40 anni della legge 194. Lettera  aperta   ai  giovani  ed  alle  ragazze (prima parte) di Livia Turco

Care ragazze, cari giovani,

Voglio parlarvi di un tema duro, difficile persino da dire, carico di sofferenza e di implicazioni morali: l’aborto.

Voglio  parlarvi  di  questo tema  difficile , innanzitutto,  per condividere con voi l’impegno  e  la  speranza  di una società libera dall’aborto, per costruire con voi  una  società  materna che  sia accogliente  del figlio che nasce, della maternità  e della paternità.


Mi addolora perché  ho vissuto la bellezza della maternità  e nel mio impegno politico ed istituzionale ho promosso leggi e provvedimenti a sostegno della maternità e paternità e per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Se avere un figlio diventa un lusso  siamo una società povera, sterile, disumana.

Per questo voglio parlarvi dell’aborto. Per dirvi che esso è un dramma che bisogna prevenire ,che bisogna in ogni modo scongiurare di vivere, sia da giovane che da adulte. Aborto è la soppressione di una potenzialità di vita che diventerebbe figlio se fosse accolta dal grembo materno. Le donne possono raccontarvi quanto sia duro vivere questa triste necessità, quale scacco del pensiero, quale dramma,  quale senso di sconfitta e di perdita.

Voglio parlarvi dell’aborto perché mi consente di raccontarvi una storia bella e positiva di questo nostro paese che ci testimonia concretamente che l’aborto si può sconfiggere, che le donne possono scegliere liberamente la maternità e crescere con gioia i propri figli . Posso raccontarvi una pagina di bella politica, quella che ha portato a conquistare nel 1975 la legge che istituisce i consultori famigliari, che mi auguro voi abbiate potuto conoscere e frequentare, e nel 1978  la legge 194 “Norme  per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza.”

Solo quarant’anni fa di aborto si moriva. Vi erano le “ mammane” che con erbe e ferri procuravano l’aborto alle donne povere. Quelle ricche ricorrevano al medico di fiducia che in una stanza nascosta nel suo studio praticava ciò che la legge proibiva.

Le donne non amavano l’aborto, tutt’altro.. Accadeva di rimanere incinte anche se i figli  erano sempre benedetti e le famiglie numerose, oltre un certo numero non era possibile averne altri. Ed allora iniziavano i giorni tremendi  della paura,  del dolore e della solitudine. Gli uomini non sempre erano solidali. La famiglia era  patriarcale dove il padre padrone comandava sulle donne e sui figli. Pretendevano dalle donne il sesso  senza considerare le conseguenze che rimaneva un problema che gravava solo sulle spalle delle donne. Donne e uomini si amavano ma i rapporti erano diseguali e la responsabilità di una maternità non desiderata, non possibile da sostenere ricadeva tutta sulle donne. Il corpo delle donne e la loro sessualità era considerato una proprietà maschile che doveva sottostare al  desiderio degli uomini.

Le donne seppur forti, lavoratrici, cittadine, madri insostituibili non riuscivano a considerare il corpo ed il sesso parte integrante, intima della loro persona e personalità  e tante volte non riuscivano a  viverlo con la consapevolezza, la gioia, la responsabilità di qualcosa che è tuo, prima di tutto tuo, che tu hai il dovere di condividere con l’altro su un piano di parità  attraverso i sentimenti del rispetto e dell’amore. Erano impedite a farlo dalla cultura ed educazione che le aveva forgiate secondo cui il corpo ed il sesso era un dono di Dio, ed una proprietà degli uomini.

Era la componente bella di se’, della propria persona su cui non potevano agire liberamente e che sentivano incarcerato ,impedite a viverlo con gioia e libertà se non nei modi scelti  dal desiderio maschile.

“Sesso amaro” era il titolo di una inchiesta che il giornale dell’UDI, un Associazione di donne nata nel 1944 che si è battuta nel corso di tanti anni per la dignità ed i diritti delle donne, condusse tra le  italiane sollecitandole a prendere la parola sulla loro sessualità, sulla piaga dell’aborto clandestino. Fu uno shock, un fatto che fece riflettere, discutere e prendere coscienza.

