Grazie Marisa Malagodi Togliatti, ringrazio Livia Turco per avermi 'costretto' a questa impegnativa lettura nei giorni cruciali della nascita del governo, ma poi proprio questa coincidenza è stata importante, lo dirò alla fine. Il volume è una raccolta di saggi, studi ponderosi con molti meriti, intanto quello di entrare in profondità nel rapporto anzi nell'apporto delle costituenti al testo della Carta. Che madri costituenti speciali sono state. Uscivano dalla guerra, quella guerra in cui per la prima volta nella storia moderna entrano in scena le donne. Per non uscirne mai più.
Tutti i saggi della parte prima tornano sull'apporto delle costituenti nei diversi temi. Turco, Orlandini, Morelli, Russo leggono con questa griglia, con questo punto di vista, con questi occhi di studiosa ma – lasciatemelo dire - anche di donna il dibattito della Costituente e delle commissioni. Ma siccome l'oggetto del dibattito sono i diritti fondamentali a cui ancora oggi aspiriamo, anche nella seconda parte del volume, quando si arriva a fare il punto sui nostri giorni, tutte le studiose fanno riferimento al dibattito della costituzione e ai diritti ben torniti e ben scolpiti in essa contenuti.
Ripercorriamo il lavoro straordinario delle 21 donne. Quando scrivo di donne nelle istituzioni sono abituata a pensare alla “presenza” femminile, non alla rappresentanza. Eppure qui si capisce che le 21 madri costituenti rappresentano la nazione, certo, ma anche tutte sentono fortemente il vincolo della rappresentanza femminile, la responsabilità storica di far entrare le donne nella vita istituzionale di questo paese. Tutte, anche con punti di vista politici opposti. E praticando assi di acciaio quando serve, anche l'unica deputata dell'Uomo qualunque. Bellissimi anche i ricordi dal vivo di Nilde Jotti e Tina Anselmi (Jervolino, Acquaviva Filippetto, Tarantelli. Amendola, Garavaglia, Palanza). E in un'atmosfera pesante: un collega, in una divertente storia del maschilismo, ha raccolto come la stampa descriveva le deputate in quegli anni: “la biondissima”, il “tailleur di shatung”, la sfuriata di Scalfaro trentenne contro la scollatura della collega Edith Mingoni.
E' un volume di grande livello e rigore, anche perché letto tutto dà una visione di insieme sull'Italia delle donne, di ieri e di oggi. Io che sono un'inguaribile militante quando affronto letture di questo genere ho sempre un pensiero, un pallino: che se ne tragga un bignami da distribuire nelle scuole medie e superiori. Mio figlio undicenne è tornato da una visita al Senato carico di opuscoli bellissimi e divertenti sulla storia della Repubblica. Io penso sempre che ce ne vorrebbe uno che con la stessa cifra semplice e diretta raccontasse delle pioniere della Costituzione, qualcosa che aiuti tutte le bambine che poi diventano giovani donne e che ambiscono o entrano nelle istituzioni ad essere consapevoli del loro diritto, certo, della libertà, certo, ma anche alla responsabilità che – non c'è dubbio – hanno quando entrano nelle istituzioni. Non c'è rappresentanza di genere, lo dicevo prima, e però la rappresentanza di genere gli uomini i maschi ce l'hanno tatuata nel Dna, come dimostra il dibattito della Costituente.
Dico solo due cose sull'oggi, visto che faccio l'inviata parlamentare e ho fatto questa lettura nel fuoco della discussione della fiducia al nuovo governo, in un caso anche mercoledì sui divani di Montecitorio. Interrogandomi sui tempi che corrono.
Questi saggi parlano, soprattutto nella parte prima, di donne Costituzione e Europa. (Bellissima la ricostruzione delle madri dell'Europa, ringrazio tutte fra tutte l'instancabile lavoro di Pia Locatelli, e Rita Palanza per il bel saggio su Jotti e l'Europa). Donne Costituzione Europa. Tre parole chiave di questi giorni, se messe insieme diventano un combinato disposto che già conterrebbe una parte ponderosa per un programma di opposizione.
Quanto alla Costituzione, circola l'ideona della riforma dell'art.67, il vincolo di mandato. Ma io non credo che nei prossimi tempi ci troveremo di fronte a proposte di riforme costituzionali. Magari avessimo una proposta chiara con cui confrontarci a viso scoperto, com'è stato nella scorsa legislatura. No, credo che la costituzione stavolta dovrà essere difesa da chi la modifica non con riforme o picconate ma trasformandola in una burletta, una roba di cui ridere. Come è successo per la messa in stato di accusa al capo dello stato, art.72: un istituto estremo nella vita repubblicana da maneggiare con estrema cura che invece viene trasformato deformato in uno scherzo. Oggi accuso il capo dello stato di alto tradimento, domani sorridi, eri su Scherzi a parte.
