indipendenza.
E’ Giorgio Napolitano il dirigente di partito più convinto dell’importanza del Cidi, il cui obiettivo era la realizzazione della Costituzione italiana attraverso iniziative democratiche. ”Per capire, per migliorare e trasformare il nostro mondo, bisogna non solo desiderarlo, ma bisogna sapere… Nel momento in cui diciamo no al nozionismo, diciamo si a una conoscenza e un’informazione che siano collegate alla realtà del mondo di oggi e di domani”, così scrive Luciana Pecchioli.
E’ un’operazione in cui Bice impegna il suo cuore e la sua intelligenza di madre, di insegnante, di militante politica, per arrivare a definire “i contenuti culturali dell’insegnamento, la ricerca e l’acquisizione degli strumenti indispensabili per la formazione critica dei giovani, la rivalutazione del ruolo degli insegnanti, in una scuola di massa qualificata ai più alti livelli”. Una organizzazione piena di donne: lei redige verbali figurati, ossia assai disegnati, qualcuna lavorava a maglia durante le riunioni.
Scrive nella presentazione del Menabò ”cosa deve essere la scuola? E noi insegnanti?…. una scuola che educa è secondo noi, una scuola ricca di valori della società moderna”. Tutte impegnate a lasciare un segno. “Se non si lascia il segno che ci si sta a fare nella scuola?”. Bice Foà ci piace ricordarla così, come donna impegnata nel più ampio processo di costruzione ed evoluzione di questo Paese che ha caratterizzato l’impegno di molte donne.
Ci piace anche però ricordarne le risate, l’ironia e l’autoironia e il suo amore per la musica, il canto “antico” da Bach alle canzoni napoletane di cui era finissima interprete.
Livia Turco
da l’Unità del 25 aprile
25 aprile 2017