Non c’erano solo dolore, solitudine, ma anche leggi matrigne che punivano con il carcere  le donne che abortivano e i medici che lo procuravano. La materia era regolata dal Codice penale detto Codice  Rocco dal nome del suo autore: l’aborto in qualsiasi sua forma era sempre considerato  un reato (art.545 e seguenti).

L’aborto era un reato penale che rientrava tra i “Delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”. I  beni da tutelare erano la stipe e non la persona, l’onore e non la salute e la dignità della persona.

In particolare:

causare l’aborto di una donna non consenziente ( o consenziente ma minore di quattordici anni) era punito con la reclusione da sette a dodici anni.(art.545);

causare l’aborto di una donna consenziente era punito con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto, sia alla donna stessa (art.546);

procurarsi l’aborto era invece punito con la reclusione da uno a quattro anni (art.547);

istigare all’aborto ,o fornire i mezzi per procedere ad esso era punito con la reclusione da sei mesi a due anni (art.548).

In caso di lesioni o morte della donna le pene erano ovviamente inasprite ma nel caso ”..alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 545,546,547,548,549,550 è stato commesso per salvare l’ONORE  proprio o quello di un prossimo congiunto ,le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi”.

Avete inteso bene… l’aborto era considerato meno grave se colpiva l’onorabilità della donna e del suo consorte anziché la dignità e la salute delle donne. Le donne erano di fatto, secondo queste leggi “non persone”.

L’analogo Codice Rocco impediva ogni  forma di contraccezione.

Colpisce questa durezza nei confronti del corpo delle donne, questa chiusura verso la libertà sessuale in anni che avevano visto grandi cambiamenti culturali con il Movimento  studentesco del  1968, con la nascita del movimento di emancipazione delle donne e poi del femminismo  che aveva ottenuto conquiste importanti come l’abolizione delle case chiuse per l’esercizio della prostituzione(1950), leggi per la parità nel lavoro e la tutela sociale della maternità, l’accesso delle donne in magistratura ed in tutte le cariche pubbliche, l’introduzione del divorzio, la riforma del Diritto di Famiglia, traguardo molto importante perché impernia  la vita famigliare sui valori della pari dignità di donne e uomini, di genitori e figli, superando l’odiosa impostazione patriarcale per cui il padre era il padrone di moglie e figli,  e stabilisce la pari responsabilità del padre e della madre verso i figli.

 In realtà stava avvenendo tra le donne qualcosa di profondo nelle loro coscienze: si stavano liberando  del pudore verso questa parte oscura di sé, cominciavano a  parlarne con le altre donne, a scoprire attraverso la parola, il confronto, la relazione che la sessualità le apparteneva, che il godimento della sessualità non era un peccato o qualcosa che le rendeva meno autorevoli , che avere un figlio era un evento bellissimo ,un dono che dovevano accogliere ma su cui potevano e dovevano esercitare una loro scelta. Ancora più’ degli uomini perché un figlio nasce se il grembo materno lo accoglie, lo desidera, lo vuole nutrire. Costruisce una relazione.

 

Scegliere, libertà di scelta, autodeterminazione : ecco le  parole importanti che le donne  scoprono e cominciano a pronunciare.

Anche nella politica , nella società , nel mondo medico le cose cominciano a cambiare.

Il 14 marzo del 1971 la Corte Costituzionale, dichiarò con una Sentenza della Consulta ,illegittimo l’articolo 553 del Codice Penale che prevedeva pene severe per chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda contro di esse. Tale sentenza apre la strada all’utilizzo dei contraccettivi.

Nel 1968 era stata commercializzata la pillola Pincus ma solo a scopo terapeutico..

Nello  stesso anno l’Enciclica Humane Vitae d del Papa Paolo VI  pronunciò parole molto severe contro il controllo delle nascite.

Il giornale ”Noi Donne” continuava attraverso la sua rubrica delle Lettere scritte dalle lettrici cui rispondeva la direttrice Giuliana Dal Pozzo, l’ascolto delle opinioni e della vita delle donne .Che esprimeva lo spaccato di un pezzo del mondo femminile che stava cambiando nella sua identità profonda. Lo stesso giornale in sintonia con il dibattito che si era aperto in altri paesi  europei cominciava a parlare del rapporto tra la scienza, la tecnica, ed il corpo femminile. Sollecitava la promozione e lo sviluppo della contraccezione. Nasceva, su iniziativa dello psicologo, Luigi De Marchi l’associazione AIED, associazione italiana per l’educazione demografica e la promozione della contraccezione, che creò  tanti consultori in Italia per diffondere la contraccezione.

