Maria José Mendes Evora ha voluto raccontare in queste pagine il percorso che da bambina e adolescente di una numerosa famiglia dell’isola di Boa Vista, Capoverde, l’ha portata ad essere in Italia un’affermata professionista, una leader di comunità, una personalità della nostra Repubblica. Un percorso accidentato ma lineare che ha richiesto tutta la tenacia e la determinazione di cui è stata capace per realizzare un suo sogno: studiare, studiare, studiare, conseguire un titolo di studio per avere gli strumenti per conoscere e essere utile alla collettività.
L’esperienza migratoria, che è stata parte integrante della vita di Maria José, appare in questo racconto un’espediente al servizio di questa sua profonda aspirazione tanto che appena raggiunto l’obiettivo, laurea e dottorato, ha intrapreso una professione non etichettata “da migrante”, senza tuttavia ridurre l’impegno per la sua comunità ed il mondo dell’immigrazione in generale.
Un racconto lungo, particolareggiato dal quale emerge la forza dei valori sui quali si ancorano le scelte importanti di una vita, ma anche piccoli gesti quotidiani che, passo dopo passo rendono possibile far sentire la sua presenza e la sua voce in una nuova realtà, senza grida, senza cedimenti sul piano della dignità e del rispetto. Chi ha avuto modo di ascoltare Maria José sa che lei, sussurrando con una lieve inflessione lusitana, dice cose che pesano nel dibattito pubblico sulle politiche dell’immigrazione e dell’integrazione, ma soprattutto fa seguire alle sue parole i fatti, con generosità e dedizione.
In questa lunga storia ha un ruolo primario e importante la famiglia d’origine, che sebbene di condizioni economiche modeste, ha sempre condiviso il desiderio di istruzione di questa figlia quale via oltre che di conoscenza, di riscatto sociale e di emancipazione. Una famiglia che, rappresentata da componenti diversi, accompagnerà Maria José in tutti questi anni di “sacrifici” e di “impegno” dandole serenità, energia ed anche gioie e sorrisi quando, in vacanza, ritorna a “casa” accolta dai nipoti.
Raccontando la sua storia Maria José ci consente di ricostruire l’esperienza dell’immigrazione, particolarmente femminile, in Italia: dall’arrivo delle prime comunità, appunto capoverdiane, eritree e somale, all’importante ruolo avuto dalla Chiesa e dalle associazioni religiose a sostegno dell’immigrazione, al susseguirsi dei cambiamenti strutturali del fenomeno migratorio, alle prime esperienze di regolamentazione. Il racconto della sua personale esperienza si intreccia infatti con lo studio e la ricerca sull’immigrazione, in particolare sulla condizione delle donne immigrate, e con l’impegno a sostenere i loro diritti nei rapporti con le istituzioni, con il mondo del lavoro, con i paesi di origine.
Ma consente anche di conoscere nel quotidiano la vita di una donna migrante in Italia, di cui Maria José rappresenta un esempio di successo, fatta di sacrifici, di rinunce e di mortificazioni per adattarsi a realtà che non conosce, per procurarsi un reddito per poter vivere, per conciliare i propri bisogni con le richieste dei datori di lavoro e per rispondere alle aspettative delle persone rimaste nel Paese. Ma c’è un valore aggiunto nell’esperienza di Maria José che l’ha aiutata a fare quel passo in più che l’ha portata ad essere la persona che oggi è: il desiderio di conoscenza, un sogno che le ha consentito di sublimare esperienze anche poco piacevoli.
Il lavoro presso diverse famiglie ha consentito infatti a Maria José di avere un reddito per pagare le tasse universitarie e i libri, ma anche per inserirsi in ambienti universitari nei quali confrontare le proprie idee sullo sviluppo, sulla disuguaglianza, sull’economia e sui modelli di società.
Ma c’è un altro aspetto di questa storia che colpisce: è il profondo senso di “comunità” che Maria José vive quotidianamente: il noi riferito alla famiglia d’origine, il noi delle associazioni delle donne immigrate da Capoverde e da altre parti del mondo, il noi riferito al mondo universitario, all’ambiente di lavoro in famiglia e in azienda, il noi riferito all’ambito sociale nel quale svolge la vita quotidiana. Dialogare, conoscersi, discutere sono le parole d’ordine per abbattere pregiudizi, creare appunto relazioni tra persone diverse appartenenti a culture diverse.
E a ben guardare queste comunità sono prevalentemente femminili, a partire dalle associazioni delle donne immigrate, nell’ambito delle quali Maria José ha svolto un ruolo di leadership sin dal suo arrivo in Italia, alla Commissione pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, alle numerose donne incontrate nei diversi ambiti di lavoro e di studio, alle donne delle Istituzioni con cui ha stretto rapporti di stima e di amicizia come Livia Turco e Silvia Costa, ad altre leaders di comunità e, tra esse Pilar Saravia, che è stata il tramite per l’accesso al mondo del lavoro. Ma non mancano uomini che hanno segnato la sua vita, da Mons. Musaragno del centro Giovanni XXIII, ai docenti universitari e ai colleghi di studio provenienti da paesi diversi spesso impegnati sul tema dell’immigrazione. Tanti nomi, menzionati con affetto e con riconoscenza, di persone, provenienti da tutte le parti del mondo e da tutti gli ambienti sociali, testimoniano le molteplici dimensioni che hanno caratterizzato la vita di Maria José.
Maria José oggi è cittadina italiana un traguardo raggiunto dopo oltre trent’anni di presenza in Italia e dopo che il Presidente Ciampi le ha conferito, ancora straniera, il titolo di Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica italiana. Si dice orgogliosa di appartenere a questo Paese anche se pensa che il suo futuro sia a Capoverde con la sua numerosa famiglia e comunità. Sul piano dell’impegno con l’associazione “Figli e amici di Boa vista in Italia” promuove iniziative per le nuove generazioni, figli di immigrati nati e cresciuti in Italia, chiedendo anche la riforma della legge per un accesso facilitato alla cittadinanza italiana attraverso il riconoscimento giuridico di uno stato di fatto.
Vaifra Palanca
03 luglio 2019