Il nuovo governo giallo-verde e la cultura della discriminazione L'intervento di Livia Turco al convegno le "Donne e le nuove sfide della democrazia"

Viviamo un profondo cambiamento del nostro sistema politico, del modo di essere dei partiti, della rappresentanza politica, un cambiamento profondo nella concezione e nel sentimento della identità nazionale. Si tratta di un processo europeo e che coinvolge tutto l’occidente ma che vede ancora una volta l’Italia protagonista di uno scenario inedito con la nascita del governo cosiddetto giallo–verde nato dal convergere di due forme di sovranismo e di populismo che si è tradotto nel Contratto di Governo.


Un programma basato su una cultura discriminatoria verso le diversità e le differenze culturali, di cui emblema è la proposta dell’asilo nido gratuito solo per i bambini italiani, con una proposta arretrata di welfare che penalizza donne e giovani, tutto basato ancora una volta su interventi monetari a scapito dei servizi, che esalta la maternità ma di fatto la penalizza attraverso una grave modifica della legge sulle dimissioni in bianco. Che aumenterà le diseguaglianze con la flat tax configurandosi come una redistribuzione a favore dei ricchi. Che considera la disabilità un affare privato delle famiglie.   Che senso ha il Ministero della Famiglia e della disabilità! Che propone un incerto reddito di cittadinanza cancellando un esistente, certo ed efficace reddito di inclusione sociale. Solo per sottolineare gli aspetti che mi preoccupano di più e che mi sollecitano a dire a tutte noi “ragazze diamoci una mossa!”  Difronte al profondo cambiamento dell’assetto politico ed istituzionale del nostro Paese sentiamo ancora più forte la necessità di ribadire che la nostra Costituzione è il pilastro indiscutibile della nostra convivenza e della nostra democrazia. Ci sentiamo impegnate ad onorarla in ogni suo articolo e a prospettare ai nostri giovani il valore che essa riveste per affrontare i difficili temi del presente e del futuro.                                                Le donne in particolare devono avere la lucida consapevolezza che la cittadinanza sociale, civile e politica femminile affonda le sue radici nella Costituzione, da essa hanno tratto origine e nutrimento le grandi riforme che hanno radicalmente mutato nel corso di settanta anni la condizione delle donne ed il rapporto tra i sessi nel nostro Paese. La Costituzione non solo è lo scudo per impedire l’arretramento sul piano dei diritti acquisiti ma contiene il nutrimento per vincere le sfide del futuro come la lotta contro le diseguaglianze, il valore del lavoro, le forme nuove della maternità e della paternità, le sfide della biotica, l’irrinunciabile impegno per costruire una convivenza tra italiani e nuovi italiani.   Non solo nei singoli articoli ma nella concezione e nella forma della democrazia: partecipata, popolare, basata sulla centralità della persona. La persona colta nella sua dimensione relazionale, di apertura all’altro, come indica l’articolo 2. Una democrazia  basata sulla centralità del lavoro e che ha il compito di combattere le diseguaglianze , di promuovere la cittadinanza attiva di tutte le persone prendendo in carico quelle che sono in difficoltà .Rileggiamolo il fondamentale  articolo 3  secondo comma: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese”.  Vi è dunque un nesso tra lotta alle diseguaglianze e capacità inclusiva della democrazia. Il tema che affronterà la Prof. Chiara Saraceno. Una democrazia basata sull’esercizio “della disciplina e dell’onore” come indicato nell’articolo 54.    Sul ruolo dei partiti politici intesi come soggetti collettivi che promuovono la partecipazione popolare attraverso regole interne trasparenti e democratiche, l’articolo 49: “Tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, rimasto colpevolmente inapplicato senza che sia stata elaborata una legge che attraverso norme uniformi e condivise rendesse effettivo quell’articolo medesimo.    Nella nostra Costituzione non è previsto un regime presidenziale ma parlamentare, con parlamentari senza obbligo di mandato, la democrazia non è diretta, tema quest’ultimo storicamente tipicamente populista con ampi margini di soluzioni antidemocratiche che rischiano un aggravamento nell’affidare alla piazza telematica la ricerca del consenso, così come appare evidente dall’istituzione del Ministero della Democrazia Diretta.   