Come vi ho detto all’inizio nel 1975 il Parlamento approvava una legge molto importante che dovete conoscere ed utilizzare la legge 45 del 1975 sui Consultori famigliari, luoghi della sanità pubblica  che affrontano i temi relativi alla sessualità, alla salute delle donne, alla contraccezione, alla prevenzione dell’aborto, alle relazioni tra donne e uomini. L’Organizzazione Mondiale della Sanità li ha indicati come esempio di servizi innovativi che promuovono il benessere delle persone.

Nel 1975  inizia la battaglia del Partito Radicale attraverso forme che destano l’attenzione dell’opinione pubblica perché nuove e trasgressive. Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia,  Adele Faccio , Emma Bonino si erano autodenunciati alla polizia per aver praticato aborti e furono arrestati.

Adele  Faccio con altre donne aveva fondato il CISA che si proponeva di combattere concretamente  l’aborto clandestino, creando i primi consultori in Italia ed organizzando dei” viaggi della speranza” verso le cliniche inglesi ed olandesi a costi accessibili.

Nel 1975 il CISA si federa con il Partito Radicale e portano avanti una battaglia comune contro l’aborto clandestino.

Il 5 febbraio una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore del giornale l’Espresso  presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un Referendum abrogativo degli articoli del codice Rocco che riguardano i reati d’aborto. Cominciava in questo modo la raccolta delle firme. Il referendum era patrocinato dalla Lega XIII  maggio e da l’Espresso che lo promossero unitamente al Partito Radicale ed al Movimento di Liberazione della donna. Tra le forze politiche aderenti figuravano Lotta Continua, Avanguardia Operaia, il PDUP, che erano forze politiche della sinistra più estremista.

Furono raccolte 7000.000 firme.

Un altro fatto importante era intervenuto a sollecitare la modifica del Codice Rocco: la sentenza n.27 del 18 febbraio 1975 della Corte Costituzionale. Con tale sentenza, la Suprema Corte, pur ritenendo che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale, consentiva il ricorso all’ interruzione volontaria di gravidanza per  motivi di salute molto gravi riguardanti la madre.

 Il 10 luglio del 1976 all’ICMESA una fabbrica del Nord, vicino a Milano esce una nube tossica contenete molti chili di diossina, una sostanza quasi sconosciuta che ricade sul centro abitato. Essa provocava in modo particolare  alterazioni neonatali ormonali.  Molte donne furono costrette all’aborto terapeutico. Laura Conti, consigliere  regionale  della Lombardia del partito Comunista Italiano, partigiana, ambientalista, si dedicò alle popolazioni del luogo, scrisse  due libri “Vista da Seveso” e “Una lepre con una faccia da bambino”. Tale vicenda accese ulteriormente il dibattito sull’aborto come ci racconta nella sua bella testimonianza, in questo libro,  il Dottor Rusticali. Nel  1976 ,dopo le elezioni politiche in cui c’era stato un forte spostamento dell’elettorato, soprattutto femminile e giovanile, a sinistra, tutti i partiti presentarono  disegni di legge per la regolamentazione dell’interruzione di gravidanza. Solo La Democrazia Cristiana ed il Movimento Sociale Italiano presentarono disegni di legge il cui titolo era “ Disposizioni relative al delitto di aborto”. I titoli indicano la profonda differenza d’impostazione. Da un lato  c’erano  i  partiti che  volevano regolamentare il ricorso all’aborto tenendo conto della salute fisica e psichica della donna e delle sue condizioni economiche e sociali.

  Dall’altra  la DC e l’MSI consideravano l’aborto un delitto che deve essere punito tranne  il caso in cui  era in  pericolo di vita delle donne o la stessa aveva subito violenza sessuale accertata dall’indagine della magistratura.

