Sempre meno figli e sempre più tardi di Grazia Labate

Il quadro che ci consegnano i dati e le ricerche in campo sociale è quello di famiglie che vivono in un contesto di forti difficoltà, spesso gravate dal peso di funzioni di protezione sociale e di cura dei propri componenti. E anche quando il desiderio di avere un figlio è forte nella coppia, tocca fare i conti con la natura, con quell’orologio biologico, che poi sempre sulla donna consegna il carico dei rischi di fare un figlio ad età avanzata. 


Sono oltre 5 milioni le nascite nell'UE nel 2017.Le donne nell'UE hanno il primo figlio in media a 29 anni. Nel 2017, 5.075 milioni di bambini sono nati nell'Unione europea (UE), rispetto ai 5.148 milioni del 2016. Il tasso di fertilità totale nell'UE era pari a 1,59 parti per donna nel 2017, rispetto a 1,60 del 2016. Il più alto tasso di fertilità totale dall'inizio delle serie temporali comparabili si era avuto nel 2010 quando ha raggiunto 1,62, ancora al di sotto del livello di sostituzione, che è considerato pari a 2,1 nati vivi per donna.

 
Tra i 5.075 milioni di nascite, il 45% riguardava il primo figlio, il 36% un secondo figlio e il 19% un terzo o successivo bambino. In media nell'UE, le donne che hanno dato alla luce il loro primo figlio nel 2017 avevano 29,1 anni.  L'età media è gradualmente aumentata da 28,7 nel 2013 a 29,1 nel 2017.
 
Quasi il 5% delle nascite dei primi figli nell'UE nel 2017 riguardava donne di età inferiore ai 20 anni (madri adolescenti) e circa il 3% le donne di 40 anni e oltre.
 
Queste informazioni provengono da dati pubblicati di recente da Eurostat, l'ufficio statistico dell'Unione europea. Il tasso di fertilità più alto si è avuto in Francia. Nel 2017, la Francia (1,90 nati per donna) era lo Stato membro con il più alto tasso di fertilità totale nell'UE, seguono Svezia (1,78), Irlanda (1,77), Danimarca (1,75) e Regno Unito (1,74). 
 
Al contrario, i tassi di fertilità più bassi sono stati osservati a Malta (1,26 nascite per donna), Spagna (1,31), Italia e Cipro (entrambi 1,32), Grecia (1,35), Portogallo (1,38) e Lussemburgo (1,39).

Il tasso di fertilità totale, 2017 nell’UE è pari a 1,59. Per la prima volta le madri più giovani le troviamo in Bulgaria e Romania, le più anziane in Italia, Spagna e Lussemburgo. Nel 2017 l'età media delle madri al primo parto variava tra gli Stati membri dell'UE. La media più bassa l'età del primo parto è stata registrata in Bulgaria (26,1 anni), seguita da Romania (26,5), Lettonia (26,9), Slovakia (27.1), Polonia (27.3), Lituania (27.5) ed Estonia (27.7). 
 
Al contrario, l'età della madre per il primo parto era superiore a 30 in Italia (31,1 anni), in Spagna (30,9), in Lussemburgo (30,8), in Grecia (30,4) e in Irlanda (30,3). In Bulgaria e in Romania circa il 14% dei primi figli sono nati da madri adolescenti.
 
Le quote più alte di nascite di un primo figlio a madri adolescenti (meno di 20 anni) sono state registrate in Romania (13,9% delle nascite totali del primo figlio nel 2017) e Bulgaria (13,8%), davanti all'Ungheria (9,9%), Slovacchia (9,5%), Lettonia (6,7%) e Regno Unito (6,1%). 
 
D'altra parte, le quote più basse sono state osservate in Danimarca (1,5%), Italia e Slovenia (entrambe l'1,6%), Paesi Bassi (1,7%), Lussemburgo (1,9%) e Svezia (2,0%). Al contrario, le proporzioni più alte di nascite di un primo figlio a donne di 40 anni e oltre sono state registrate in Spagna (7,4% delle nascite totali di primo figlio nel 2017) e Italia (7,3%), seguita da Grecia (5,6%), Lussemburgo (4,9%), Irlanda (4,8%) e Portogallo (4,3%).
 
Nel 2017 nell'UE , l'81,5% delle nascite riguardano il primo o il secondo figlio, mentre le nascite di terzi figli hanno rappresentato il 12,5% delle nascite totali, e il quarto o i bambini successivi hanno rappresentato il 6,0%.

In tutti gli Stati membri dell'UE, la percentuale più elevata di madri che hanno partorito il loro quarto o successivo figlio è stata registrato in Finlandia (10,3%), seguito da Irlanda (9,0%), Regno Unito (8,8%), Slovacchia (8,1%), e Belgio (8,0%).
 
Dunque non c’è nessuno in Europa che abbia un’età del primo figlio così alta come quella italiana. La verità è che i giovani sono sempre più costretti a spostare in avanti il raggiungimento dell’autonomia rispetto ai genitori, e l’età media di uscita da casa è ormai a 30 anni, mentre nel resto d’Europa si attesta sotto i 25.

E una volta che si arriva a una certa età, le possibilità sono due: o rinunci ad avere un figlio, o non vai oltre il primo. Non a caso, il numero medio di figli per donna da noi è , tra i più bassi d’Europa.

Il primo figlio si fa già molto tardi, poi sorgono le complicazioni legate all’età, ma ciò che più conta sono le difficoltà economiche, legate all’assenza o alla precarietà del lavoro e all’impossibilità di conciliare lavoro e famiglia.
 