C’è un articolo della nostra Costituzione troppo sottovalutato nel dibattito corrente, l’articolo 10: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. La nostra Costituzione fu pensata dai nostri Padri e Madri Costituenti come aperta, europeista, che guarda al mondo e si confronta con il mondo. Tutt’altro che sovranista!   Aspetto questo che ritorna negli interventi che si sono svolti nella seduta conclusiva di presentazione della Costituzione nel febbraio del 1947. Cito alcune considerazioni svolte dall’on.Meuccio Ruini fondatore del partito “Democrazia del Lavoro” che partecipò alla stesura della Costituzione. Nel suo intervento del 6 febbraio 1947 afferma tra l’altro: “La nostra Costituzione nasce da una comparazione sistematica, tema per tema, con le norme costituzionali vigenti negli altri paesi Europei e negli Usa. Anche se propriamente italiane (molte cose sono nella Costituzione della Repubblica Romana del 1849).  Essa non può essere una Costituzione di tipo latinoamericano, ossia un codice di norme che vanno in parte rinviate alla legislazione ordinaria. Essa non può essere astratta, né un programma per il futuro.    Nello sforzo di conquistare stabilmente la libertà e di ancorarla ad una sfera di valori più alta, convergevano correnti profonde: dalle democratiche , fedeli agli immortali principi o dalle liberali che invocano la religione della libertà, alla grande ispirazione cristiana che rivendica a sé la fonte esterna di quei diritti, o dall’impulso che muove dal manifesto dei comunisti e che combattevano lo sfruttamento  di una classe da parte  di una altra ..CONTRO OGNI NAZIONALISMO CHE CI HA CONDOTTO ALLA GUERRA, la nostra Costituzione si riallaccia a ciò che rappresenta le più pure tradizioni ma anche lo storico e concreto  interesse dell’Italia : IL RISPETTO DEI VALORI INTERNAZIONALI”.   La nostra Costituzione come quella degli altri Paesi Europei scaturisce dalla tragedia dei conflitti mondali frutto dell’esasperato nazionalismo ed i Costituenti e le forze politiche e culturali vollero che le Costituzioni fossero un baluardo contro la guerra contrastando la rinascita degli egoismi nazionali. Come è documentato nel libro “Donne d’Italia”, le Madri Costituenti e le associazioni femminili ebbero un ruolo particolare nel collegare la nascita della Costituzione con la tessitura di una trama di relazioni europee ed internazionali per garantire e promuovere la pace. Dunque il nazionalismo, che è cosa diversa dall’identità nazionale, contraddice lo spirito profondo della nostra Costituzione.   Dopo la seconda guerra mondiale nasce l’idea dell’Europa Unita: per far tacere le armi, per costruire la pace, come sogno di un mondo nuovo come ci racconta il Manifesto di Ventotene. Proprio per aver sofferto dei propri errori gli Stati Nazionali comprendono che bisogna imboccare la strada della Limitazione dei poteri sovrani. “Bisogna addomesticare con la forza gentile e mite della legge e del diritto il potere dello Stato. Non, violenza ma fermezza, non potenza ma, destrezza.    Il potere degli Stati, nel corso dell’ottocento poiché si credeva e si voleva assolutamente immortale, illimitato, era diventato violento, idolatra e rozzo” - così scrive Tommaso Padoa Schioppa nel suo bel libro “Europa forza gentile”.    La prima e la seconda guerra mondiale dimostrarono che la sovranità illimitata degli Stati, il bisogno di irradiarsi oltre i confini del proprio potere legittimo, di fondare su una mitizzata unità di popolo la loro spinta dinamica potevano in ogni momento rompere rovinosamente una pace affidata solo all’equilibrio delle forze. Questa consapevolezza produce un elemento rivoluzionario nel Novecento: la creazione di Poteri Sovranazionali in quella parte del mondo in cui era nato lo Stato Nazione.   La cittadinanza sociale e politica delle donne affonda le sue radici nella costruzione dell’Unione Europea cui le donne hanno partecipato da protagoniste, come è documentato nel libro “Donne d’Italia”. Dalla battaglia per la parità salariale, per il diritto al lavoro, per la conciliazione tra vita lavorativa e vita famigliare per la rappresentanza femminile nelle istituzioni, l’Unione Europea, attraverso diversi strumenti, ha inciso nelle legislazioni degli Stati Nazionali, fino a prevederlo come diritto-dovere fondamentale nell’art.23 Parità tra uomini e donne, capo 3, Uguaglianza, della  Carta Europea dei Diritti Umani Fondamentali: “La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia  di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a vantaggio del sesso sottorappresentato.”