Nonostante le profonde differenze nelle Commissioni Sanità e Giustizia della Camera iniziava  il 26 febbraio 1976 un dibattito molto approfondito , con lo sforzo di cercare di trovare, pur nelle differenze,  dei punti di contatto tenendo conto della realtà, la quale diceva che tante donne ricorrevano all’aborto clandestino, che l’aborto era una piaga sociale dietro alla quale oltre  al tormento della donna, si nascondevano anche  gravissimi fatti di speculazione morale e finanziaria sulla sofferenza e sulla indigenza. Per cancellare questa piaga sociale  bisognava farla emergere dalla clandestinità , puntare sulla prevenzione  e dunque su un forte sviluppo della consapevolezza delle persone e sull’uso della contraccezione, sulla tutela sociale della maternità. Date le profonde differenze vi era un relatore di maggioranza che esprimeva la posizione a favore della regolamentazione dell’aborto ed uno di minoranza che esprimeva la posizione che proibiva il ricorso all’aborto.

La Democrazia Cristiana In Commissione aveva  condiviso  un testo che  prevedeva l’interruzione di gravidanza  in coerenza con la sentenza della Corte Costituzionale. In Aula cambiò posizione e presentò un emendamento, l’emendamento Flaminio Piccoli, che consentiva l’aborto solo in caso di acclarato pericolo della vita della donna. Una sorta di aborto terapeutico che non sarebbe stato minimante in grado di incidere sulla piaga dell’aborto clandestino. La differenza era sostanziale. Il testo dell’articolo 2 votato in Commissione con l’adesione anche della Dc prevedeva “l’interruzione della gravidanza nei primi novanta giorni quando c’è un serio pericolo per la salute fisica e psichica della donna; quando la donna  e la famiglia  versano  in  condizioni economiche di grave disagio  e non sono nelle condizioni di crescere il figlio; quando vi  sono rilevanti rischi di malformazione fetale, di anomalie congenite al nascituro” .

L’emendamento Piccoli riproponeva la punibilità dell’aborto come norma generale ed indicava i casi in cui l’aborto non poteva essere punito: “per impedire un reale pericolo per la vita delle donne o grave danno per la salute della donna medicalmente accertati e non altrimenti evitabili; quando la donna ha subito uno stupro ed ha esposto querela all’autorità giudiziaria. La pena è ridotta da un terzo a due terzi quando l’aborto è commesso in conseguenza di un turbamento provocato alla madre da condizioni economiche e sociali di eccezionale gravità ; il turbamento provocato nella madre dal ragionevole timore di una gravissima malformazione o anomalia del nascituro.”

Perché  quel voltafaccia da parte di un grande partito? Perché un partito popolare e maggioritario nel paese dimostrava di non considerare e non comprendere la gravità dell’aborto clandestino, di questa grave piaga sociale? Perché dimostrava così scarsa autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche? Perché non si faceva carico della spaccatura che la sua posizione provocava nel paese? Sono gli interrogativi che nel corso del dibattito parlamentare  posero molti parlamentari preoccupati per la condizione delle donne e per le sorti del paese. In realtà la Democrazia Cristiana pur essendo unita nel no all’aborto aveva al suo interno differenti anime culturali.

Forse anche per questo non riuscì a tenere sulla vicenda una linea chiara ed univoca scegliendo  una posizione tra quelle che lo stesso Flaminio Piccoli aveva delineato nella discussione interna al suo partito “ O battaglia frontale con un deciso no in occasione del voto finale o un azione per un miglioramento delle singole norme giungendo eventualmente ad una astensione”. In realtà la DC oscillò tra queste due posizioni :  nelle Commissioni prevaleva la volontà’ di dialogo e di condizionamento delle posizioni altrui, in Aula avveniva il voltafaccia e la rottura. Nella fase finale, nel  1978, anche grazie a personalità come Maria Eletta Martini, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera prevalse l’apertura ed il dialogo pur esprimendo quel partito un voto contrario alla legge.

Tornando al Dibattito iniziato in Aula alla Camera il 26 febbraio 1976, l’emendamento Piccoli  fu approvato con il voto determinante del Movimento Sociale Italiano:298 voti a favore 286 contrari. Era il 1 aprile 1976. Un fatto clamoroso  che determinò una crisi di governo. Craxi ritirò  l’appoggio  del PSI al Quinto  Governo Moro   perché considerava gravissima la proposta approvata, lontana dalle posizioni culturali  del suo partito, di tante forze politiche e dalla  maggioranza delle donne e  del paese  e che, peraltro,  aveva tradito lo sforzo di dialogo che era stato tenacemente perseguito da parte di tutte le forze politiche. Di fronte alla crisi di governo il Presidente della Repubblica fu costretto a sciogliere le Camere, nel mese di giugno del 1976, e si andò’ al voto.

