Li abbiamo educati a capire che la discriminazione è una trappola sempre pronta ad ingoiarti e che in genere dietro alla diffidenza per la diversità si nascondono paura e ignoranza. Abbiamo insegnato loro ad apprezzare la natura portandoli in vacanza al mare o in montagna, al lago o sulla neve, e a guardare le stelle, spingendoli anche a capirne qualcosa in più, magari accompagnandoli in visita al planetario.
Li abbiamo educati a non dare addosso ai più vulnerabili, e non solo perché “chi la fa l’aspetti”; che impegnarsi in prima persona non è una spinta dettata dal senso di colpa ma dal senso di responsabilità. Abbiamo detto loro questo mettendo insieme due concetti basilari: che è loro diritto essere felici e godere della vita e che la violenza non permette mai di realizzare questi auspici; dunque che la violenza non è uno strumento da prendere in considerazione, anche se il rispetto per sé stessi e per gli altri chiede sempre una certa dose di attenzione e di coraggio.
Poi gli abbiamo dato in mano gli smartphone, straordinari strumenti di oggi che non servono solo a gestire l’organizzazione e l’ansia di genitori e nonni, visto che sono contemporaneamente finestre sul mondo, nel bene e nel male. Internet peraltro è ormai necessaria per seguire le cose di scuola, i compiti, le scadenze, gli appuntamenti e le opportunità. Gli strumenti per collegarsi in rete dunque sono indispensabili, oltre che preziosi.
Degli svantaggi, cioè della possibilità che i social network - canali di comunicazione a connessione globale – possano indurre i nostri ragazzi a dare la stura a linguaggi e comportamenti violenti si è già detto e, anzi, ora su questo fenomeno si prova a intervenire.
Certo, lo si fa con la sensazione che si debba ricominciare da capo, come se i principi di cui abbiamo detto all’inizio si sgretolassero nell’impatto con l’universo che abita la rete. Un impatto difficile da evitare, anche perché l’esempio degli adulti non aiuta.
Tuttavia, fatta la tara degli aspetti negativi e un po’ inquietanti, non v’è dubbio che gli strumenti di comunicazione globale dei nostri giorni aprono le frontiere, che lo si voglia o no, e non solo geografiche. Si ridefiniscono nuovi confini: del nostro modo di sentire, di credere e di fare.
Se per gli adulti la rete può offrire l’occasione per riassaporare l’antica promessa di libertà messa a dura prova dalla realtà quotidiana – anche a costo di dare libero sfogo all’avatar primitivo che dimora in noi - per i ragazzi la rete è un dato di fatto, uno strumento per dare gambe e braccia alla promessa vitale di libertà che, data l’età, è per loro una condizione, una prospettiva naturale.
Per buona parte dei nostri ragazzi - perlomeno italiani ed europei - il mondo è già unito, seppure con geografie storie e costumi anche diversissimi. Il pianeta è un tutt’uno di terra e acqua, cibo e energia.
Ed è un tutt’uno di persone.
I ragazzi sanno che ci sono paesi in cui i diritti che - abbiamo insegnato loro - riconoscono come inalienabili sono invece del tutto disattesi o ignorati, e pensano che questo fatto vada sanato, anche se accade al di là dei nostri confini geografici.
Sanno che l’inquinamento compromette la qualità dei luoghi che abitiamo o sfruttiamo per procurarci cibo ed energia e non pensano al ritorno alle candele, ma alla necessità di innescare un rinnovamento a tutto tondo per preservare ambiente e produzione: anche in questo caso, per i nostri ragazzi, i confini disegnati sulle mappe perdono di senso.
La finestra sul mondo aperta da internet li aiuta a fare i confronti e valutare le cose su scala più ampia. Cominciano a fare un bilancio tra ciò che osservano e le cose che gli abbiamo raccontato e, forse più avvezzi a confrontarsi anche grazie ai social network, dicono a gran voce che qualcosa non gli torna. Come ogni nuova generazione di giovani, anche quelli d’oggi si proiettano verso ciò che reputano sia migliore e più giusto, e non sanno concepire i tempi troppo lunghi degli adulti.
Rispetto al loro mondo più prossimo, si trovano di fronte a enigmi cui gli adulti non riescono a rispondere in modo nitido: sul fronte dei diritti, fanno fatica a capire perché a tanti dei loro compagni di scuola non viene riconosciuta la cittadinanza italiana; sul fronte ambientale, si chiedono cosa si sta facendo, perché a loro sembra evidente l’importanza di mettere a frutto le conoscenze scientifiche per trasformare ciò che serve e praticare uno sviluppo sostenibile.
Forse i ragazzi ci chiedono non tanto di poter votare a 16 anni (è vero, qui si vota molto spesso, ma aspettare un paio di anni per chiarirsi le idee, a loro non cambia un granché) quanto di veder muovere gli adulti responsabili in modo coerente con ciò che dicono.
Approvare una legge che riconosca lo Jus culturae non dovrebbe aver bisogno della spinta dei loro voti, per esempio. Avviare una politica di investimenti per intervenire nei processi di produzione e distribuzione in un’ottica di sostenibilità ambientale non dovrebbe aver bisogno di ulteriori tentennamenti. Rideterminare una pressione fiscale nel senso di una giusta progressività, anche a tutela del nostro welfare, significherebbe agire nel verso della nostra Costituzione, vale a dire la Carta di riferimento che abbiamo detto loro essere la più bella del mondo…
Gli adulti che credono giusto rispondere con amore e rispetto alle istanze dei ragazzi forse dovrebbero assolvere al loro ruolo con maggior tenacia: è più probabile che sia questo il modo per consolidare le alte spinte dei 16enni di oggi, e renderli capaci di tradurre in fertili azioni le giuste istanze, quando toccherà a loro operare le scelte e mettere mano al mondo.
Antonella Bellino
30 settembre 2019