Quanto all'Europa, la battaglia oggi è più difficile di ieri. Lo scrive bene Garavaglia. La cito: “L'Europa non poteva che essere un'opportunità per o diritti delle donne” non c'è bisogno che spieghi perché dagli anni 50. Ma oggi, si chiede, “L'Europa conviene alle donne?”. Oggi la battaglia è più difficile. Per il lento declino delle politiche di genere, per i tagli al welfare che compromettono la qualità della vita delle donne, perché i sovranismi contestano l'Europa e di fatto propongono un modello di società conservatore e patriarcale. Oggi è più difficile: ma certo rimanere tra italiane non ci aiuterebbe.
E non voglio fare facile demagogia ma l'abbattimento del numero delle ministre non è mai una buona notizia, neanche in un governo di destra, anzi tanto più. Quella foto al Quirinale con quasi tutti uomini in blu e nero è anche brutta, una brutta foto in bianco e nero. Se penso alla Spagna, alla sontuosa scelta del nuovo governo socialista, undici ministre su 17. Un'operazione un po' ruffiana? Bene lo stesso.
In situazioni come queste bisogna serrare i ranghi, praticare quella trasversalità che non appartiene alla mia cultura politica ma che è, lo riconosco Livia, un'àncora di salvataggio in situazioni come queste. Quando un ministro della famiglia pensa di dover esordire nel suo mandato negando i diritti, persino l'esistenza delle famiglie arcobaleno (menomale che lEuropa c'è), oppure quando prova a mettere in dubbio la 194 , io sono certa che le stesse leghiste lo metteranno sull'attenti. Ma anche capisco che quel ministro, a quarant'anni sulla legge 194, tenta di far fare un salto di quarant'anni indietro al dibattito pubblico. Calunniate calunniate qualcosa resterà diceva Rousseau, autore che purtroppo abbiamo dovuto ristudiare in una luce nuova.
Non mi permetto di dare patenti a nessuna, ciascuna è libera di fare come vuole, però dico che quando sento la presidente del senato fare ironie sulla parola presidentessa, che è uno svarione grammaticale che nessuna di noi si sognerebbe di usare e tanto meno l'ex presidente della Camera Laura Boldrini - che ha fatto un lavoro coraggioso nella scorsa legislatura e non a caso subisce il linciaggio. Oppure quando sento la ministra della pubblica amministrazione impuntarsi per essere chiamata avvocato- verrebbe da rispondere con una preghiera, con il Salve Regina, “ orsù dunque avvocata nostra” ma è troppo scomodare la madonna - viene da sorridere, non è grave, anzi non è importante, ciascuno ciascuna si autodefinisce come vuole. Però è una piccola spia: che una donna ancora deve mettere una distanza dal suo essere donna per farsi prendere sul serio dal mondo che ha intorno. Non è grave, ma non è bello.
Quello che sta accadendo intorno alla Casa internazionale delle Donne di Roma invece è brutto e grave, e anche segno dell'indifferenza e dell'indifferenziato della proposta dei nuovi governanti. Io sono d'accordo che i conti quadrino, ma tutti, anche quelli della storia. Negare valore anche economico a una storia, negare la sua differenza, la storia di quella Casa, a pensarci bene significa negare la differenza delle donne. Sono “Forme ambivalenti e opache di neopratriarcato”, rubo la definizione a Anna Loretoni.
Aiutiamoci. Il manifesto uno dei pochi giornali diretti da una donna, credo l'unico, Norma Rangeri, non ha mai mai smesso di tenere una luce accesa sul lavoro delle donne. Se dev'essere una legislatura di resistenza intorno ai diritti conquistati, serreremo i ranghi. C'è energia ovunque, basta aprire un rubinetto, esce fuori: le ragazze di Non una di meno sono fortissime, le associazioni, le reti: non siamo un esercito sbandato o di sbandate. E non potremo accontentarci della resistenza. Le donne, lo spiegano bene i saggi della seconda parte del volume, sono ancora impari in molti campi. Impari innanzitutto nella povertà all'accesso al lavoro, “l'avamposto dell'emancipazione femminile” come scrive Graziella Falconi. Temi su cui non dico nulla perché non vedo l'ora di ascoltare nel pomeriggio Chiara Saraceno.
Ricordo a me stessa che la condizione delle donne è un referto di civiltà, mutuo la definizione da quella che i magistrati usano quando parlano delle carceri. Non possiamo tornare a questo.
Chiudo. Ringrazio Livia Turco per il suo instancabile impegno. In questo caso per aver messo insieme un lavoro che ci invita all'impegno, e ci ricorda che siamo “cittadine speciali”, come scrive Loretoni. E che ci invita a sentire oggi più di ieri questa responsabilità, con lo strumento di lotta miltante che è quello delle donne, lo studio e l'incrocio degli sguardi.
Daniela Preziosi
11 giugno 2018