Il dibattito riprende nella Settima Legislatura  al Senato. Si lavora nelle Commissioni riunite Sanità e Giustizia. La pressione che sale dal paese per cancellare la vergogna dell’aborto clandestino ,per liberare il nostro paese dall’ipocrisia di una normativa che fa a pugni con la realtà e con la sofferenza della persona, l’ipocrisia di una retorica sulla vita che non si accorge delle vite che vengono stroncate sembra coinvolgere  anche  la DC ed il mondo cattolico che presenta riflessioni nuove, riflette sulla laicità, su come si promuove in modo concreto la vita ed il sostegno alla maternità’. Viene elaborato un testo unitario. Bisogna votare il passaggio del testo dalle Commissioni all’esame dell’Aula.

Qui ,in modo sorprendente si verifica un altro voltafaccia della DC che vota contro il passaggio in Aula del testo. Secondo il regolamento del Senato in casi come questi bisogna che trascorrano sei mesi prima che si possa riprendere in esame il testo di legge bocciato nel suo passaggio in Aula. La DC aveva fatto il gioco del Partito Radicale il quale era contrario ai testi di legge che si stavano discutendo e volevano che si celebrasse il  referendum abrogativo del Codice Rocco di cui erano stati promotori. Più  il tempo trascorreva ed il Parlamento non legiferava più si avvicinava il tempo del referendum.

Per questo le forze politiche a favore del testo di legge in Parlamento decisero di iniziare subito  l’iter alla Camera. Era la terza volta che la Camera affrontava questo argomento.   Il testo elaborato dalle Commissioni del Senato e bloccato nel passaggio in Aula fu assunto come testo base per la discussione alla Camera. Era il 9 giugno del 1977. Il 18 maggio del 1977 il testo  fu  proposto all’esame delle Commissioni riunite Sanità e Giustizia. Il 30 novembre del 1977 venne  presentata la relazione di maggioranza, relatori Giovanni Berlinguer ed Antonio Del Pennino; il 9 dicembre 1977 venne  presentata  la relazione di minoranza dell’MSI con relatore Giuseppe Rauti; il 30 marzo 1978  venne  presentata la relazione di minoranza della Democrazia Cristiana, relatori Giuseppe Gargani e Bruno Orsini. La legge approdò   in Aula con un testo di maggioranza e due di minoranza il 5 aprile 1978 e venne  approvata il 13 aprile con 308 voti a favore e 275 contrari. L’ iter iniziò al Senato il 18 aprile per concludersi ed approvare in modo definitivo   la attuale legge 194 il 18 maggio 1978.Relatrice di maggioranza fu  la senatrice Giglia Tedesco.

La legge venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e divenne  operativa il 22 maggio 1978. Anche in questa occasione il confronto fu aspro ed i sostenitori della legge misero l’accento in modo particolare sulla necessità di essere rapidi ed approvare finalmente una legge giusta perché l’opinione pubblica era indignata dalle lungaggini, dall’ipocrisia, dalle discussioni infinite ed inconcludenti  tra le  forze politiche. In modo particolare si stava creando una frattura tra le donne italiane e le istituzioni democratiche. Tale sentimento era percepito dalle donne parlamentari di ogni schieramento politico che ebbero non a caso un ruolo importante per costruire, al di là delle differenze, punti di incontro.

Per capire il clima del tempo riporto uno stralcio dell’intervento svolto il 2 marzo 1976 da una delle protagoniste più autorevoli di tale battaglia, Adriana Seroni , parlamentare e dirigente del Partito Comunista Italiano.” Bisogna fare in fretta, non c’è tempo da perdere. Basta scorrere le cronache di queste settimane di questi mesi per capire quale è il costo in termini umani e sociali del tempo che passa. Una donna ,moglie di un emigrato calabrese, madre di cinque figli  e malata è morta  a Torino perché non le è stato praticato l’aborto terapeutico. Una donna moglie di un operaio di Gela, madre di sei figli, alla vigilia di Natale si uccide ponendo in stato di accusa una società che non l’ha aiutata né a controllare le nascite né a sfamare i suoi bambini. Intanto a Verona si è processato una donna per aver abortito: una donna di 43 anni, prima operaia, poi domestica, sei figli ,cinque aborti, un marito schizofrenico, una vita buia di miseria e di stenti .

