È stato il lavoro, nel secolo scorso, il primo mezzo di emancipazione delle donne ed è il lavoro ancora oggi a determinare le discriminazioni e le disuguaglianze che impediscono la libera scelta di coniugare lavoro e famiglia, così come la possibilità di raggiungere l’indipendenza economica e la realizzazione personale.
Quello della parità salariale fra uomo e donna è un tema al quale avvicinarsi con rispetto. Rispetto per quelle donne che nel ‘900, entrate nell’industria di massa, hanno iniziato a lottare per questo diritto, contro quella cultura arcaica che le voleva sottopagate rispetto agli uomini solo perché donne. Rispetto per chi lo ha portato nelle istituzioni, come Tina Anselmi, il Ministro che con la legge 903/1977 stabilì per la prima volta – attuando un principio costituzionale – il pieno diritto della donna ad avere la stessa retribuzione degli uomini, a parità di mansione e di salario.
Con questa consapevolezza ho voluto affrontare la necessità di rafforzare quel diritto oggi, a decenni di distanza, quando ancora non siamo riusciti a renderlo pienamente effettivo. Secondo il più recente rapporto ANPAL, le donne in Italia percepiscono in media il 7,7% in meno degli uomini, con punte che sfiorano il 20% nel settore privato, e proprio in quelle mansioni che richiedono più competenze e responsabilità.
Una donna che dopo aver avuto un figlio torna al lavoro, vent’anni dopo avrà lo stipendio più basso di una donna che non lo ha avuto. Per questi motivi dobbiamo tornare a parlare di parità salariale, come parte indispensabile della battaglia per le pari opportunità. È stato il lavoro, nel secolo scorso, il primo mezzo di emancipazione delle donne ed è il lavoro ancora oggi a determinare le discriminazioni e le disuguaglianze che impediscono la libera scelta di coniugare lavoro e famiglia, così come la possibilità di raggiungere l’indipendenza economica e la realizzazione personale. Per questo, una parte consistente del Codice per le pari opportunità del 2006 è dedicato proprio alla parità sul luogo di lavoro, ed è proprio quel codice che propongo di andare a toccare per migliorare la condizione salariale femminile.
Già oggi, le imprese italiane sopra i 100 dipendenti devono redigere un rapporto, su schema indicato dal Ministero del lavoro, nel quale riportare una serie di dati sulle pari opportunità nelle loro aziende.
Non è dato sapere quali aziende presentano il rapporto, né quante vengono sanzionate per mancata presentazione. Eppure questi dossier rappresenterebbero uno strumento formidabile per le consigliere di parità di ogni livello territoriale, alle quali già oggi le lavoratrici possono rivolgersi per ottenere i loro diritti.
Così ho scelto di partire proprio da lì, inserendo nel Codice un principio che è alla base di tutti i maggiori interventi europei su questo tema: il principio della trasparenza.
Lo hanno adottato in Germania, nel Regno Unito, in Islanda, e ha il merito di colpire chi viola la parità salariale innanzitutto dal lato della reputazione, che oggi è tra i beni più preziosi per qualsiasi azienda. La trasparenza vogliamo applicarla così: 1) rendendo pubblico l’elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e delle aziende che non lo hanno trasmesso; 2) inserendo la possibilità per i dipendenti di consultare, nel rispetto della privacy, il proprio rapporto aziendale; 3) dando la possibilità di redigere il rapporto anche alle aziende sotto i 100 dipendenti, su base volontaria.
Alla trasparenza sommiamo: il controllo, effettuato da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro; la sanzione, che diventa certa e seria dopo 12 mesi di inottemperanza, con la revoca degli sgravi fiscali e previdenziali; la certificazione, un “bollino rosa” da assegnare alle aziende che rispettano tutti i parametri del rapporto, per incentivare le buone pratiche.
Infine, vogliamo dare un ruolo riconosciuto alla Consigliera Nazionale di Parità, invitandola a presentare ogni due anni un rapporto complessivo al Parlamento.
Certo, non è finita qui: quella che dobbiamo giocare è soprattutto una battaglia culturale nel Paese. Per questo vorrei che questo testo, già condiviso con più forze politiche, fosse l’input per una discussione larga, non solo dentro ma soprattutto fuori dalle Aule Parlamentari. Perché la parità salariale, così come i tanti diritti del lavoro ancora non pienamente riconosciuti alle donne, vivrà e sarà attuata solo se riusciremo a far percepire il suo valore nel quotidiano, a renderla una sfida collettiva, un principio di giustizia sociale indispensabile.
Chiara Gribaudo
Commissione Lavoro Pubblico e Privato della Camera (PD)
05 novembre 2019