Le nuove forme della partecipazione politica. di Elena Pavan (intervento al convegno le Donne e le nuovre sfide della democrazia)

Buongiorno a tutte e a tutti. Vi ringrazio molto per l'invito a partecipare a questa occasione di discussione, confronto e apprendimento reciproco. Come ricercatrice ma, soprattutto, come cittadina sono onorata di poter dare il mio contributo a questa giornata.


Nella mia attività di ricerca, mi occupo di studiare la complessa relazione che esiste fra i media, in particolare quelli digitali, e la partecipazione delle cittadine e dei cittadini alla vita politica del proprio paese. In generale, mi occupo di quella che convenzionalmente viene chiamata “partecipazione politica non convenzionale”, cioè di tutti quei modi di prendere parte alle dinamiche politiche che si svolgono al di fuori dei meccanismi di partecipazione istituzionalizzati, come le elezioni.

 

Quella tra media digitali e partecipazione politica è una relazione molto importante, soprattutto quando riguarda quei soggetti, quelle istanze e quei discorsi che difficilmente entrano in maniera paritaria nei luoghi in cui il cambiamento “formale” si cristallizza – come, ad esempio, le aule dei parlamenti. Gli spazi di partecipazione aperti dai media digitali sono infatti luoghi di produzione di conoscenza – una conoscenza situata, radicata nell’esperienza vissuta nella quotidianità e che è l'unica che può rendere leggi e provvedimenti ufficiali veramente rappresentativi ed efficaci.

 

Ma di che cosa parliamo quando affrontiamo il tema delle nuove forme della partecipazione politica? Un buon punto di partenza per ragionare su questo tema credo stia nel ragionare sul significato della parola “nuovo”. Per fare questo, utilizzo uno dei volumi più importanti per chi, come me, ha l'onere e l'onore di “produrre senso e significato” sulla realtà che ci circonda – cioè, il dizionario della lingua italiana. Il dizionario definisce “nuovo” come qualcosa che si contrappone a qualcos'altro di vecchio o a qualcosa di usato. In secondo luogo, descrive il “nuovo” come sinonimo della “prima età” e, quindi, dell'inesperienza. Come sostantivo, il “nuovo” costituisce il contenuto di esperienze che si affrontano per la prima volta.

 

In realtà, la partecipazione politica nell'epoca del digitale non è strettamente definita da nessuno di questi quattro elementi. Non si contrappone, infatti, a forme dell'impegno civico alle quali abbiamo prestato maggiore attenzione finora ma, piuttosto, con queste sta in una relazione di continuità.

 

Non è neppure qualcosa che sostituisce qualcos'altro che non funziona più, come quando possiamo cambiare una macchina che non ci porta più da nessuna parte – perché, ad esempio, le cittadine ed i cittadini continuano a votare e ad iscriversi ai partiti (anche se con qualche variazione nel tempo). Non è neppure qualcosa della quale non abbiamo esperienza, che non abbiamo avuto modo di conoscere progressivamente. Vale la pena ricordare, infatti, che le radici di internet possono essere rintracciate ormai a cinquant'anni fa e gli stessi Facebook e Twitter sono piattaforme che hanno ormai 14 o 15 anni.

 

Poiché la partecipazione politica permessa dai media digitali non è nessuna di queste quattro cose, definirla “nuova” non è la strategia migliore. Per me, piuttosto, è opportuno pensare alla partecipazione politica di oggi come un ibrido. In questo modo, non penseremo che sia qualcosa di totalmente sconosciuto, inaffrontabile e non conoscibile, ma non penseremo neppure che tutto sia rimasto “come un tempo”. Allo stesso tempo, pensare alla partecipazione politica come un ibrido ci permette di ragionare su quelle che sono le peculiarità delle dinamiche di partecipazione oggi e di metterli in relazione con le forme della partecipazione politica che abbiamo conosciuto fino ad oggi – per comprendere che cosa c’è di davvero “nuovo” e dove, invece, si continua a portare avanti istanze e proposte come abbiamo sempre fatto.

 

La prima peculiarità consiste nell’ampliamento degli spazi della politica. Questi, infatti, non sono più solo gli spazi fisici delle piazze, delle assemblee, o delle riunioni e degli incontri fra pari ma sono anche gli spazi discorsivi offerti dalle piattaforme digitali - dai siti ai social media. L'ampliamento degli spazi della politica genera una serie di implicazioni. La prima è quella di portare all'estremo uno dei presupposti principali della riflessione femminista secondo il quale “Il personale è politico” - arrivando a rendere tutto il “privato” come politico. Le istanze di partecipazione sono infatti oggi portate avanti senza soluzione di continuità in tutti gli spazi in cui agiamo abitiamo e viviamo, da quelli pubblici a quelli più privati della nostra quotidianità.

