C’è una voce che più di tutte colpisce e che si è levata nella tragedia internazionale, non ancora risolta, compiuta in una delle democrazie più imitate in cui si è brutalmente deciso di separare i figli dai loro genitori ed è quella di Melaina Trump.
Il pianto di creature innocenti che invocavano la presenza della mamma o del papà o di un parente, ha suscitato immediatamente la reazione contraria della First Lady che, dalla East Wing, ha definito questa pratica disumana ribadendo, con fermezza, che le famiglie devono essere tenute insieme.
Una denuncia in totale disaccordo con quella del marito, il terribile, Donald, Presidente niente meno che degli Stati Uniti di America, il quale proprio nelle stesse ore dichiarava che la sicurezza degli americani deve essere garantita a tutti i costi. Dopo le dichiarazioni di Melania altre importanti personalità, perfino la gelida Theresa May, hanno preso posizione contro una delle più inaccettabili delle violazioni dei diritti fondamentali degli esseri umani perché compiuta contro dei minori.
Fa riflettere questo atto plateale di dissenso, espresso senza mezzi termini, dalla moglie di uno degli uomini più potenti del mondo e in un paese in cui ancora oggi la posizione accessoria della moglie del Presidente mette in subordine, quasi de facto, l’autonomia di pensiero di chi quel posto riveste. È un ruolo, quello della first lady, a cavallo tra la politica ed il folclore, che si esprime tutto tra le pagine patinate interessate al dettaglio delle cuciture dei vestiti, in un mondo in cui l’abito femminile fa ancora la monaca, in un modo o nell’altro.
La determinazione di Melania su questo tema è stata così forte che alle parole ha fatto seguire i fatti, recandosi in visita alla frontiera tra Usa e Messico in uno dei centri in cui sono ospitati i bambini. Una decisione, fanno sapere dal suo staff, presa, anche questa volta, autonomamente. Colpisce a fondo la forza della signora Trump, che rivela, ancora una volta, quanto sia fondamentale la presenza del genere femminile nei luoghi di comando e di gestione del potere. Il problema è quanto mai italiano, oggi più che mai, in cui i vertici, dal premier ai vice, all’esecutivo prettamente maschile, esprimono un tratto machista della politica, nonché una evidente disumanizzazione nel trattare le questioni dei diritti fondamentali.
Esigenza che non può essere tradotta nella banale lettura di una naturale inclinazione delle donne alla commozione per la sofferenza dei più deboli, ma semmai presa di coscienza che la doppia visione di genere, in ogni ambito e grado, arricchisce il dibattito politico e fa assumere decisioni più conformi ai dettati normativi.
Del resto, anche il signor Trump ha dovuto fare marcia indietro, dopo le proteste della moglie, affermando che le famiglie non possono essere divise. Torna attuale - in un mondo in cui sempre più il potere maschile si afferma prepotentemente e relega le donne a funzioni esecutive o secondarie - il dibattito sulle pari opportunità per donne e uomini nell’accesso alle professioni e ai ruoli istituzionali per eliminare le grossolane prese di posizioni che un ambiente solo maschile riesce a produrre.
È lo scambio tra visioni diverse il valore aggiunto che diviene patrimonio di tutti e che produce, indubbiamente una società più giusta e più equa. Ci vuole poco per arretrare sul piano del riconoscimento dei diritti e nulla è per sempre acquisito, la storia ci insegna, finché non si costruisce un terreno culturale in cui le donne e gli uomini sono scelti sulla base delle loro competenze e non per l’appartenenza ad un genere
Avv. Andrea Catizone
Esperta in diritti umani e dei minori
Presidente Associazione Family Smile
29 giugno 2018