Maria Eletta Martini era una donna semplice e gentile che trasmetteva da ogni suo gesto e parola una profonda autorevolezza. L’avevo conosciuta quando entrai alla Camera nel 1987. Ero arrivata con tante altre giovani colleghe sull’onda di una battaglia che noi donne del PCI avevamo condotto e vinto, quella della Carta delle Donne che diceva “dalle donne la forza delle donne”. Eravamo il 30 per cento del gruppo parlamentare comunista, giovani e colorate e questo strideva con l’altro emiciclo dell’aula parlamentare, prevalentemente grigio e maschile.
Maria Eletta Martini allora era dall’altra parte dell’aula: a sinistra il PCI, al centro e a destra la DC. Lei era un’autorevole esponente della DC, una parlamentare di lungo corso, ed era molto incuriosita da quella pattuglia di giovani e colorate parlamentari che erano arrivate per la prima volta. Una curiosità da cui traspariva un profondo rispetto per chi stava all’altra parte e, soprattutto, per la storia e la realtà dei comunisti italiani. Lei era stata relatrice di alcune grandi Leggi come la 194 sull’aborto. Rileggendo il dibattito parlamentare che ha accompagnato l’approvazione della medesima sono rimasta colpita dalla profondità del suo pensiero, della fermezza dei suoi principi ma anche della sua capacità e del suo sforzo di capire l’altro, di raccogliere la verità del pensiero diverso dal suo.
Resta una pagina di alta politica e alto dibattito parlamentare il confronto che in merito ci fù tra lei Giglia Tedesco, senatrice del PCI. L’ho sempre sentita una donna del dialogo, promotrice della politica del bene comune e della dedizione agli altri. Ho ammirato il suo impegno e le sue battaglie per il rinnovamento della DC e per l’affermazione della moralità nella politica. Non seguiva da vicino le tematiche delle donne che, allora, costituivano il mio principale impegno.
Le mie interlocutrici del tempo erano Rosa Russo Iervolino, Paola Colombo Svevo, Albertina Soliani e Silvia Costa. Ma lei mi era molto simpatica e mi sollecitava una grande attenzione. Fu naturale incontrarla nell’Ulivo e ricordo la discrezione con cui venne a trovarmi quando ero Ministro della solidarietà sociale e tra le altre cose mi occupavo del volontariato e di quella Legge, la 266 che Rosa Russo Iervolino, da Ministro, e lei promossero con grande determinazione. Mi raccomandò di non guardare solo alle grandi organizzazioni ma anche al volontariato più minuto, a favorire la costruzione delle reti di volontariato nella consapevolezza però che la sua forza era nel radicamento territoriale e nella vicinanza delle persone.
Insomma, la sua preoccupazione era quella di evitare il paradosso per cui l’attenzione delle istituzioni al volontariato ed il suo diventare importante lo burocratizzasse e gli facesse pendere la sua carica originaria che è la profondità e la autenticità del legame con le persone. Mi è spiaciuto di non averla più incontrarla per continuare quella discussione sulla politica, sul volontariato, sui temi sociali.
E’ stata una parlamentare autorevole, una protagonista della politica intesa come bene comune, una donna retta e semplice. Come era il suo portamento e il suo sguardo. Elegante ed aperto agli altri.
Livia Turco
27 dicembre 2011