 

In questo senso, viene meno uno dei presupposti principali delle teorie della partecipazione politica cioè la necessità dell'appartenenza ad una organizzazione che funga da intermediario e da coordinatore per le diverse necessità e bisogni di partecipazione. In questi spazi del digitale, infatti, l'impegno politico è fatto di condivisioni di esperienze e di situazioni particolari che si riconoscono come simili pur in assenza di una conoscenza diretta o di appartenenze formali.

 

I partecipanti sono il secondo elemento peculiare di queste dinamiche di partecipazione ibride. Sappiamo dalle ricerche più recenti su dati di partecipazione in Europa che l'educazione, il genere ed il reddito sono fattori che continuano ad influenzare la propensione alla partecipazione attiva (tipicamente, a favore di uomini educati con redditi medio-alti). In un contesto come quello italiano in cui Facebook è utilizzato da 30 milioni di persone e quasi equamente da donne e uomini, le determinanti tipiche della partecipazione sembrano contare leggermente meno.

 

Un numero sempre maggiore di studi mostra che gruppi tradizionalmente poco mobilitati, in particolare le donne e giovani, partecipano a discussioni nello spazio del digitale e sempre maggiormente anche ad azioni nello spazio “offline” - come firmare le petizioni o partecipare a dimostrazioni e cortei. Attraverso l'utilizzo dei mezzi di comunicazione digitale, questi soggetti possono compensare scarse disponibilità biografiche - in primis, la mancanza di tempo – ed accedere ad un maggior numero di risorse informative.

 

Questo è molto importante perché le istituzioni tendono a considerare maggiormente le istanze portate avanti dai segmenti attivi della popolazione. Vediamo oggi molti esempi di come una maggiore visibilità ed attività online possono portare in alto nell’agenda pubblica ma anche in quella politica le questioni di genere - è il caso in Italia del movimento Non Una Di Meno e, a livello internazionale, del movimento del #metoo (ma anche di tanti casi di campagne sugli abusi perpetrati degli spazi digitali che non siamo abituati a riconoscere).

La terza peculiarità della partecipazione digitale è costituita dalle forme che l’azione politica prende. La teoria dei movimenti sociali ci insegna che in tempi e luoghi diversi soggetti in protesta utilizzano repertori differenti che derivano dalla loro conoscenza del mondo, da quello che credono essere il modo in cui questo mondo si vive e si può cambiare, e che dipendono anche delle risorse a loro disposizione.

Dove le marce dei contadini latinoamericani culminano con il lancio verso i palazzi delle istituzioni di prodotti agroalimentari prodotti nelle colture intensive all’interno delle quali vengono sfruttate, i soggetti attivi nell'era digitale lanciano hashtag di protesta, condividono contenuti, realizzano pagine pubbliche o account di protesta, oppure sfruttano i meccanismi di funzionamento della rete internet per colpire target come server o siti istituzionali.

Queste forme di partecipazione e, più spesso, della protesta sono state paradossalmente o totalmente esaltate per la loro novità (arrivando a sostenere che le rivoluzioni delle Primavere Arabe sono state twittate) oppure pesantemente mortificate partendo dal presupposto che il vero attivismo sia soltanto quello di fatto di scontri e di presenza fisica. In realtà, la diffusione dei media digitali porta senza dubbio ad una maggiore facilità di coinvolgimento di un gran numero di individui, ad un costo più basso di quello che caratterizza l’azione di piazza, e con la creazione veloce di alleanze trasversali. Tuttavia, non si tratta per questo di un attivismo “facile”. Innanzitutto, si tratta di una partecipazione che nasce dalla disponibilità di risorse di accesso e di competenze che, anche se maggiormente diffuse, non sono ugualmente distribuite all’interno della società. In secondo luogo, per essere efficaci, queste forme della partecipazione devono passare dall’essere semplicemente “collettive” ad essere genuinamente “condivise”.