.   Strumento importantissimo e poco conosciuto, poco dibattuto, di cui parlerà certamente il Prof. Ponzano su cui voglio rapidamente soffermarmi. Con il Trattato di Lisbona la Carta Dei Diritti Umani Fondamentali viene trasformata da “Dichiarazione” in “strumento giuridicamente vincolante” e come tale da applicare da parte dell’Unione e degli Stati membri ed anche da parte dei cittadini. Nel Preambolo possiamo leggere: “I popoli europei, nel creare tra loro una unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni”. La Carta declina i diritti in sei parole chiave: dignità umana, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia. Introduce nuovi diritti connessi alla evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici come la biotica, la protezione dei dati personali, la tutela dell’ambiente.    Nella loro interrelazione, questi diritti delineano un modello sociale basato sul concetto di cittadino persona. Essa infatti contiene dei diritti riferiti alla dignità della persona in quanto tale e non solo riferiti ai cittadini europei. Ricordo l’articolo 15 (Libertà professionale e diritto al lavoro); articolo18 (Diritto d’asilo); articolo 19 (Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione); articolo 21 (Non discriminazione). Dobbiamo far conoscere, diffondere questo fondamentale strumento e utilizzarlo per imporre scelte di governo coerenti. Sarà prezioso in questo tempo per contrastare la retorica e le politiche discriminatorie nei confronti degli immigrati ed in cui forte è il rischio di arretramento della libertà femminile.    Sono tre gli aspetti fondamentali della democrazia: la capacità di rappresentanza, la capacità di decisione, il profilo europeo e internazionale. Noi abbiamo scelto in questo convegno di concentrare l’attenzione sul tema della rappresentanza politica italiana ed europea. Sappiamo bene quanto le riforme istituzionali relative alla seconda parte della Costituzione siano essenziali, sappiamo, anche per esperienza di governo, quanto sia importante che i tempi della decisone politica siano in relazione con i tempi di vita delle persone e dunque quanto sia cruciale la questione dell’efficienza e dell’efficacia delle decisioni politiche. Non affrontare questo tema non significa dunque averne presente l’importanza cruciale.   Come è cambiata la rappresentanza politica, come si costruisce oggi una politica popolare che è cosa ben diversa dal populismo? La politica popolare costruisce comunità attraverso la forza del legame sociale, promuove la partecipazione attiva dei cittadini, si avvale di pratiche politiche di presa in carico delle persone, offre gli strumenti alle persone che sono più fragili o sono ai margini della società di essere ascoltate, coinvolte nella battaglia della loro emancipazione.      Una politica popolare si avvale di molti strumenti quali la partecipazione, la formazione, le pratiche sociali, le nuove forme di comunicazione e riconosce il ruolo di rappresentanza politica delle istituzioni, come il luogo che deve raccogliere, dare volto e voce alle loro istanze, alla loro vita. Nella politica popolare conta il progetto politico e la leadership individuale e collettiva. Sono stata a scuola di una formidabile politica popolare, quella del PCI, e posso testimoniare quanto essa sia preziosa soprattutto quando ci si trova a svolgere ruoli istituzionali e di governo. Ovviamente oggi una politica popolare va reiventata. Non ci serve rimpiangere il passato ma dal passato dobbiamo imparare, cogliere gli elementi della “Vivente Lezione” che esso contiene. Il populismo si affida al rapporto diretto capo e popolo, si basa su una politica liquida e intende le istituzioni e la rappresentanza politica come “tribuna” in cui agitare le proprie istanze anziché luogo in cui costruire politiche attraverso il dialogo e la mediazione. Preferisce il guscio entro cui proteggersi, il territorio da difendere che non lo sguardo ampio sul mondo. Vedremo come evolvono i due populismi e sovranismi che oggi governano il nostro Paese.   