Questa donna ha scritto ponendo a tutti una domanda precisa: ”Io mi domando se è giusto che lo Stato processi me, senza aver mai dato nulla a me ed ai miei figli  e se è giusto che  adesso debba  andare in carcere lasciando i miei figli, solo perché non potevo mettere al mondo anche il settimo figlio e non avevo i soldi per andare in Svizzera. Io non so se questo sia giusto Ditemelo voi”. Milioni di donne ci guardano ed aspettano. Sul tema dell’aborto si misura anche la capacità dello Stato di tener conto delle donne, di riconoscere la loro dignità e la loro soggettività politica. Quella dell’aborto è una ferita aperta tra le donne ed il sistema democratico, le istituzioni. Bisogna cancellare questa ipocrisia che inquina il nostro sistema democratico altrimenti lo sdegno potrà solo radicalizzarsi ed estendersi”.

Infatti era fortemente cresciuta la consapevolezza delle donne italiane  e la loro determinazione ad avere una legge giusta che riconoscesse la loro autonoma possibilità di scelta, che incentivasse la prevenzione e l’uso della contraccezione ,che sostenesse in modo concreto la maternità.

Nel femminismo c’erano diversi punti di vista. Una componente parlava di aborto come diritto ma la maggioranza delle donne parlava dell’aborto, come scacco, sconfitta della propria volontà ,come dolore e dramma perché ciascuna donna è consapevole che abortire vuol dire interrompere una vita che è cominciata a formarsi dentro il suo grembo materno.

Interrompere questa vita è un grande problema morale che pesa sulla coscienza  e fa tanto più’ soffrire  quando si ricorre all’aborto per le condizioni economiche e sociali che non consentono di avere altri figli. Le donne facevano sentire la loro voce ovunque: sulle piazze, sulla stampa e sui media, nel dialogo fitto con le altre donne, nelle associazioni e nei partiti.

Ricordo la discussione accesa che ci fu nel Partito Comunista Italiano cui ero una giovane militante. Discutemmo molto animatamente con i vertici del partito su due punti fondamentali: a chi compete la scelta di ricorrere all’aborto e la possibilità anche per le minorenni che si trovavano a vivere una gravidanza indesiderata di poter ricorrere a certe condizioni all’aborto .Fu uno scontro duro tra il partito che proponeva che a decidere  se interrompere la gravidanza fosse una commissione di medici dopo aver ascoltato la donna e noi donne ma anche tanti uomini che sostenevano che  l’ultima parola spettava alla donne. Ricordo le riunioni appassionate, affollate, in ogni parte d’Italia. Vincemmo  noi donne perché eravamo in tante, unite e determinate , perché  avemmo dalla nostra parte  donne dirigenti  autorevoli come Adriana Seroni  (prima firmataria della legge del Partito Comunista) e Giglia Tedesco( che fu relatrice del testo di legge al Senato) e uomini intelligenti come Giovanni Berlinguer, medico ,scienziato, politico di intensa umanità che fu anche il relatore della legge alla Camera  insieme a Del Pennino, esponente del Partito Repubblicano Italiano. Vincemmo con la forza della passione e degli argomenti. C’era in ogni schieramento politico una pattuglia di donne autorevoli- Adriana Seroni, Giglia Tedesco, Luciana Castellina, Simona Mafai, Adriana Lodi, Carmen Casapieri, Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Ines Boffardi,  Cassanmagnago Cerretti Maria Luisa, Adele Faccio,  Emma Bonino, Adelaide Aglietta,   Maria Magnani  Noia, - molto legate alla realtà femminile del paese che, nonostante i forti conflitti, cercarono  di capirsi, di capire le ragioni del punto di vista dell’altra e comporre una sintesi tra valori  che stavano a cuore a tutte come la dignità femminile, la consapevolezza della tragedia dell’aborto clandestino che invece sfuggiva a molti maschi intrisi di una cultura maschilista, il valore sociale della maternità, l  ’educazione alla sessualità attraverso una adeguata valorizzazione dei Consultori famigliari, il valore della vita umana.