Questo mi porta al quarto elemento peculiare della partecipazione ai tempi del digitale – cioè il tipo d'identità collettive che sostengono i progetti di cambiamento portati avanti dai cittadini delle cittadine che partecipano attraverso i media digitali. È importante sottolineare che, nello spazio online, non esiste nessun altro modo di organizzarsi che non sia una rete poiché sono le tecnologie di comunicazione che utilizziamo ad essere esse stesse tecnologie di rete. Questi strumenti nascono per creare connessioni e, di conseguenza, la rete è sempre un punto di partenza e mai, come siamo abituati forse a pensare, un punto di arrivo. In questo senso, caricare di valore e impegno civico qualsiasi conversazione online soltanto perché fatta “in connessione” con altri o definirla “condivisa” soltanto perché è “collettiva” significa commettere una pericolosa ingenuità (o strumentalizzazione).

Da un lato, infatti, questo carica di aspettative ingiuste ogni dinamica di conversazione che viene vista al pari di un movimento - quando invece lo studio dei movimenti ci ha insegnato che non basta la copresenza di un gruppo di persone per dare vita da azioni collettive di cambiamento. Dall'altra parte, queste caratterizzazioni delegittimano l’effettiva possibilità e le potenzialità che le piattaforme hanno di dare vita a programmi di cambiamento condivisi. È quindi sempre più importante non fermarsi alla sola esistenza di queste reti di comunicazione ma “aprirle” e “guardarci dentro”, coglierne i contenuti ed i meccanismi di funzionamento e sviluppo.

A fronte di queste quattro peculiarità, le dinamiche di partecipazione nello spazio del digitale condividono anche alcuni elementi chiave delle forme di partecipazione più “tradizionali”. Due elementi di similitudine mi sembrano particolarmente importanti. Il primo è che, anche se avvengono nello spazio del digitale, le dinamiche di partecipazione online non avvengono nel vuoto istituzionale, anzi.

C’è sempre un contesto politico che le motiva, che le accoglie o che le ignora, come pure c’è un contesto sociale all’interno del quale si sviluppano e vengono nutrite. È vero che le ricerche ci mostrano che non vi è una relazione diretta fra un determinato modello di welfare ed i tassi di mobilitazione delle cittadine dei cittadini. Tuttavia, è anche vero che il sistema di welfare è responsabile per la gestione delle risorse che fanno delle tradizionali determinanti della partecipazione (il genere, il reddito, il grado di educazione) delle discriminanti di partecipazione.

Il fatto che nello spazio digitale le donne riescano ad esprimersi più liberamente a rendere visibili le loro istanze non può e non deve rimanere qualche cosa che riteniamo sufficiente a colmare un divario di partecipazione e, di conseguenza, di rappresentatività. Piuttosto, deve essere un primo passo per continuare a perseguire pari opportunità – nel poter partecipare e nel poter essere ascoltati.

Un secondo elemento che non è cambiato con la diffusione dei mezzi digitali è il ruolo che gioca l'insoddisfazione verso il contesto sociale e politico che ci circonda. L’insoddisfazione è e continua ad essere una delle motivazioni più forti per la partecipazione attiva. Questo riguarda anche il grado di soddisfazione (o, più spesso, di insoddisfazione) che le cittadine ed i cittadini sentono anche nei confronti dei loro rappresentanti politici. Certamente, la diffusione dei media digitali moltiplica le voci che danno sostanza a questo “sentirsi insoddisfatti”. Tuttavia, internet, Facebook e Twitter non creano, da soli, la protesta – che continua ad essere un fenomeno sociale.

Di conseguenza, queste piattaforme non generano la crisi dei partiti e delle tradizionali istituzioni di rappresentanza, che invece genera dall’incapacità di gestire in modo efficace il senso di ingiustizia e insoddisfazione che le piattaforme ci mostrano. Non bisogna quindi stupirsi se, online quanto offline, le cittadine ed i cittadini “si lamentano”. Certamente, le forme ed i modi in cui ciò avviene devono rimanere all’interno di confini precisi di educazione, rispetto, e civiltà. Ma non possiamo confondere i modi dell’espressione con il sentire, né imputare alle piattaforme una responsabilità che non hanno.

Dell’ingiustizia e dell’insoddisfazione sono le istituzioni, i partiti, colori che hanno la responsabilità di gestione o di partecipazione alla gestione della cosa pubblica a doversi fare carico. E quando si decide che ci si fa portatori di un senso si insoddisfazione, il compito è risolverla, non trasformarla in un paravento per altre progettualità politiche. Questo era e, per me continua ad essere, il significato dell’impegno politico – con e senza media digitali.

Grazie a tutte e a tutti.

Elena Pavan

Scuola Normale Superiore

14 giugno 2018