Per far rinascere una rappresentanza politica che sia espressione della comunità e dei cittadini bisogna misurarsi con le novità che sono emerse nel corso degli anni Ecco dunque gli interrogativi e qualche proposta. Come costruire una nuova rappresentanza europea?  Come rilanciare il sogno della unità politica europea che renda concreto il motto dell’Unione Europea dell’Unità nella diversità, un’Europa inclusiva, dalla parte dei cittadini che renda protagonisti i cittadini. Non bastano le riforme istituzionali. Bisogna costruire una cittadinanza europea mobilitando la società civile europea, promuovere un sentimento europeo, partiti politici europei, un opinione pubblica europea. Utilizzando strumenti come gli Erasmus, il Servizio Civile ma anche mobilitando l’opinione pubblica con strumenti previsti dal Trattato di Lisbona come il Diritto di Petizione al Parlamento Europeo.   Ad esempio, perché non rilanciare il tema della Cittadinanza Civile Europea con la previsione del diritto di voto locale per i nuovi europei, immigrati con il permesso di lungo residenza, per promuovere una convivenza basata sulla pratica di diritti e doveri e dunque di lealtà costituzionale verso la nazione in cui si vive. Da parte di tutti i residenti. E’ necessario un risveglio della società civile! La sinistra italiana ed europea deve impegnarsi in questa opera sollecitando uno scambio di riflessioni e di proposte tra i cittadini dando all’unificazione europea un impeto “risorgimentale” di rinascita culturale dei popoli europei, recuperando l’orgoglio dei propri valori, della propria storia e cultura. Rilanciando e facendo vivere il motto dell’Unione Europea della “Unità nella diversità”. Ciò significa creare la società della convivenza in cui le diverse culture possano fondersi in una sola cittadinanza, cittadinanza intesa come “amicizia civica” e comunità di destini per usare una bella espressione di Monsignor Scola. Se si vogliono combattere le paure e costruire un sentimento di sicurezza è da qui che bisogna partire. Il governo efficace dell’immigrazione è misurabile dalla qualità della convivenza tra europei ed immigrati che si realizza nei singoli paesi dell’Unione Europea.   Questione cruciale eppure assente dal dibattito pubblico; questione cruciale perché il compito oggi è quello di definire un nuovo progetto di convivenza difronte alla constatazione che le forme storiche di integrazione - assimilazionismo e multiculturalismo -, con le diverse varianti nazionali, dimostrano la loro crisi ed insufficienza.    Le diseguaglianze incidono sulla partecipazione politica, sul sentirsi cittadino ed esercitare la propria cittadinanza. Oggi non ci sono solo le diseguaglianze economiche ma è diffuso un impoverimento delle relazioni umane e culturali. Come la lotta contro le diseguaglianze diventa anche lotta per la partecipazione attiva dei cittadini e per una democrazia più inclusiva?    In questi anni di crisi dei partiti si sono moltiplicate nuove forme di partecipazione attiva dei cittadini, che vede molto protagoniste le donne.  Bisogna conoscerle, valorizzarle, promuovere una rete, sollecitare un rapporto tra queste, le istituzioni ed i partiti.  I Comuni e le Regioni possono fare molto per valorizzare queste pratiche e per promuovere la partecipazione attiva dei cittadini.    E’ interessante conoscere le pratiche di buon governo che si connotano per la pratica della democrazia deliberativa e per la valorizzazione delle competenze dei cittadini nel governo della cosa pubblica e del bene comune. Sappiamo che la partecipazione attiva, la politica, la formazione delle persone sono state fortemente modificate dall’irrompere dei social media.   