Chi scrive ritiene che meriterebbe una riflessione maggiore l'applicazione stessa delle categorie uomo-donna: siamo quello che siamo e non si capisce perché dovrebbero esistere due sessualità e non infinite sessualità, quanti sono gli esseri umani. Ribadita tale premessa, quando si passa nel ragionare dal livello teorico alla realtà contingente, bisogna però riconoscere la realtà così com'è e non come dovrebbe essere nel migliore dei mondi possibili.
Il "Global Gender Gap Report 2018", redatto dall'autorevole World Economic Forum, colloca l'Italia al 70° posto nella classifica mondiale sul gender-gap (discriminazione di genere). Il nostro paese si situa addirittura al 118° se si considera la partecipazione e le opportunità offerte alle donne. Se questi numeri da soli non riescono a suscitare in noi la dovuta preoccupazione, dovrebbe far riflettere il fatto che ci collochiamo "dietro" a paesi considerati - evidentemente nonché erroneamente - più "arretrati" di noi (Bangladesh, Botswana, Kazakistan o Mozambico).
Chi scrive ritiene che meriterebbe una riflessione maggiore l'applicazione stessa delle categorie uomo-donna: siamo quello che siamo e non si capisce perché dovrebbero esistere due sessualità e non infinite sessualità, quanti sono gli esseri umani. Ribadita tale premessa, quando si passa nel ragionare dal livello teorico alla realtà contingente, bisogna però riconoscere la realtà così com'è e non come dovrebbe essere nel migliore dei mondi possibili. Non possiamo perciò negare che il problema della discriminazione delle "donne" continui a essere una reale piaga nel nostro paese. La filosofa Nicla Vassallo conclude il suo nuovo volume Non annegare: meditazioni sulla conoscenza e sull'ignoranza constatando come il possibile ruolo delle donne contro l'ignoranza si scontri ancora con il fatto che nel mondo proprio le donne sono state costrette e sono ancora costrette all’ignoranza, negando loro un’istruzione proposizionale adeguata, mentre il critico d’arte Sabino Maria Frassà cura una mostra dal titolo Una stanza tutta per me.
A nostro avviso il problema è che quando si parla di parità di genere l'istruzione scolastica è fondamentale - e va perciò difesa - ma da sola risulta sufficiente. Una cultura di stampo machista e stereotipata in Italia ancora esiste e purtroppo gode di ottima salute. E' proprio il sistema valoriale, la non-cultura diffusa, a non aiutare la maggior parte delle donne a emanciparsi a livello intellettuale e socio-economico. Il persistere di tale cultura, stratificatasi nei secoli, è perciò a nostro avviso la maggiore causa della discriminazione di genere, che spesso ancora oggi degenera e sfocia spesso in fenomeni di violenza psichica e fisica contro le donne. Certo l'età anagrafica conta e si spera che le nuove generazioni percepiscano meno l'influsso di tali schematismi mentali e che non si stupiscano affatto (né positivamente, né negativamente) se a essere arbitro, procuratore sportivo, politico o pilota e via dicendo sia un uomo o una donna. Non si può però sperare che l'attuale sistema di comunicazione, sempre più fluido e fondato sulla socializzazione di notizie spesso infondate, sia la "nuova cultura" in grado di rimpiazzare la "vecchia cultura" machista stratificatasi nei secoli. Il rischio è addirittura che al di là delle giornate celebrative, i social costituiscano veicoli di stereotipi e pericolosi pregiudizi difficili poi da disinnescare e combattere.
Come si può allora costruire una nuova cultura alternativa o meglio complementare, che integri, migliori e vada oltre a quella del passato? Banale a dirsi ma laricetta che l'Italia sembra non assimilare è sempre la stessa: famiglia (da chiunque essa sia composta), importanza dell'esempio e responsabilità collettiva/senso civico. Nel nostro Paese, così concentrato sulla definizione di "genere", sembra in realtà sempre più scemare il ruolo pro-attivo dell'educazione in famiglia: così senza quasi alcun filtro o regia tale "onere" viene delegato - per fatica, incapacità o impossibilità - all'esterno, alla scuola, ai mezzi di comunicazione e persino ai social. Inoltre in Italia ancora troppo rare sono le donne che ricoprono incarichi di potere o prestigio non per il fatto di essere donne, bensì per la loro indiscussa autorevolezza e competenza. Lungi dall'auspicare il ritorno di una sbiadita e a volte imbarazzante casa regnante, sebbene all'Italia sia forse mancata o manca oggi una figura femminile comela Regina Elisabetta: quale suddito inglese vede nella Regina una donna e quanti invece vi vedono un o il simbolo di garanzia e autorevolezza? In Italia dopo la morte di due menti eccelse quali Rita Levi Montalcini e Margherita Hack, troviamo sì scienziate di valore (vedi Elena Cattaneo), eppure spesso dobbiamo accontentarci di donne "gingillo" dell'uomo potente di turno, così come ad esempio le intendeva Nietzsche? Ci dobbiamo appagare di selfie della fidanzata di un ministro dalla camera da letto? Ci dobbiamo accontentare di media che si dedicano a tali aspetti?
Saranno quindi forse un giorno queste donne a ribellarsi all’ignoranza e al populismo dilagante per ricondurci sulla strada della conoscenza?
Senz'altro non saranno tutte le donne, ma quelle che intendono intimamente a fare la differenza. Saranno quelle donne che si sentiranno e ribadiranno di valere in quanto esseri umani pensanti al di là di come intendono la propria sessualità. Affinché ciò avvenga è tuttavia necessario che siano abbattuti limiti e barriere non solo a livello educativo, ma anche culturale: basta dedicare pagine e minuti a e di programmi che indugiano su stereotipi di genere o di altro tipo (ripensiamo ai titoli di noti programmi televisivi con "pupe", "donne" e "rich kids"); basta con le quote rosa che finiscono con l'equiparare le donne ai nativi americani nelle riserve; basta con il buonismo e la scarsa meritocrazia. Anche un filosofo illuminato come Cartesio, che amava il dialogo, non dialogava con tutte le donne (né con tutti gli uomini), ma "solo" con tutti quegli esseri umani (donne e uomini) capaci di riflettere e di nutrire i propri dubbi più che le proprie certezze.
Fino a quando la cultura collettiva e condivisa non cambierà, ciò non sarà possibile. Continueremo ad avere sempre minori "illustri esempi", eccezioni che confermano una triste normalità di disuguaglianza.
Cosa fare? La cultura non viene solo dall'alto, anzi. Sta a noi tutti celebrare la prossima Festa della Donna intendendola come festa contro le discriminazioni di genere, perché un domani si possa infine abolirla. Come già ricordato tante volte, non si può teorizzare di celebrare infinite giornate incentrate su specifiche diversità, poiché ciò significa infine attribuire un diverso valore alle diversità, non riconoscerne alcune e non affrontare il problema alla radice: siamo tutti e tutte minoranze e siamo tutti e tutte diversi e diverse. Perciò quando riusciremo l'8 marzo a festeggiare non la Festa della Donna, ma la Festa di tutti esseri umani unici, diversi e irripetibili?
Nicla Vassallo e Sabino Maria Frassà
04 marzo 2019