Non era facile legiferare su una materia che riguarda la vita del concepito e la volontà e la salute  psicofisica della donna.

In quegli anni tumultuosi e di cambiamento l’Italia fu teatro di un fenomeno inedito. Dopo il terrorismo nero, fascista, assistevamo alla nascita del terrorismo rosso che voleva abbattere lo Stato considerato traditore dei valori della sinistra e della classe operaia. Una grande tragedia, che ricordo molto bene per i morti che esso provocò anche solo nella mia città, Torino. Ricordo lo sgomento e lo smarrimento che determinò nel nostro cuore e nelle nostre menti.

 

Quel terrorismo allontanava le riforme di cui l’Italia aveva bisogno e richiedeva l’unità politica e culturale di tutte le forze politiche per difendere lo Stato democratico che andava riformato ma attraverso riforme democratiche decise in Parlamento e non attraverso la violenza ceca e bruta.

Ricordo i giorni terribili del rapimento di Aldo Moro e l’uccisione degli uomini della sua scorta, ricordo i giorni terribili pieni di angoscia della sua prigionia. Ricordo il dolore acuto e lo smarrimento che ci colse quando fu trovato il corpo ucciso del grande politico.

Ricordo le scelte difficili cui fu difronte la sinistra italiana e gli interrogativi, i dilemmi che in particolare vivevamo  noi giovani che sentivamo l’urgenza di un profondo cambiamento della società italiana e della politica.

Mai avremmo immaginato di dover  sostenere un governo di emergenza, tra tutte le forze politiche, detto  delle larghe intese e programmatico, con presidente del consiglio Giulio Andreotti.

Dopo lo smarrimento iniziale decidemmo che dovevamo utilizzare la nuova influenza del PCI e della sinistra  nella vita politica italiana per strappare riforme, ottenere le riforme tanto attese. Dovevamo utilizzare lo spirito di collaborazione tra le forze politiche non solo per difendere lo Stato e la democrazia ma per varare le tanto attese riforme. Organizzammo  forti mobilitazioni e imponenti manifestazioni di piazza con i movimenti giovanili  per combattere la disoccupazione giovanile ed ottenemmo la legge 285/ 1978 per promuovere il lavoro dei giovani. Il 1978 può essere definito l’anno delle riforme ,” le riforme della speranza” perché  furono varate contemporaneamente: la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale universalistico e solidale, la legge 833, Ministro della Sanità  Tina Anselmi, relatore Giovanni Berlinguer, riforma che si basa sulla concezione della salute come diritto garantito a tutti a prescindere dal reddito partendo dal riconoscimento del principio universale della dignità umana così come indicato dall’articolo 32 della nostra Costituzione “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”;  la legge Basaglia sulla psichiatria che elimina  i manicomi; la legga 194 sulla tutela della maternità e la interruzione volontaria della gravidanza.

Tutte queste leggi avevano alle spalle anni di battaglie sociali, culturali   che avevano coinvolto i lavoratori  con i sindacati, le donne, i giovani  i medici, gli psichiatri, le forze intellettuali del nostro paese . Avevano impegnato il Parlamento in discussioni e confronti senza pervenire a conclusioni. In quello straziante 1978,  Il clima di dialogo tra le forze politiche ed il senso della comune responsabilità verso il paese favorì la loro rapida approvazione con impostazioni di merito avanzate come si può constatare leggendo gli atti parlamentari.

Dentro il dramma nazionale ci fu una pagina di bella politica. Per questo mi piace definire  quelle riforme “le riforme della speranza”. Perché sono l’espressione di una forma della democrazia: basata sulla mobilitazione sociale, sulla partecipazione attiva dei cittadini, sul dialogo e la costruzione di mediazioni e nuove sintesi  tra le forze politiche che avevano nel  Parlamento il loro fulcro . Esprimevano inoltre una nuova concezione del welfare: solidaristico, universale, capace di valorizzare le competenze delle persone, che punta  non solo a prevenire il disagio ma  a promuovere il benessere delle persone. (fine prima parte)

Livia Turco

Tratta dal libro “Per non tornare al buio. Dialoghi sull’aborto” di Livia Turco e Chiara Micali

16 maggio 2018