I dati non fanno ben sperare, visto che la povertà continua a crescere proprio tra i più giovani. 
Le cifre del 2017 dicono che se il capofamiglia è over 65 il rischio di povertà assoluta è del 3,9 per cento. Mentre se il capofamiglia è under 35 sale al 10,4 per cento. Più del doppio. Le condizioni lavorative e di remunerazione peggiorano. È in mezzo a tanta instabilità e precarietà fare un investimento di lunga scadenza, come può essere quello di avere un figlio, diventa difficile.
 
Secondo i dati raccolti dal Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, i ragazzi italiani vorrebbero diventare genitori a 28 anni e fare almeno due figli. Ma nella realtà aspettano almeno tre anni in più e fanno un figlio in meno. Il risultato è che l’Italia è tra i Paesi con il più alto numero di donne senza figli, più del 20% tra i 40 e i 44 anni. A guidare la classifica della natalità in Europa sono invece i vicini francesi, con quasi 2 figli (1,96) per donna – circa la media necessaria perché la popolazione di un Paese rimanga costante – e un’età media del parto del primo figlio intorno a 28 anni.
 
Naturalmente bisogna riconoscere che oltralpe hanno messo in atto da tempo un progetto organico di politiche per la famiglia. Un mix di politiche fiscali, conciliazione lavoro-famiglia, investimenti in asili nido con congrui orari, politiche aziendali favorevoli alle famiglie e grossi sforzi di inclusione dei giovani nel mondo del lavoro. Tutte cose che da noi sono molto carenti se penso che appartengo a quella generazione che negli anni ’70 scendeva in piazza per avere una legge sugli asili nido e che ad oggi, ottenuta la legge in quegli anni, che siano pubblici o privati, poco importa, gli asili nido italiani sono in grado di accogliere appena 175mila bambini su una platea potenziale che si avvicina al milione e mezzo di individui. La fonte è Istat, i numeri fanno riferimento al 2015. Non recentissimi, va detto, ma per quanto riguarda gli utenti degli asili nido, si tratta dei più recenti messi a disposizione dall’istituto nazionale di statistica.  Dati che affermano come l’Emilia Romagna sia la regione con la maggiore offerta: qui gli asili nido accolgono il 23,75% degli utenti potenziali, sostanzialmente il doppio rispetto alla media nazionale. Bene anche la Valle d’Aosta (22,31%) e la Toscana (20,88%). 
 
All’estremo opposto, la Sicilia (4,72%), la Campania (2,55%) ed infine la Calabria con l’1,8% di bambini che frequentano l’asilo nido. Si tratta di uno su cinquanta, per dirlo in un’altra maniera. Come a dire che ci sono zone del Paese nelle quali prima di rendere gli asili nido gratuiti, come recita uno dei punti del contratto di governo, bisognerebbe cominciare a costruirli. Secondo gli ultimi dati forniti dall’Ispettorato del lavoro, nel 2017, 25mila mamme italiane hanno abbandonato il posto di lavoro. La ragione principale sono le grandi difficoltà che incontrano nel riuscire a lavorare e prendersi cura dei propri figli contemporaneamente.
 
Tra i costi alti dei nidi, gli stipendi bassi, i contratti precari, i nonni spesso ancora al lavoro e una divisione del lavoro domestico ancora sbilanciato sulle mamme, alla fine si rinuncia a lavorare. Eppure anche in Francia il tasso di disoccupazione giovanile under 25 è alto, al 24,6%. Non quanto quello italiano – al 32,2% – ma comunque tra i più alti d’Europa. Con la differenza che dopo i 25 anni in Francia la disoccupazione scende velocemente e le politiche per la famiglia fanno il resto. Ma è proprio in questa fascia di mezzo, quando si mettono le basi per diventare madri e padri, che l’Italia colleziona i record negativi, con un calo costante degli occupati. Basti pensare, che in Italia nella fascia 25-34 anni si concentra il 30% dei Neet, cioè gli inattivi, gli scoraggiati, che non cercano più neanche un lavoro perché non riescono a trovarlo. La domanda quindi è: come può un Neet assumere l’impegno di formare una famiglia e di diventare genitore se lui stesso fatica a emanciparsi dal ruolo di figlio?. Che paese ambiguo e persino bizzarro il nostro, che dice di fondarsi sulla famiglia, ma in realtà la rende una scelta impossibile perché non offre basi solide per il futuro.
 
La famiglia supplisce alle fragilità del welfare
Il quadro che ci consegnano i dati e le ricerche in campo sociale è quello di famiglie che vivono in un contesto di forti difficoltà, spesso gravate dal peso di funzioni di protezione sociale e di cura dei propri componenti, che suppliscono alle fragilità ed ai limiti del sistema di welfare. Un sistema, che spesso non risponde appieno, in termini di diritti esigibili, alla molteplicità e alla crescente complessità dei bisogni e delle esigenze delle persone e delle famiglie.
 
Da questo punto di vista, il persistente ruolo di compensazione svolto dalla famiglia entra sovente in contraddizione con i percorsi di libertà delle donne, traducendosi in pesante carico di lavoro e di fatica. 

E anche quando il desiderio di avere un figlio è forte nella coppia, tocca fare i conti con la natura, con quell’orologio biologico, che poi sempre sulla donna consegna il carico dei rischi di fare un figlio ad età avanzata.
 
Grazia Labate 
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità

 

Da Quotidiano Sanità

14 marzo 2019