Come incidono sulla democrazia, come utilizzarli per far crescere il tessuto democratico e di partecipazione attiva? Le donne possono e devono svolgere un ruolo cruciale in questo tempo per rilanciare e ripensare una politica di giustizia sociale, di innovazione culturale e di rinascita della democrazia. Come si configura oggi il protagonismo femminile? Quanto è efficace ed incide nell’agenda politica del paese? Quanto e come si realizza una solidarietà tra generazioni? In questi anni si è formato un movimento femminista fortemente connotato dalla presenza di giovani, “Non una di meno”. Un fatto positivo. Vogliamo ascoltare dalla loro diretta voce il senso di questa esperienza anche per incoraggiarla. Sono convinta che per un azione politica efficace ed autorevole bisogna tenere insieme esercizio della leadership individuale e promozione della forza collettiva delle donne. Che sia essenziale per l’esercizio della propria autonomia la costruzione di una genealogia femminile anche nella politica. Conta la competenza, l’autorevolezza individuale ma anche il legame forte con il popolo delle donne. L’esperienza ci insegna che patti con gli uomini vanno fatti ma non da secondarie e subalterne. Per questo non basta la bravura individuale.    Ci vuole quel legame costante e convinto con la vita delle donne, bisogna investire nella relazione tra donne, che certo non è un pranzo di gala per le rivalità ed i conflitti sempre in agguato. Ma è la strada vincente. Dalle donne la forza delle donne.  DUE PROPOSTE Difronte al rischio di arretramento della condizione e della libertà femminile credo dobbiamo impegnarci a partire delle nostre pluralità a definire in modo condiviso un concreto PROGRAMMA su buona e piena occupazione, parità salariale, congedi parentali, servizi sociali, sostegni veri alla maternità, lotta contro la violenza sessuale, riconoscimento dei diritti-doveri dei migranti, da costruire insieme, per proporlo a una forte mobilitazione collettiva. Noi donne dobbiamo prendere di petto il tema dell’immigrazione da un preciso punto di vista, quello sempre trascurato e mai al centro del dibattito pubblico anche se praticato sul territorio: quello della civile convivenza tra italiani e nuovi italiani.   Per combattere la paura e costruire sicurezza bisogna fare la fatica di conoscersi, riconoscersi, superare le distanze, individuare obiettivi comuni, costruire alleanze nell’affrontare i problemi della vita quotidiana. Bisogna costruire mescolanza e cittadinanza basata sul principio dei diritti doveri. Bisogna investire sulle relazioni umane e sociali. Come dimostrano i successi della convivenza nelle nostre scuole. Bisogna coinvolgere i nuovi italiani nella dimensione pubblica, sollecitarli ad essere e sentirsi cittadini con diritti e doveri, partecipando attivamente alla vita della comunità.  Sarebbe importante se le Regioni, i Comuni, le Municipalità promuovessero i TAVOLI DELLA CONVIVENZA, luoghi di discussione, confronto e deliberazione in cui siedono una accanto all’altra associazioni di cittadini/e italiani e di nuovi italiani per affrontare insieme i problemi della comunità.   Un tempo vi era il Consigliere aggiunto o la Consulta degli immigrati. Oggi sono strumenti superati perché bisogna puntare sulla INTERAZIONE, sulla BIDIREZIONALITA’. Ma quegli strumenti non sono stati sostituiti da nulla. Siamo l’unico Paese in Europa in cui non esistono luoghi di partecipazione attiva dei migranti riconosciuti dalle istituzioni ed in cui non si è mai seriamente dibattuto di come i migranti partecipano alla vita della polis. Salvo la parentesi della legge 40/98 la legge dell’Ulivo, che prevedeva il diritto di voto locale per i migranti lungo residenti e la Commissione Nazionale per le Politiche di Integrazione, entrambe cassate dal Centrodestra. Potremmo cominciare noi donne a costruire un Tavolo della Convivenza tra le diverse associazioni di donne in dialogo con le istituzioni per affrontare in modo condiviso i problemi della nostra comunità.   E’ con i gesti nella vita quotidiana, è attraverso il legame umano e sociale, che si costruisce convivenza; è rendendo partecipi i nuovi italiani della dimensione pubblica che si combattono gli stereotipi e si rende la nostra democrazia realmente inclusiva. Non possiamo tacitamente avvallare la democrazia dei METECI in cui una parte consistente della popolazione che partecipa alla produzione del reddito e del benessere è per principio esclusa dalla partecipazione democratica. Significherebbe essere inadempienti rispetto all’articolo 3 della nostra Costituzione, rinunciare all’obiettivo di una democrazia inclusiva.   Il senso di queste proposte è quello di unire il pensiero con la pratica sociale che è il cammino lungo che sta difronte a noi per far rinascere la sinistra ed a cui ciascuno, credo, debba portare il suo frammento di impegno e di passione civica e politica.   Livia Turco

11 giugno 2018